La verità comincia a farsi strada, anche se il segreto era sulla bocca di tutti. Ma non veniva pronunciato a voce alta nè scritto. Yasser Arafat, il capo dell’Olp, aveva contratto il virus HIV, una constatazione che in genere se ne porta dietro un’altra, ma sovente impronunciabile, e non solo nella società palestinese. Che Arafat avesse trascorso buona parte della sua vita scapolo, e che si fosse rassegnato a contrarre matrimonio solo negli ultimi anni della sua vita, evidentemente consigliato a fare quella scelta da chi lo immaginava già capo di Stato, e quando mai un capo di Stato non ha accanto la moglie ? Ecco come era saltata fuori la candidatura di Suha, alla quale la sola idea di diventare first lady aveva fatto passare in seconda linea un aspetto del futuro marito, divenuto così del tutto trascurabile. Una scelta comunque che ha dato i suoi frutti, visto che, come vedova, riceve 11 milioni di dollari l'anno, non male come pensione. In una biografia del leader palestinese uscita di alcuni anni fa,lo storico Ephraim Karsh aveva descritto fin nei particolari le abitudini sessuali del rais, con descrizioni accurate di quello che avveniva di notte nell’albergo in Romania, dove Arafat e i suoi fedayin (allora si chiamavano così le sue milizie) venivano addestrati al terrorismo da esportazione. Tra una giornata di esercitazione e l’altra, c’erano di mezzo le notti, che le fotocellule segrete, intallate in ogni camera dai servizi di Ceausescu puntualmente registravano. Le descrizioni di Karsh sono persino divertenti, in ogni modo più che sufficienti per far capire come quella di Arafat non fosse una scelta monastica, come erano abituati a fare i suoi laudatores – dorme accanto ai suoi soldati, un materasso per terra, non conosce i piaceri della vita, la sua sposa è il popolo palestinese e via così – proprio per niente, i piaceri della vita li conosceva eccome, andavano però per una strada diversa da quella che poi, molti anni dopo, lo portò a nozze con Suha. Sulla sua morte a Parigi, in un ospedale privato, dopo un viaggio organizzato direttamente dal presidente Chirac, molti hanno ricamato, la tesi più suggestiva è stata quella dell’avvelenamento, responsabili naturalmente gli israeliani. La storia è andata un po’ diversamente. Ad Ashraf al-Kurdi, suo medico personale per 18 anni, non fu più permesso di visitare il suo paziente dopo che venne diagnosticato il virus. Dopo il ricovero parigino Suha in persona gli proibì di vedere il marito, e neppure dopo la morte gli fu concesso di esaminarne il corpo. Vennero poi le prime voci sulla possibile causa della morte, il virus HIV, ma, da ogni parte, prevalse quella che doveva, e deve sembrare ancora, l’unica vera causa di morte, un misterioso avvelenamento. Anche se il dott.al-Kurdi, in una intervista al Al-Jazeera, aveva dichiarato apertamente che Arafat aveva contratto il virus, una dichiarazione che ebbe vita breve, perchè, appena pronunciata, venne di colpo censurata. Ci rendiamo conto che un leader simbolo che muore di Aids rende quasi impossibile trasformarlo in icona da venerare. Se la notizia venisse confermata dai medici che l’hanno seguito negli ultimi giorni a Parigi, l’icona cadrebbe nel fango. Per questo dall’ospedale parigino è uscito solo un certificato di morte senza indicazione di cause specifiche. Si diffonderà di sicuro quella dell’avvelenamento, la storia dell’eroe continuerà a vendersi bene, non dovranno essere rifatti i manifesti con la sua faccia. Suha continuerà a godersi l’eredità enorme ricevuta in cambio di un lutto credibile. Peccato non si possa finire con un e tutti visssero felici e contenti.
Angelo Pezzana
da Informazione Corretta