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La Stampa Rassegna Stampa
11.08.2007 La storia di Orit Rahamim
che ha ingannato l'esercito israeliano per indossarne la divisa

Testata: La Stampa
Data: 11 agosto 2007
Pagina: 13
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Orit, ufficiale e bugiarda»
Nell'articolo di Francesca Paci pubblicato da La STAMPA dell''11 agosto 2007, dedicato a una vicenda in fondo minore come quella di Orit Rahamim, falso ufficiale dell'esercito israeliano, compare fin dalla prima riga l'idea che, non soltanto nelle modalità illegali scelti da questa donna, la volontà di servire il proprio paese sotto le armi sia antistorica  e i veri eroi siano i gli obiettori di coscienza che non vogliono essere impegnati nei territori nella lotta al terrorismo.

Ma Israele, al contrario, di un esercito ha bisogno. Perché la sua sicurezza, e e la sua stessa esistenza, continuano ad essere minacciate.

Ecco il testo:


I«refusenik» proprio non li digeriva. Per quanto cercasse spiegazioni nel Talmud della sua educazione religiosa, Orit Rahamim non riusciva a comprendere i connazionali obiettori di coscienza. Guai a parlarle di quelli di sinistra, che con il servizio militare rifiutano l’occupazione dei territori palestinesi, ma non capiva neppure gli altri, di destra, nemici della politica dello sgombero dei coloni fino all’ammutinamento. Diserzione. Un’eresia assoluta per lei, innamorata dell’esercito israeliano, l’IDF, Israeli Defence Force, al punto da immaginarsi in mimetica per tutta la vita. Quando al termine della leva obbligatoria i superiori le rifiutarono la candidatura per «incompatibilità», decise di servire lo stesso il suo Paese. Comprò uniforme, mostrine, fucile, l’intera attrezzatura taroccata, e si autoarruolò tra gli ufficiali. Per cinque anni il capitano di fanteria Orit Rahamin ha impartito e ricevuto ordini nelle caserme di Tzahal, una delle armate più sofisticate del mondo, senza che nessuno le chiedesse il documento di riconoscimento. Un’attrice così convincente da entrare e uscire dalle basi più segrete come una veterana. Finchè una settimana fa un commilitone l’ha denunciata per furto: tentava di rubare la tessera per acquistare divise e anfibi veri, voleva strafare ed è stata scoperta.
La storia di Orit Rahamin, la ventiquattrenne israeliana che sarà giudicata dal tribunale militare insieme ai traditori rei del peccato opposto, non finisce con l’arresto. Da giorni i generali dell’IDF sono chiusi in una specie di autocoscienza collettiva per ragionare sulla debacle degli apparati di sicurezza ma anche sulla metafora di un Paese sempre più diviso in due. Tel Aviv e Gerusalemme, la legalità dello Stato d’Israele e la dimensione mitica di Eretz Israel. «L’evoluzione moderna dell’israelianità che non stringe più un mitra Uzi ma abbraccia la cultura del laicismo contro il passato», come scrive l’ex ministro degli Esteri Shlomo Ben-Ami nel saggio «Palestina, la storia incompiuta», appena tradotto in Italia.
Nel mondo che inventa il «peacekeeping» e il «peaceenforcing» per esorcizzare la guerra, Orit Rahamin appare un’eroina antistorica. «Non è pazza», dicono gli psichiatri che l’hanno visitata all’ospedale di Gerusalemme, dove è stata ricoverata per un malore dopo la denuncia. «Di sicuro ha dei problemi di mente, ma agisce in modo lucido», aggiunge il maggiore Avi Brackman, capo della polizia investigativa. Prima di tutto il protocollo: «Era partita come semplice luogotenente, poi ha capito che a 24 anni meritava di più e si è promossa capitano».
Quattro anni fa, al congedo dall’esercito, Orit ha acquistato per 8 mila schekel, circa 1500 euro, un coppia di M16, la versione giocattolo del fucile d’assalto orgoglio di Tzahal. Poi, decorata dei gradi di capitano dell’unità di fanteria Givati, ha fatto il giro delle maggiori basi del Paese: si occupava di formazione e istruiva le matricole sui vantaggi di restare nell’esercito. Una carriera rapida e silenziosa. Lo scorso anno, durante la guerra, ha lavorato con gli artiglieri di Manara, al confine libanese, riscuotendo l’approvazione dei commilitoni che oggi, increduli, la scoprono una bugiarda.
Lei ammette di aver mentito, ma solo ai suoi genitori: «Ho raccontato ai miei che ero rimasta nell’esercito per il corso da ufficiale. Erano fieri di me». Anche lei lo era, convinta che quella di capitano fosse la sua vera identità: «Ogni mattina indossavo l’uniforme, mi guardavo allo specchio e mi salutavo». La depressione, confessata agli investigatori, nasceva proprio dal rifiuto dei comandanti: «In divisa mi sentivo me stessa». Guerriera nonostante tutto nel Paese della guerra permanente.
Un altro colpo al mito Tzahal, il super-esercito ossessione dei nemici arabi? L’IDF si affretta a precisare che «Orit Rahamim è un civile, nessuna delle sue azioni è stata approvata dall’esercito israeliano». Ma, nei corridoi del ministero della Difesa, gli ufficiali masticano amaro: «La ragazza era una graduata, ha assistito a conversazioni segrete». Come capitano non l’hanno voluta: se si fossa proposta come spia?

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