Il grave errore di Romano Prodi che ora il premier italiano cerca di ritrattare
Testata: Corriere della Sera Data: 15 agosto 2007 Pagina: 2 Autore: Maurizio Caprara - Romano Prodi - Lorenzo Cremonesi Titolo: «Olmert «rassicurato» da Prodi «Niente apertura agli integralisti» - Avversari e ricerca della pace - «Aiutiamo Abu Mazen a riprendere Gaza»»
Dal CORRIERE della SERA del 15 agosto 2007(pagina 2), la cronaca delle reazioni israeliane all'apertura di Prodi ad Hamas e della telefonata di chiarimento tra Olmert e il premier italiano. Il ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni, dal canto suo, ha ribadito che non solo un dialogo con Hamas, ma anche uno sforzo per riavvicinare Hamas e Fatah sarebbe un grave errore.
Ecco il testo:
ROMA — Malgrado lo «stupore » e la «preoccupazione» dei giorni scorsi, nonostante un fastidio intermittente per i segnali di apertura ad Hamas lanciati da membri del governo italiano, Romano Prodi resta per il premier israeliano Ehud Olmert l'interlocutore preferito nei piani alti della coalizione di centro-sinistra che ha la maggioranza nel Parlamento del nostro Paese. Così una telefonata tra il presidente del Consiglio e il primo ministro ha permesso ieri di far rientrare, almeno ieri, quella che informalmente, nella diplomazia israeliana, veniva definita una «mini- crisi» sulla disponibilità di Prodi a dialogare anche con Hamas, il primo partito palestinese che non riconosce Israele ed è considerato organizzazione terroristica dall'Unione europea. Se i problemi si riapriranno potrà dipendere dalle valutazioni diverse dei due governi sull'opportunità di «contatti» con la formazione fondamentalista islamica. Palazzo Chigi ne ha ipotizzato di «informali». Lo so che spesso quello che dichiariamo non viene interpretato bene, ha premesso in sostanza Olmert rivolgendosi a Prodi, secondo quanto ha appreso il Corriere, sulla conversazione in inglese durata un quarto d'ora. Questa polemica è l'ultima cosa che voglio, è stata la risposta di Prodi, orientato a circoscrivere il caso nella categoria di un malinteso dovuto ad alcuni articoli frettolosi sul suo discorso di domenica. Il primo ministro dello Stato ebraico, che sta trattando con il palestinese moderato Abu Mazen, ha riconosciuto al Professore un'onesta schiettezza anche quando i punti di vista non coincidono con il suo. Dopodiché Olmert è passato a informare Prodi sul suo prossimo incontro con il presidente dei Territori. Il resto della telefonata è stato sul Libano, Paese nel quale l'Italia ha il capo dell'Unifil, generale Claudio Graziano, giudicato first class, di prima classe, da Olmert. È andata così anche per la scelta israeliana di manifestare il disappunto sulle affermazioni attribuite al presidente del Consiglio senza alzare i toni, seppure esprimendolo in modi evidenti. Ieri il ministro degli Esteri Tzipi Livni, in risposta a una domanda che riguardava anche Prodi, ha sostenuto che sarebbe un «errore enorme» favorire riconciliazioni tra Hamas e al Fatah, tuttavia ogni passo di Israele e la scelta dei termini - stupore, preoccupazione, errore - sono stati compiuti puntando a una precisazione dal governo italiano, non a respingerlo nel campo avversario. Pronto ad accoglierlo, per altro. L'ufficio di Ismail Haniyeh, l'ex premier palestinese che a Gaza si proclama in carica, ha «apprezzato» la dichiarazione di «Prodi in cui chiede dialogo tra l'Occidente e Hamas». La delicatezza del caso socchiuso ieri resta. Sulla telefonata, seguita a una tra Prodi e l'egiziano Hosni Mubarak, la linea italiana è stata certificata da un comunicato del governo di Gerusalemme. Prodi, c'è scritto, ha spiegato a Olmert che «la sua posizione era e rimane la stessa, e cioè che non bisogna avere contatti con Hamas, a meno che Hamas non rispetti interamente le condizioni del Quartetto» (basta violenza, riconoscimento di Israele e accordi precedenti con i palestinesi). Il portavoce del governo italiano, Silvio Sircana, ha sottolineato che secondo quanto spiegato da Prodi con Hamas si potranno avere «negoziati» soltanto se il gruppo rispetterà le tre condizioni. «Diverso è dire contatti, che possono anche essere informali», ha aggiunto. «Nessun rilievo da Olmert. Forse ha capito la politica estera italiana più di certi commentatori e politici», commentavano a Palazzo Chigi. Ma la materia dei contatti è scivolosa. La ministra degli Esteri israeliana Tzipi Livni con il premier Ehud Olmert. Per la Livni sarebbe un «errore enorme» aprire a Hamas
In prima pagina e a pagina 3 il CORRIERE pubblica una lettera di Romano Prodi. Dopo aver lodato la guida italiana della missione Unifil (che non ha fermato come avrebbe dovuto il riarmo di Hezbollah) e l'apertura alla Siria (ancora priva di conseguenze positive), il premier ritratta, in sostanza, le sue dichiarazioni su Hamas, svuotandole di significato politico. Nella nuova versione la posizione di Prodi sarebbe identica a quella del Quartetto. Allora perché aveva sentito il bisogno di esporla come una novità ? Perché media fiancheggiatori del governo avevano scritto addirittura di una "linea d'avanguardia" ? Non sarebbe stato meglio tacere ? O forse Prodi ha scelto la linea dell'ambiguità? Prima apre ad Hamas, riscuotendone l'applauso, poi rassicura Israele. Ma con quanta credibilità ? Ecco il testo:
Caro Direttore, le polemiche, tra cui l'articolo di Piero Ostellino, generate dalle mie dichiarazioni su Hamas mi offrono l'occasione per ribadire nuovamente le linee portanti della politica italiana in Medio Oriente. Essa è sintetizzabile in una formula molto semplice: cercare di favorire in ogni circostanza le prospettive di pace e di stabilità della regione. Lo abbiamo sempre fatto e continueremo a farlo anche consapevoli che — come amava ricordare il compianto Yitzhak Rabin — «la pace si fa con gli avversari ». Abbiamo iniziato con il Libano meridionale, giusto un anno fa, svolgendo un'azione di leadership apprezzata da tutta la comunità internazionale per mettere fine al conflitto che si era innescato e che rischiava di avere ramificazioni ulteriormente destabilizzanti. Oggi 3.000 militari italiani sono schierati nel Libano meridionale nell'ambito della Missione Onu dell'Unifil. Essi contribuiscono a garantire il cessate il fuoco fissato dalla risoluzione 1701 e la sicurezza della frontiera settentrionale di Israele. Nel contempo abbiamo stimolato una riflessione su come coinvolgere in maniera costruttiva la Siria nelle dinamiche negoziali della regione. È stata un'azione non facile e che certamente richiede ancora un forte impegno da parte della comunità internazionale. Si tratta però di una pista che ormai viene riconosciuta e seguita da tutti i paesi dell'Unione Europea. Oggi registriamo con interesse crescenti segnali di una ripresa del dialogo tra Israele e Siria ed il fatto che Damasco ospiterà il prossimo Vertice della Lega Araba. Quest'ultima circostanza rappresenta un'importante apertura di credito e mi auguro che il Presidente Assad saprà coglierla in pieno. Naturalmente sarebbe da ingenui attendersi immediati risultati positivi da questi sforzi. In Medio Oriente le evoluzioni politiche seguono una tempistica molto particolare, assai lenta. Occorre saper decifrare con molta attenzione segnali timidissimi di apertura, essere pronti a ricorrenti battute d'arresto e soprattutto avere molta pazienza. Abbiamo continuato ad operare sul fronte del processo di pace israelo-palestinese, sostenendo con profonda convinzione e con atti concreti il rinnovato dialogo tra il Primo Ministro Olmert ed il Presidente Abbas, nonché i coraggiosi sforzi di riforma dell'Autorità Nazionale Palestinese del neo Primo Ministro Fayyad. Poco meno di un mese fa, in occasione del mio proficuo viaggio in Israele e nei Territori Palestinesi, ho riconfermato a tutti e tre il fermo sostegno del Governo italiano ai loro sforzi di pace e la convinzione che non esistono alternative a questo dialogo. In questo contesto mi limito a ricordare che sono stato uno dei primi leader politici mondiali ad affermare pubblicamente il diritto all'esistenza di Israele come Stato ebraico ed il primo ad essersi recato nella cittadina di Sderot, offrendo solidarietà concreta ai suoi abitanti minacciati dai lanci di razzi Kassam da Gaza. Per me è di fondamentale importanza che la Palestina possa divenire uno Stato in grado di vivere in condizioni di pace e sicurezza con i suoi vicini ed innanzitutto con Israele, così come Israele possa vivere sicuro e libero dai pericoli del terrorismo e degli attacchi suicidi. L'ultima cosa di cui abbiamo bisogno in questo momento è che si crei una frattura incolmabile nel popolo palestinese e che si possano creare due entità palestinesi. Su questo punto ho avuto assicurazioni sia da parte del Presidente Abbas che del Primo Ministro Fayyad. Quanto ad Hamas — come ho sempre coerentemente sostenuto — le condizioni per il suo ritorno nel gioco politico palestinese dipendono solo da loro e sono quelle fissate dal Quartetto del gennaio 2006: cessazione della violenza, riconoscimento degli accordi precedenti sottoscritti da Olp ed Israele e riconoscimento del diritto all'esistenza dello Stato ebraico. A queste si aggiunge evidentemente ora anche la necessità di ripristinare la legalità nella striscia di Gaza riconsentendo al Presidente Abbas di esercitare nuovamente la propria autorità su quel territorio. In questo contesto contiamo molto anche sugli sforzi di Tony Blair in nome e per conto del Quartetto nonché sull'opera paziente di paesi della regione mediorientale, dall'Egitto, all'Arabia Saudita, alla Giordania. L'Italia sia bilateralmente che in ambito europeo ed alle Nazioni Unite continuerà a lavorare in questa direzione ed a dare il proprio contributo ad una positiva evoluzione della situazione. Pur nella consapevolezza della sua complessità e dei vincoli entro cui ci muoviamo, continueremo ad incoraggiare tutte le parti a dare prova di coraggio politico e di leadership, che sono le vere condizioni in base alle quali si potrà assicurare una pace duratura e stabile in Medio Oriente.
A pagina 3, il CORRIERE pubblica un'intervista di Lorenzo Cremonesi al ministro dell'Immigrazione israeliano Meir Shitrit. Il testo è costellato da valutazioni di Cremonesi, che attribuisce alla "diffidenza" dei politici israeliani verso l'Europa le critiche di Shitrit a Prodi, interpreta in modo favorevole, e completamente infondato, le motivazioni dei capi di Hamas nel proporre la hudna (tregua) con Israele e lamenta che Shitrit non "lasci spazio" nemmeno a questa possibilità. Meglio sarebbe stato poter leggere chiaramente le domande di Cremonesi distinte dalle risposte di Shitrit. Così, invece, l'intervistatore si riserva l'ultima parola, e può ridurre l'effetto di quella del suo interlocutore.
Ecco il testo:
GERUSALEMME — Non pensa che Romano Prodi sia particolarmente ostile alla politica di Israele, né tanto meno «pronto a spianare la strada al terrorismo fondamentalista islamico». Semplicemente il ministro per l'Immigrazione israeliano, Meir Shitrit, considera le aperture del premier italiano nei confronti di Hamas come «gravi errori e conseguenza di poca informazione». «Se Prodi venisse qui sarei ben felice di spiegargli personalmente perché nelle condizioni attuali con Hamas non si può e non si deve parlare», dice al Corriere della Sera. Ex deputato del Likud conservatore, oggi legato al Kadima di Ehud Olmert, Shitrit condivide l'opinione di larga parte del centro-destra israeliano, per cui in ogni caso i leader europei vanno sempre guardati con sospetto. Una visione sostenuta del resto dallo stesso ex premier laburista Ytzhak Rabin, assassinato nel 1995 da un estremista ebreo contrario al processo di pace, che fu sempre diffidente nei confronti dell'Europa. Sulla questione della necessità che l'Unione Europea adotti davvero una politica estera comune e resti legata agli Stati Uniti Shitrit oggi non è da meno. «Mi sembra piuttosto curioso che Prodi se ne esca da solo con queste dichiarazioni su Hamas. In effetti contraddicono tutto ciò che i leader europei ci hanno detto sino ad oggi. Ma sono consapevole che in Europa sono in molti a pensarla come lui. Tranne gli inglesi. Mi fido di loro. Nonostante tutto non farebbero mai come Prodi, la loro politica estera in generale resta coerente », aggiunge. E a questo proposito ci tiene a sottolineare gli impegni assunti dal Quartetto (Usa, Ue, Russia e Onu) sin dai tempi della vittoria elettorale di Hamas il 25 gennaio 2006. «Allora venne stipulato che si sarebbe potuto parlare con Hamas a patto che questa rispettasse tre condizioni: la rinuncia al terrorismo; il riconoscimento dello Stato di Israele e l'accettazione di tutti i trattati già firmati dall'Olp con noi. Devo ricordare a Prodi che sino ad ora nessuna di queste clausole è stata rispettata?», osserva polemico. Anzi, a suo dire, non solo Hamas resta trincerata nelle sue posizioni di sempre, ma soprattutto non mostra alcun segno di «voler evolvere in senso moderato». «Le prese di posizione come quella assunta da Prodi non fanno altro che rafforzare le loro ali più oltranziste. Si rendono conto che l'immobilità paga. Li aiuta nel braccio di ferro contro Abu Mazen e i nostri partner nel Fatah. Possono dimostrare di non essere più isolati», osserva. Nessuno spazio neppure per l'idea della «Hudna», il cessate il fuoco, avanzata dai leader di Hamas per facilitare la normalizzazione senza abdicare al principio della necessità «della liberazione di tutta la santa terra palestinese». Commenta Shitrit: «Se potessi incontrare Prodi, gli ribadirei che in effetti la Hudna è tutta una mascherata, un trucco per prendere tempo. I radicali islamici hanno bisogno di riorganizzarsi, di rafforzarsi. Ma il loro fine ultimo resta la distruzione dello Stato di Israele dal Giordano al Mediterraneo. Lo predicavano 20 anni fa al momento della nascita di Hamas in Cisgiordania e Gaza. E lo ripetono oggi». Le alternative? «Rafforzare il Fatah di Abu Mazen, che resta il nostro unico partner credibile tra i palestinesi. Al contrario, le avances di Prodi indeboliscono il campo della pace. Abu Mazen controlla ancora la Cisgiordania e dobbiamo aiutarlo a riprendere la striscia di Gaza. Se poi nel futuro Hamas dovesse accettare di riconoscere Israele, saremmo noi i primi a tendere la mano».
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