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La Stampa Rassegna Stampa
13.08.2007 Israele "uccide i bambini", dicono gli hacker
un quotidiano e un' agenzia provano a dimostrarlo, raccontando falsità

Testata: La Stampa
Data: 13 agosto 2007
Pagina: 4
Autore: Francesca Paci
Titolo: «"Mariya colpita da un razzo e abbandonata" - Ricorso per palestinese invalida»

La notizia delle cure date da Israele alla bambina palestinese ferita durante un'eliminazione mirata non è stata certo data con altrettanta evidenza.
A quella della volontà del  ministero della Difesa israeliano di rimandarla in Cisgiordania è dedicato un articolo di Francesca Paci pubblicato da La STAMPA del 13 agosto 2007, intitolato "
Mariya, colpita da un razzo e abbandonata".
"Il governo ora vuole trasferirla in Cisgiordania A Ramallah nessuno potrebbe curarla. La bimba resta solo" E' la sintesi dell'articolo offerta in un riquadro.
Dall'articolo si capisce invece che il ministero della Difesa si è offerto di pagare e seguire l'assistenza medica della bambina, anche formando i medici palestinesi che dovrebbero seguirla.
L'avvocatessa della famiglia della bambina, però, sostiene che in Cisgiordania non vi sono strutture adeguate.
Francesca Paci, nell'articolo, sposa senza riserve questa tesi.

Ma i fatti noti, sono che la bambina non è stata abbandonata, e sull'ipotesi di affidarne le cure ai palestinesi in Israele si sta dibattendo.

La disinformazione è accresciuta dal fatto che l'articolo è nella stessa pagina di quello sull'attacco degli hacker al sito della Nazioni Unite, intitolato «"America e Israele uccidono i bambini"».
L'articolo della Paci, collocato in quella pagina, sembra essere proposto come un'esemplificazione di questa tesi.

Ecco il testo:


A sei anni Mariya Aman è una sopravvissuta. Il 20 maggio 2006, quando un razzo israeliano indirizzato al leader della Jihad Islamica Mohammad Dahdouh colpì l'automobile su cui viaggiava a Gaza City con la famiglia, restò paralizzata dalla testa ai piedi. Una vittima della seconda Intifada, scrissero allora i giornali israeliani. E la piccola palestinese che nel tentativo di «omicidio mirato» aveva perso la madre, il fratello, la nonna e lo zio, fu adottata al di qua del confine, simbolo della guerra infinita. Il Dipartimento della difesa israeliano decise di occuparsi di lei e l'affidò ai terapisti del centro di riabilitazione pediatrica Alyn di Gerusalemme, dove pian piano Mariya ha imparato a muovere i muscoli della testa e del collo, gli unici che può controllare manovrando con il mento la sedia a rotelle e digitando la tastiera del computer.
Oggi però la bambina sopravvissuta vive. I progressi degli ultimi mesi hanno convinto i medici israeliani, ma soprattutto i politici, che sia possibile una cura domestica. Il ministero della difesa, pronto, si è offerto di seguitare a pagare l'assistenza medica di Mariya a condizione che se ne torni a casa, in Cisgiordania, seguita da strutture mediche palestinesi, quelle del suo Paese. Se ce ne fossero. Il guaio infatti, è che il suo Paese, sostenuto quasi interamente dagli aiuti internazionali, non è attrezzato al trattamento specialistico necessario. Mancano le risorse fondamentali per far camminare il processo di pace, figuriamoci Mariya.
«Trasferirla a Ramallah o in qualsiasi altro posto corrisponde a condannarla a morte», avverte l'avvocato che la segue, l'israeliana Adi Lustigman. Il padre Hamdi Aman, un operaio impiegato per anni in un'impresa edile di Tel Aviv, non vuole sentir parlare di andar via. Da oltre un anno l'accompagna ogni mattina in piscina per la riabilitaione e la segue dal bordo vasca. Mariya, vittoriosa sulla scheggia che le ha perforato la parte antieriore della testa, nuota come può. Accanto alla lei la fisioterapista controlla che l'acqua non danneggi il corpicino: la piccola respira artificialmente attraverso i tubi inseriti in un foro all'altezza dell'esofago. Basta una goccia a far impazzire il meccanismo.
«Mariya è una vittima innocente e merita la cittadinanza israeliana», ripete Adi Lustigman. A suo modo è una sopravvissuta al fuoco amico, perchè non si può essere nemici di una bambina di cinque anni. Quando i quotidiani e gli intellettuali l'hanno adottata il governo non si è sottratto. Il problema è stato piuttosto occuparsi del resto della famiglia, quel che ne rimaneva. A lungo Israele ha rifiutato il permesso d'ingresso al padre, palestinese, clandestino. Poi le «colombe» hanno avuto la meglio: oggi Hamdi Aman e l'altro figlio Mohammad, quattro anni, vivono in una stanza tutta loro nello stesso ospedale in cui è ricoverata Mariya.
Ora però il ministero della difesa ritiene di aver in qualche modo saldato il conto. L'assistenza non è un obbligo, si dice, poiché la bambina è rimasta ferita durante «un'azione di guerra» delle cui conseguenze Israele non sarebbe responsabile. Certo, i simboli sono simboli. E serve a poco garantire la formazione dei medici palestinesi che dovrebbero seguirla, con corsi specialistici in respirazione e spine dorsali. «E' l'ennesima prova che la Cisgiordania non è adeguatamente attrezzata», osserva l'avvocato Lustigman. Mariya galleggia, sopravvissuta prima di cominciare a vivere.

Analogo a quello dell'articolo della Paci il taglio di questo lancio ANSA:

(ANSA) -GERUSALEMME, 12 AGO- Organizzazioni umanitarie e il padre di una bimba palestinese paralitica hanno fatto ricorso alla Corte Suprema per garantirle le cure. La piccola di sei anni era rimasta rimasta paralizzata oltre un anno fa nello scoppio di un missile israeliano.Ricoverata a Gerusalemme a spese del governo israeliano, la bimba ha imparato a usare i muscoli della testa per azionare la carrozzella. Ora dovrebbe essere trasferita in un ospedale di Ramallah, privo del personale e delle attrezzature necessarie.

Per inviare una e-mail alla redazione della Stampa e di Ansa  cliccare sul link sottostante


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