La scrittrice Taslima Nasrin sfugge al linciaggio da parte di fondamentalisti islamici
Testata: La Stampa Data: 10 agosto 2007 Pagina: 16 Autore: Pablo Trincia Titolo: «“Dovevo morire perché difendo le islamiche"»
Dalla STAMPA del 10 agosto 2007:
Mi hanno circondata, minacciata di morte e aggredita, tirandomi addosso vasi di fiori e grossi libri. Sono stata costretta a rinchiudermi in una stanza. Per qualche istante ho temuto che mi avrebbero uccisa. Se non fosse arrivata in tempo la polizia, probabilmente non sarei qui a raccontarglielo». È ancora sotto shock, la scrittrice bengalese Taslima Nasrin, mentre racconta il suo incidente di ieri mattina a Hyderabad. Era lì per presentare il suo ultimo libro, «Shodh» («Vendetta»). Doveva essere un evento culturale, e invece ha rischiato di trasformarsi in un linciaggio: durante il dibattito, una trentina di radicali appartenenti a un partito islamico locale, il Majlis-e-Ittehadul Muslimeen, si è scagliato contro di lei, prima verbalmente, poi fisicamente. Ce l’avevano con le sue idee, che parlano di una società islamica aperta all’innovazione e rispettosa dei diritti della donna. Quel genere di cose che i suoi detrattori più radicali non riescono a digerire. Per loro Taslima Nasrin si è macchiata di un peccato mortale: ha offeso l’Islam e il Profeta Maometto. Ma lei è abituata alle minacce: i suoi scritti le hanno procurato un esilio forzato dal Paese natale - il Bangladesh - insieme a cinque fatwa e a una vita sotto scorta costante nella sua nuova città, Calcutta. «È stato un atto di follia, inconcepibile in un Paese libero e democratico come questo - continua la Nasrin -. Mi era capitato altre volte di assistere a manifestazioni di protesta in giro per il mondo ma questa è stata una delle peggiori». Nata nel 1962 nella città di Mymensingh in quello che si chiamava Pakistan Orientale - e nove anni dopo è diventato il Bangladesh - Taslima Nasrin mostrava interesse per le materie letterarie già da giovanissima, poi si è laureata in medicina e ha trovato lavoro in un ospedale della capitale Dhaka. Ma non ha mai smesso di coltivare la passione per la letteratura e l’impegno contro la discriminazione sessuale, in un Paese in cui le donne sono spesso vittime silenziose di ogni genere di abusi. La stessa scrittrice ha raccontato nella sua autobiografia di essere stata molestata da piccola da alcuni familiari. Perché ce l’hanno tanto con lei? Nei suoi libri definisce «antiquate» le scritture sacre e le leggi religiose, parla dell’esigenza di un codice civile uniforme, che dia uguaglianza e giustizia alle donne. Per questo i fondamentalisti islamici ce l’hanno con lei, malgrado nel suo Paese sia considerata una delle intellettuali femministe più famose. E molti le hanno giurato vendetta. Tant’è che, nel 1994, la donna è stata costretta a lasciare il suo lavoro e a rifugiarsi in India, specie dopo l’emissione di tre fatwa che promettevano cifre da nababbi a chi si presentava con la sua testa tra le mani. Oggi su di lei c’è una taglia di mezzo milione di rupie (10 mila euro). «L’esilio è durissimo, mi manca il mio Paese», dice Taslima, che è cresciuta in una famiglia musulmana e oggi si definisce atea. «Ma è anche vero che quelli che mi vogliono morta sono una minoranza. La maggior parte della gente, qui e in Bangladesh, crede in una società più libera e nella quale le donne vengano rispettate». C’è chi non è d’accordo. «A Taslima Nasrim è andata fin troppo bene», ci dice Akbar Owaisi, presidente di Majlis-e-Ittehadul Muslimeen, raggiunto telefonicamente ieri pomeriggio. «Meriterebbe di morire per il modo in cui ha offeso i sentimenti dei musulmani, insultando il nome del profeta Maometto. La sua non è letteratura, ma un costante attacco alla nostra religione. È meglio che non metta mai più piede a Hyderabad. Se lo facesse, non tornerebbe a casa viva».
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