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La Repubblica - L'Unità - Il Messaggero - La Stampa Rassegna Stampa
13.08.2007 Prodi riapre ad Hamas
rassegna di quotidiani che approvano l'ennesima giravolta

Testata:La Repubblica - L'Unità - Il Messaggero - La Stampa
Autore: Marco Marozzi - Umberto De Giovannangeli - Fabrizio Rizzi - Eric Salerno - Francesca Paci
Titolo: «"Aiutiamo Hamas a lavorare per la pace" - Prodi: «Hamas esiste Va aiutato a evolversi con il dialogo» - Dobbiamo aiutare Hamas a evolvere - Abbas al lavoro per ristabilire l'unità del mondo palestinese - Hamas chi? Israele parla solo con Abu Mazen»

Il 12 agosto 2007 Romano Prodi è intervenuto sulla questione piuttosto confusa (per le molte dichiarazioni contrastanti di ministri e leader politici di maggioranza) dei rapporti dell'Italia con Hamas.
Hamas esiste, ha sostenuto Prodi e dunque bisogna parlarci. Auitandola "ade volvere" perché "lavori per la pace".
Un programma del tutto irrealistico, soprattutto se Hamas non pagherà nessun prezzo politico per la sua intransigenza e la sua costante rivendicazione della legittimità del terrorismo.
E l'essenza della politica di Prodi è appinto che terroristi e dittature mediorentali non devono pagare nessun prezzo politico, mai. Aiutarli ad "evolvere" significa, di fatto, aiutarli politicamente, sottraendoli all'isolamento, e anche finanziariamente.
Esemplare di questa mentalità è la dichiarazione di Prodi sulla Siria. La quale ha chiesto aiuto per il problema dei profughi iracheni che si affollano entro i suoi confini, fuggendo dal terrorismo che Damasco sostiene insieme all'alleato iraniano.
 E' segno che il regime  vuole uscire dall'isolamento, che si apre all'Occidente e alla pace,  ha concluso Prodi. Dunque, gli aiuti devono essere forniti.
No. E' segno che un regime in difficoltà vuole il sostegno dell'Occidente. Ma non si  impegna a cessare il sostegno al terrorismo, ( di Hezbollah, di Hamas, dei jihadisti in Iraq), a riconoscere Israele, ad allentare la presa sul Libano.
Prodi appare  disposto a dare a Bashar Assad  ciò che chiede, senza ricevere nulla in cambio. Per convertirlo "alla pace".

Naturalmente, sui quotidiani del 13 agosto, si è subito fatto sentire il coro dei laudatori acritici della politica di apertura ad Hamas e a Damasco.
Scontrandosi con un irragionevole centro destra
"sempre all´attacco" il coraggioso Prodi si avventura su un terreno "enormemente spinoso" alla ricerca di "strade di pace in Medio Oriente".
E' la versione di Marco Marozzi su La REPUBBLICA, a pagina 11. Ecco il testo:

 
CASTIGLIONE della pescaia - «Aiutare Hamas ad evolvere». «Perché lavori per la pace». Romano Prodi rilancia ancora una volta il ruolo del suo governo nella ricerca di strade di pace in Medio Oriente. Lo fa su un terreno enormemente spinoso: Hamas, il movimento integralista che ha vinto le elezioni in Palestina, nega ogni rapporto se non di conflitto con Israele e da due mesi ha occupato militarmente Gaza, in uno scontro militare oltre che politico con il presidente dell´Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen e il governo da lui voluto. L´atteggiamento verso Hamas, oltre che dividere il mondo, America e Russia, spacca anche l´Italia: con il centrodestra da sempre all´attacco di Prodi e del ministro degli Esteri D´Alema.
La via italiana per essere protagonista continuerà, dopo le visite di luglio in Israele e Palestina, negli incontri ai primi di settembre con il re e il primo ministro di Giordania ad Amman e successivamente con i colloqui ai margini dell´assemblea generale dell´Onu, a New York. Un nuovo assaggio della sua linea il presidente del Consiglio lo ha dato ieri in un luogo doppiamente simbolico. Un seminario del Campo scuola dell´"Opera per la gioventù Giorgio La Pira" a cui partecipavano ragazzi israeliani, palestinesi, europei.
«Bisogna parlare con tutti e non chiudersi a nessuno. Per aiutare tutti» ripete Prodi. «Tutto questo deve essere fatto apertamente, con trasparenza» ha ripetuto ieri, spuntato con la moglie all´incontro nella pineta maremmana. «Hamas esiste ed è una realtà molto complessa che dobbiamo aiutare ad evolvere perchè lavori per la pace» ha spiegato. Negando qualsiasi frizione con il premier isrealiano Ehud Olmert ed Abu Mazen. Anzi dicendo di volerne rafforzare il ruolo. «Sto aiutandoli fortemente e lealmente per fare reciproci gesti di pace». «Ma è impossibile pensare di avere la pace in Medio Oriente con i palestinesi divisi» ripete Prodi, mentre l´esperto di studi strategici Enrico Jacchia evoca, fra strategie di israeliani, giordani, egiziani, americani e superattivismo di Sarkozy, la possibilità di una Palestina smembrata fra Gaza ad Hamas e la Cisgiordania ad Al Fatah.
Prodi rilancia anche il ruolo di un altro protagonista tabù del Medio Oriente: la Siria. Ha ricordato la telefonata di una settimana fa con Bashar al Assad. Il presidente siriano ha posto al premier italiano il problema dei tantissimi profughi iracheni che fuggono in Giordania e nel suo Paese. «Ed è la prima volta che lo fa un leader cone lui, in una nazione così chiusa» ha avvertito Prodi. Occasione da non perdere, dice il presidente del Consiglio. «Dobbiamo offrire aiuto alla Siria», farlo come Unione europea, anche per coinvolgere Bagdad - che ha un ruolo pesantissimo anche in Libano - in un percorso positivo in tutta l´area. «Non ci sarà mai pace finchè la Siria non farà parte del processo di pace».
Muoversi allora su tutto lo scenario, invece di pensare a truppe internazionali di interdizione a Gaza come nel Libano. «Non si può fare una missione di pace in situazioni conflittuali, quando non c´è un accordo tra le parti in gioco su come risolvere i problemi e sulla stessa utilità della missione». Meglio piuttosto pensare a nuove presenze nella strategia per affrontare le crisi mondiali: quella della Cina in testa a tutti. «Se non la ingaggiamo nella missioni internazionali fin dall´inizio non avremo mai la pace. Bisogna preparare la pace basandosi su quello che sarà il mondo domani, e non su come è il mondo oggi».

"Importanti" le affermazioni, "impegnative" le analisi,  "di avanguardia" la linea.
Sull'UNITA' Umnberto De Giovannangeli non lesina in aggetivazioni favorevoli.
Prodi, d'altro canto, per u.d.g. 
"rivendica",  "insiste", "ribadisce" , "osserva" ,"rimarca", "sgombra il campo" e non ritiene, opina , sostiene, argomenta. Le sue parole appartengono al regno delle verità oggettive, non dell'opinabile. Inevitabilmente, dunque, la sua linea "d'avanguardia" "si fa strada".
Ecco il testo, da pagina 12:


AFFERMAZIONI IMPORTANTI Analisi impegnative. Destinate a far discutere. Romano Prodi e Hamas. Le considerazioni del presidente del Consiglio non si prestano a equivoci: «Hamas esiste. È una realtà molto complessa che dobbiamo aiutare a evol-
vere perché lavori per la pace». Sarebbe ipocrita negarlo e il tentativo di dialogo con Hamas deve avvenire «apertamente, con trasparenza». Il premier fa questa considerazione parlando della questione mediorientale al campo scuola dell'«Opera gioventù Giorgio La Pira» in un villaggio della pineta di Castiglione della Pescaia. Ospite di un dibattito sulla convivenza tra i popoli il presidente del Consiglio affronta anche le questioni internazionali. E rivendica l'azione dell'Italia in Medio Oriente, in primo luogo la buona riuscita dell'esperienza in Libano. Ma soprattutto Prodi insiste sul tasto del dialogo, unica strada per arrivare davvero a una pace che non sia precaria. Bisogna parlare con tutti, ribadisce il premier, e «non chiudersi a nessuno». Neanche ad Hamas. Parla di evoluzione politica del movimento islamico palestinese il premier e lega il suo ragionamento all'attuale crisi interna ai palestinesi con la Striscia di Gaza, in mano ad Hamas, divisa dalla Cisgiordania in mano ad al-Fatah. «È impossibile pensare di avere la pace in Medio Oriente con i palestinesi divisi. Io stesso sto aiutando fortemente lo sforzo del presidente dell'Autorità palestinese del primo ministro israeliano per fare reciproci gesti di pace», ha osservato. «Serve il dialogo con tutti - sottolinea ancora Prodi - La stessa logica che cerco di usare sul discorso di Hamas». Il sostegno al presidente Abu Mazen è fuori discussione. Ma, rileva il premier, «non possiamo avere una pace con i palestinesi divisi, e lo sanno benissimo anche loro perché è chiaro che non ci sarà una pace di lungo periodo con due Palestine. Hamas esiste, è una struttura molto complessa che dobbiamo aiutare ad evolvere». «Tutto questo -insiste Prodi- deve essere fatto con trasparenza, chiaramente, discutendone come ho fatto con Abu Mazen e Olmert nel mio ultimo viaggio. L'obiettivo è due nazioni e due popoli che vivono in pace come due Paesi europei, ma bisogna spingere al dialogo affinché avvenga e -rimarca Prodi- non chiudersi a nessuno». Dialogo, dialogo ed ancora «dialogo»; con tutti, coinvolgendo i più diversi attori della scena internazionale, Hamas e Siria compresi. Hamas non può essere più una parola tabù, insiste Prodi. E se si vuole aiutare veramente lo sforzo di Abu Mazen e Olmert a compiere «i difficilissimi gesti di pace» necessari a ridare impulso al processo di pace occorre parlare con anche con i «cattivi» dell'area. Ovvero Siria -perché, rimarca il premier- «non ci sarà mai pace finché Damasco non farà parte del processo di pace»- Iran, Hamas e Hezbollah. Una linea di dialogo a tutto campo, di avanguardia per molti, che ha già provocato non pochi problemi interni ed internazionali a Palazzo Chigi e Farnesina. Ma alla bontà della quale il premier -in totale sintonia con il ministro degli Esteri Massimo D'Alema- crede fermamente e che si sta facendo strada come dimostra un ormai ampio dibattito internazionale che si è sviluppato sul ruolo da dare ad Hamas ed alla Siria. Prodi ha anche sgombrato il campo su una ipotesi ventilata nelle scorse settimane: una missione internazionale di pace nella Striscia di Gaza è per il momento «impossibile». Oggi è irrealistica, ha precisato, perché «non si può fare una missione di pace in situazioni conflittuali, quando non c'è un accordo tra le parti in gioco su come risolvere i problemi e sulla stessa utilità della missione».

Acritica anche la cronaca di Francesco Rizzi sul MESSAGGERO , sulle cui pagine Eric Salerno esalta la vittoria democratica di Hamas (la quale, democraticamente, ha partecipato alle elezioni in armi, sulla base di una piattaforma politica che prevede il terrorismo, la distruzione di uno Stato sovrano e un genocidio finale) e la fallita unità palestinese.
Particolarmente scorretta, su questo quotidiano, la titolazione.
A pagina 14 la cronaca di Rizzi e l'analisi di Salerno sono affiancate da un'intervista a Renzo Gattegna, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche,
Il titolo è "La comunità ebraica contraria: non si parla con gli estremisti".
Il titolo della cronaca di Rizzo è "Dobbiamo aiutare Hamas a evolvere", il sottotitolo "Prodi punta sul dialogo: non ci sarà pace finché ci saranno divisioni".
Il lettore poco informato ne evince facilmente che "la comunità ebraica" è contraria all' "evoluzione" di Hamas, un'innocuo gruppo appena un po' "estremista", al "dialogo" , alla "pace" e alla fine delle "divisioni"; probabilmente a quelle  tra israeliani e palestinesi,  anche se nelle dichiarazioni  di Prodi si tratta  in realtà di quelle tra Fatah e Hamas.
In prima pagina il pericoloso equivoco è ancora più forte .
Il titolo del richiamo è "Il premier: per la pace aiutiamo Hamas a evolvere. Il no delle comnità ebraiche".

Francesca Paci su La STAMPA per dar credito alla linea di Prodi cita le parole dell'ex ministro degli Esteri israeliano Shlomo Ben Ami, che  ripete la nota tesi per la quale con Hamas si dovrebbe  dialogare perché "ha vinto le elezioni",
Per lo meno dubbio nel caso palestinese (dato che alle elezioni partecipavano gruppi terroristici e non partiti) il principio è valido se applicato a Israele. Al governo italiano spetta "dialogare" con chi è oggi al governo in Israele.
Le cui posizioni su Hamas sono molto chiare. Ecco l'articolo (pagina 6):

Gerusalemme arde a quaranta gradi di temperatura, un’estate caldissima: ma le dichiarazioni di Romano Prodi gelano la Knesset, il parlamento israeliano. Il premier italiano ha detto proprio così, che bisogna dialogare con Hamas? Il concetto va ripetuto un paio di volte perché i politici lo digeriscano. Un mese fa, durante la visita di Prodi in Terra Santa, i giornali israeliani ne avevano enfatizzato l’affinità con «l'amico e collega» Ehud Olmert, sottolineando la comune fiducia nei palestinesi «moderati» rappresentati dal presidente Abu Mazen e la differenza rispetto alla Farnesina di Massimo D'Alema, favorevole a un’apertura di credito ai nuovi signori di Gaza. Allora, in un’intervista alla Stampa, l’ex primo ministro palestinese e leader di Hamas Ismail Haniyeh invitò senza successo Prodi a Gaza: il protocollo prevedeva solo meeting ufficiali, Gerusalemme e Ramallah.
L’Italia cambia idea? Mark Regev, portavoce del ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni, evita, abile, la polemica, spostando il discorso sui progressi delle ultime settimane: «Abbiamo fatto notevoli passi verso un’intesa bilaterale. Israele ha liberato moltissimi prigionieri palestinesi e scongelato le risorse finanziarie; è stata avviata la cooperazione sulla sicurezza e le economie iniziano a collaborare; il premier Olmert ha incontrato Abu Mazen a Gerico, la prima volta di un vertice nel territorio controllato dall’Autorità nazionale palestinese».
Hamas non è mai nominato, semplicemente non siede al tavolo delle trattative. Guai a pensare d’invitarlo: «Chi vuole dare riconoscimento ai nemici della pace non aiuta la pace». Non conta che Hamas rappresenti il popolo palestinese, che sia stato votato a maggioranza durante le prime elezioni democratiche del mondo arabo. Su questo il Ministero degli Esteri marcia compatto con l’ufficio del premier Olmert: «Il legittimo governo palestinese, l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale, dalle Nazioni Unite, dall’America, è quello di Abu Mazen e rappresenta tutta la popolazione, Cisgiordania e Gaza».
L’Italia è un partner amato da queste parti, parla una lingua amica tanto se tradotta in arabo che in ebraico. Ma nessuno conosce la realtà mediorientale meglio di chi la vive, ammonisce Ayelet Frish, portavoce del presidente Simon Peres. Peres lo ripeterà a Prodi e al Capo dello Stato Giorgio Napolitano il 5 settembre prossimo, quando sarà a Roma per una visita ufficiale: «Non possiamo dialogare con Hamas finchè non accetterà l’esistenza d’Israele, smetterà di lanciare missili Qassam oltre il confine, rinuncerà all’egemonia religiosa su l’intera area». Il neopresidente israeliano è un paladino della pace, che nel 1994 gli ha regalato il premio Nobel a sei mani con il collega Rabin e Yasser Arafat. Per Prodi farebbe bene a osservare cautela: «Se Hamas ha a cuore la sorte del suo popolo deve cambiare strategia, offrire alla gente speranza di vita e non di morte».
Il problema è tutto lì, nella strategia. Secondo l’ex ministro degli Esteri israeliano, il laburista Slomo Ben-Ami, l’unica chance di pace è la politica dei piccoli passi, scelte tattiche prima che strategiche. A cominciare da Hamas: «Da molto tempo sostengo la necessità del dialogo a 360 gradi con i palestinesi. Hamas dev’essere incluso nelle trattative perchè ha vinto le elezioni». Sia dunque benvenuto Prodi, dice, tra i veri nemici del terrorismo internazionale: «Solo aprendo le porte ad Hamas lo sottrarremo all’influenza della Siria e dell’Iran, l’asse del male». I palestinesi, divisi, tacciono. I primi ad essere confusi su chi debba rappresentarne le istanze.

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