L'Europa e l'islam nella visione di Josè Maria Aznar intervista all'ex premier spagnolo
Testata: Il Foglio Data: 07 agosto 2007 Pagina: 3 Autore: Francesco De Remigis Titolo: «Il reconquistador moderato»
Dal FOGLIO del 7 agosto 2007:
Ameno di un anno dal voto che eleggerà il nuovo Parlmento spagnolo – oggi a maggioranza socialista – il Partito popolare di centrodestra (Pp) si presenta con una leadership diversa da quella cui l’ex premier José Maria Aznar aveva abituato gli osservatori nei quindici anni di gestione. Il suo è stato – ed è ancora – il progetto riformista che ha fatto avanzare la Spagna nel ranking delle nazioni fino a procedere verso la “reconquista” di un ruolo internazionale per Madrid, a cominciare dall’Europa. A colloquio con il Foglio, l’ex premier rivela le insidie di un momento storico che vede il governo guidato dal socialista José Luìs Rodriguez Zapatero in un contesto “eccezionale”. “Zapatero ha ereditato la situazione più prospera che sia mai esistita nel paese – spiega l’ex premier – Il prodotto interno lordo della Spagna è cresciuto e la congiuntura economica continua a essere influenzata positivamente dalle riforme avviate da noi e dalla ‘rivoluzione’ rappresentata dalle nostre liberalizzazioni. Non è proprio la stessa cosa prendere in mano uno stato con un deficit del 7 per cento (prima del mio mandato) o con l’1 per cento, guidare un paese con 12 milioni di abitanti che lavorano e lasciarlo a chi viene dopo con 18, come abbiamo fatto noi. Questi sono due elementi che si inseriscono di diritto nel bilancio positivo delle nostre politiche che oggi vanno a vantaggio dell’esecutivo socialista. Al momento, il governo di Zapatero carica il budget di spese sempre più pesanti, approfittando di questo vantaggio non ancora totalmente dilapidato. Ma il prossimo futuro dirà se lo stato potrà sopportare ancora per molto queste incoerenze, anche se al momento la situazione economica spagnola sembra mantenersi positiva. Politicamente parlando, credo di poter dire che siamo in mano a un radicale che non possiede le qualità necessarie per essere il capo del governo spagnolo. Le sue decisioni stanno per provocare lo smembramento, la destrutturazione dello stato e la ‘snazionalizzazione’ del paese. Argomenti gravi che fanno in modo che la Spagna si diriga verso una crisi nazionale di una gravità assoluta”. Per quanto riguarda il radicalismo di Zapatero, prosegue Aznar, “si tratta del radicalismo duro e puro del ’68. Per me è come riviverlo quarant’anni dopo, con tutto ciò che questo implica sotto il profilo del settarismo, mettendo a rischio la Spagna, che si ritrova divisa anziché unita. La politica è costituita dai ‘faccio’, da ciò che si fa, piuttosto che dagli slogan. Oggi la Spagna è più debole. Gli spagnoli non sono mai stati così angosciati riguardo al futuro del loro paese. Lo stato sta per smembrarsi con il separatismo incoraggiato da Zapatero e dalla sinistra. Tutto ciò è il risultato di decisioni profondamente errate e dannose. Una cosa è vedere un dirigente politico promettere molto ai suoi elettori durante le elezioni, comprese le promesse stupide, ma più grave è mettere in pratica gli errori e le promesse più stupide una volta che si è al potere: un atteggiamento responsabile sarebbe stato quello di rimetterle in questione. Questa capacità di autocritica e di ragionamento fa la differenza tra un dirigente adatto a governare e un uomo politico che non possiede le qualità necessarie”. Nel 2008 sarà Mariano Rajoy a scontrarsi con i socialisti. Assieme a lui e a un nuovo modo di esercitare la leadeship – “differente ma non conflittuale con la mia gestione”, dice al Foglio – Aznar segue con una certa preoccupazione le riforme di Zapatero. Il dibattito cresce attorno a due di queste, in particolare: nei giorni scorsi il premier socialista ha proposto un assegno di 2.500 euro per ogni nuovo nato (“più famiglie con più figli” è lo slogan che accompagna un’operazione gradita anche all’elettorato popolare), ma a preoccupare di più Aznar è la temuta “Educación para la Ciudadania”, l’insegnamento della diversità sessuale nelle scuole da introdurre come materia scolastica obbligatoria, secondo la quale Zapatero vorrebbe attribuire allo stato il titolo di “educatore morale”. Queste analisi nascono nel quartier generale madrileno della Fondazione Faes, il think tank liberale presieduto da Aznar sin dalla nascita, nel 2002, dove il Pp attinge idee e uomini, studia l’evoluzione della Spagna, dell’Europa e degli Stati Uniti. Con il sostegno dell’ex primo ministro, infatti, i popolari spagnoli stanno cercando la chiave più efficace per vincere le elezioni del 2008. Aznar è convinto che “una Spagna con Mariano Rajoy presidente del Consiglio sarà utile anche all’Europa, grazie alla sua forza propositiva”. Rajoy è un politico dall’impronta decisa anche nel modo di esercitare la leadership dentro il Pp, ma il partito resta inevitabilmente custode degli insegnamenti di José Maria Aznar. “Infatti non credo che il mio harakiri sarebbe molto utile per Rajoy. E per questo non lo farò. Le successioni sono sempre difficili – spiega – Sono stato il leader di un partito per 15 anni, il Pp, il partito più potente e popolare della Spagna. Noi l’abbiamo convertito in un grande punto di riferimento per gli Stati Uniti in Europa. Accetto che si dica che ho messo in campo un tipo di leadership forte. Ma non credo che ciò sia un inconveniente o che la mia esperienza tolga chissà cosa a Mariano Rajoy, al quale io auguro il meglio, e del cui successo nelle prossime scadenze non dubito”. Aznar non nasconde che una vittoria del centrodestra offrirebbe alla Spagna la possibilità di sedersi in Europa, accanto ad Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, avendo già elaborato un’idea chiara sul futuro dell’Unione. Al Foglio l’ex primo ministro spagnolo spiega che lo stallo europeo è anzitutto politico. “E’ necessario che Bruxelles definisca i propri confini, ritrovi le radici giudaico- cristiane, ma soprattutto sento la necessità di un riarmo morale che parta dai valori di base dell’occidente, quelli dell’umanesimo”. “L’Europa non è illimitata nei suoi confini: l’ingresso della Turchia in Europa, per esempio, non mi trova d’accordo. Mi sento di dire chiaramente che una sua adesione è attualmente impossibile. Certo gli scambi devono essere incoraggiati e rinforzati in più settori, ma i responsabili europei devono avere l’onestà di dire che l’adesione turca è attualmente impossibile. Penso che l’Unione europea non sia capace di assimilare una popolazione di 80 milioni di abitanti in maggioranza musulmani, non ancora pronti alle norme, alle mentalità e alle istituzioni europee. Non dimentichiamo che con il Trattato europeo semplificato, che prevede un sistema di poteri basato sulla maggioranza qualificata (che privilegi la demografia), la Turchia diventerà il paese con la maggiore percentuale di voti al Consiglio e al Parlamento europei. Conviene dunque privilegiare delle relazioni speciali, ma non l’adesione, e in ogni caso non allo stato attuale. Cerchiamo in un primo momento di assimilare i paesi dell’Europa dell’Est ex membri del Patto di Varsavia e sovietici, cosa che costituisce già una sfida parecchio complessa e di lungo respiro”. Aznar spiega che con qualche piccolo cambiamento iniziale al Trattato di Nizza si sarebbero potuti evitare numerosi problemi. Quanto al Trattato costituzionale, “si trattava essenzialmente di un problema di suddivisione dei poteri. Tutto il resto era annesso. Alcuni paesi non sono stati soddisfatti dal Trattato di Nizza e decisero che bisognava cambiare, da cui il Trattato costituzionale. Ebbene, il suo rifiuto fu globale. Coloro che lo hanno rifiutato non hanno mai detto di voler conservare questo e rifiutare quello. Di conseguenza, trovo scioccante reinserire nel trattato semplificato giustamente la parte più problematica del progetto rifiutata dal referendum, quella che ripartisce i poteri, e che dovrà essere approvata non dai cittadini ma direttamente dai Parlamenti. Lì, non mi stupisco più che il deficit di fiducia verso le istituzioni europee cresca sempre più. Ciò che è stato rifiutato dal referendum e sta per essere approvato dai Parlamenti difficilmente sembrerà legittimo”. L’ex premier spagnolo nota pure una mancanza di chiarezza nella definizione delle relazioni con gli Stati Uniti, da inserire in un quadro di difesa e di politica estera e di sicurezza condivisa con l’Unione europea. Un piano necessario per gestire i conflitti, il terrorismo e ogni forma di difesa senza cadere in equivoci. “Prendiamo il medio oriente – dice chiaramente Aznar – Israele è una nazione che ha il diritto di esistere entro confini sicuri e riconosciuti internazionalmente, perché è una nazione democratica che fa parte in modo essenziale del mondo occidentale”. “La minaccia cui è sottoposto Israele non è soltanto una questione vitale per gli israeliani, tocca in profondità tutte le democrazie del mondo. Non possiamo dimenticare neppure che la legittimità deriva da qualcos’altro rispetto ai processi elettorali. Non si gode di legittimità soltanto perché si è stati eletti. Difendere, con l’avallo delle urne, il terrorismo o la sparizione di una nazione che ha tutto il diritto di esistere delegittima chiunque. Per questo non credo che un’organizzazione come Hamas, che usa il terrorismo e agisce per la cancellazione di Israele, si possa considerare legittima. E’ in questo contesto che va considerata l’azione di Israele. Il muro potrà piacere o no, ma è servito per evitare attacchi terroristici. Altre scelte di Israele possono essere criticabili, e io le critico, ma prendono spunto sempre dal diritto che ha Israele di difendersi e di esistere”. Assieme all’attuale crisi mediorientale, Aznar non si sottrae a un altro teatro di crisi internazionale, che nel 2004 vide la Spagna esposta al ricatto degli islamisti, l’Iraq. “Gli spagnoli votarono il 14 marzo del 2004 in mezzo a una grande tensione emotiva. Sono trascorsi più di tre anni da quei giorni terribili e oggi possiamo individuare le responsabilità di ognuno. Nessuno ha messo in discussione la legittimità delle elezioni, ma ogni giorno è sempre più chiaro che i terroristi hanno raggiunto l’obiettivo che cercavano, condizionare il processo elettorale. E’ un motivo, questo, di riflessione molto profonda per tutte le democrazie, perché nel 2004 è accaduto qualcosa che può ancora succedere. La decisione di ritirare le truppe spagnole dall’Iraq, che fu presa a metà tra un compromesso con la comunità internazionale (fu ampliata la presenza in Afghanistan, ndr) e le promesse di Zapatero in campagna elettorale, è stata considerata dai terroristi una vittoria importante. L’esperienza dimostra che quando i terroristi ottengono una vittoria si rafforzano. Il terrorismo, sia jihadista sia di altra matrice, agisce d’accordo con il suo piano strategico. Gli attacchi sono attuati per raggiungere obiettivi. Nel caso del terrorismo jihadista è assurdo cercare di spiegare la ragione dell’odio in base alle azioni dell’occidente”. Aznar non fa nomi, ma rispondendo a questa domanda sembra avere in mente i ministri degli Esteri europei, compreso Massimo D’Alema, che insistono su questa posizione e che, il mese scorso, hanno firmato una lettera indirizzata a Tony Blair per chiedere un’apertura europea a Hamas (Blair è stato da poco nominato inviato in medio oriente del Quartetto). L’ex premier di Madrid ritiene invece che i terroristi “odiano le democrazie occidentali per quello che sono e per ciò che rappresentano. Per gli stessi motivi vogliono distruggerle, attaccano quando possono e in attesa di occasioni propizie cercano di seminare il caos in Iraq e smontare laggiù il germe di una democrazia nascente”. I terroristi, secondo Aznar, “non sopportano l’idea di un regime democratico né in Afghanistan né in Iraq. Per questo credo sia fondamentale assistere i governi affinché si possa garantire la sicurezza nel miglior modo possibile. Un ritiro potrebbe avere conseguenze gravissime nell’uno e nell’altro caso”. Un altro punto dal quale Bruxelles non può prescindere in futuro riguarda la congiuntura economica, dice Aznar al Foglio: “Bisogna riformare nettamente le dinamiche che la animano, procedere verso un’economia aperta, liberale, competitiva. Sono queste le uniche scelte che permetteranno all’Europa di continuare a competere con le altre nazioni”. Per esempio, dice Aznar, “penso che l’indipendenza della Banca centrale europea sia una meta da raggiungere e che i governi non debbano interferire con le decisioni della Bce”. C’è poi un quarto punto che non è ancora stato affrontato chiaramente, spiega l’ex primo ministro spagnolo: “La definizione di una politica concreta contro il terrorismo in materia di flussi migratori. Gli immigrati sono persone e come tutte le persone devono rispettare la legge. Dal canto loro, gli stati hanno l’obbligo di combattere il traffico di esseri umani e gli incassi che ne derivano”. Secondo Aznar, “essere permissivi con l’illegalità è sempre un errore, e l’immigrazione non può rappresentare un’eccezione, né in Spagna né in Francia, in Italia o nel Regno Unito”. Una direttiva comunitaria ha aperto ulteriormente agli immigrati, facilitando ingressi e ricongiungimenti. “Per questo il dibattito in Europa sul tema non può essere separato dal dibattito sulla riforma del welfare nei diversi paesi. Una politica razionale e lungimirante deve cercare l’integrazione delle persone nella società, integrazione valutando in modo responsabile le capacità di assorbimento. Sono questi i principi di base che qualsiasi politica migratoria deve considerare per non risultare fallimentare. Gli immigrati sono persone con libertà, ma anche responsabilità, e come tali devono essere trattati”. Al Parlamento europeo sui temi dell’immigrazione i popolari sono abbastanza concordi, pur nelle diverse sfaccettature, anche se alcuni partiti discutono in questi giorni proprio di un possibile ingresso. Alleanza nazionale, per esempio, è molto corteggiata dai popolari europei, anche se Gianfranco Fini ha idee molto diverse da quelle di Aznar sull’ingresso della Turchia in Europa. Aznar non si sottrae a un commento, ma risponde diplomaticamente: “Gianfranco Fini è un buon amico e un politico con principi e valori, per questo credo che il suo posto sia, senza dubbio, nella grande famiglia dei popolari europei che difende i valori liberali e conservatori. Non sta a me parlare della sua decisione, ma la mia opinione è chiara”. E riguardo la probabile candidatura in Campidoglio del presidente di An, l’ex premier risponde: “Sono convinto che Fini ha davanti a sé un brillante futuro politico, potrebbe essere un eccellente sindaco di Roma o qualsiasi cosa decida di fare…”.
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