In un editoriale del “The New York Times” dell’ 8 agosto dal titolo: Why Terrorists Aren’t soldiers, ( Perche’ i terroristi non sono soldati) il gen. Wesley K. Clark, ex comandante in capo della NATO e gia’ canditato alle presidenziali del 2004 e Kal Raustiala, un professore di Legge sottolineano l’importante distinzione fra i due termini, “terroristi” e “combattenti” sostenendo che si dovrebbero giudicare i terroristi come criminali e non come soldati ovunque sulla stampa, alla radio e televisione e nelle corti di giustizia sia civile che militare.
Primo perche’ accordare ai terroristi lo status di soldati significherebbe dare loro una dignita’ che spetta di diritto solo ai soldati.
In una guerra tradizionale combattenti e civili sono facilmente distinguibili, i combattenti sono in uniforme e armati, ma con l’11 settembre, tutto e’ cambiato, i dirottatori vestivano abiti civili e hanno agito non come cittadini sauditi ma come membri di Al Qaeda, un network transnazionale che si propone di uccidere civili inermi e di seminare il terrore. Definendoli combattenti noi li eleviamo al rango di soldati, un rango che non meritano.
Se vogliamo sconfiggere i terroristi ovunque nel mondo dobbiamo negare loro ogni legittimita’ incominciando da un uso corretto delle parole che e’ la premessa indispensable per il raggiungimento della vittoria sul terrorismo.
Quindi a rigore di Lingua e a rigore di Legge si dovrebbero considerare i terroristi per quello che sono, cioe’ dei criminali della specie peggiore, quelli che fanno stragi di cittadini inermi. Dovrebbero essere chiamati con il loro vero nome, essere perseguiti, trascinati nei tribunali, processati e condannati.
Se non vogliamo mettere in pericolo i valori fondanti della nostra societa’ dovremmo fare questa importante distinzione che a distanza di sei anni dall’attentato alle torri di New York, non sembra che molti abbiano imparato a fare. Da qui tutti i” Qui Pro Quo” generati nei mezzi di comunicazione di massa e la confusione indotta nell’opinione pubblica che e’ sviata se si chiamano “combattenti” o “resistenti”, i terroristi che fanno strage di civili, fanno saltare in aria gente riunita per celebrare matrimoni, convenuta per un funerale o passeggeri in autobus o scolari nelle scuole. Costoro sono volgari assassini, sono dei criminali. Perche’ si esita ancora, come se si avesse paura a chiamarli “terroristi”? Perche’c’e’ ancora la persistenza dell’errore?
La risposta e’ nella constatazione che il giornalismo e’spesso a servizio dei partiti politici, non e’ sempre un servizio che si offre agli utenti e per il bene della collettivita,’ come dovrebbe essere.
Sappiamo come spesso i giornalisti sono dei furbi manipolatori, propagandisti e occultatori di verita’ dietro camuffamenti linguistici che non fan loro professionalmente onore.
Non e’ buon giornalismo quello di coloro che ad onta della deontologia professionale persistono nell’errore.
Si dovrebbe operare un’inversione di marcia e cominciare a chiamare fatti, persone e cose con il loro nome. Questa e’ un’altra battaglia da condursi affinando le nostre penne perche’ le parole se correttamente usate, esauriscono il significato semantico in esse contenuto senza la ricaduta di echi e strascichi sbagliati sugli ascoltatori.
Qui, in America, anche i democratici incominciano a ravvedersi degli errori linguistici che i mass-media fanno, errori che per lo piu’ dovuti alla estrema “ political correctness” degli Americani.
Mentre in Italia, D’Alema e Prodi mai chiamerebbero quelli di Hamas o gli Hezbollah ”terroristi” che è ciò che sono, e mai riconoscerebbero la differenza fra “giustiziare” come la Suprema Corte di Giustizia, a Bagdad, ha giustiziato Saddam Hussein e” assassinare” come a Teheran sono stati assassinati sulla pubblica piazza i gay, che secondo il comunicato della Farnesina sono stati invece“giustiziati”.
Mentre i due artatamente invertono il significato dei due verbi attinenti a due diversi campi semantici di cui il primo riguarda la Giustizia e il secondo riguarda l’Ingiustizia.
Sfrontatamente hanno chiesto clemenza per Saddam e poi timidamente protestano, contro le esecuzioni capitali del regime di Teheran dove si assassinano gli adulteri, i gay, i giornalisti e gli oppositori del regime.
Ma la verita’ e’ che dietro l’uso errato dei termini c’e’ il maledetto imbroglio del giustificazionismo degli stessi che vogliono giustificare le malefatte altrui con una malcelata connivenza che oltre che con i fatti si esprime con le parole che dovrebbero essere usate nella loro giusta accezione. A scanso di equivoci!