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06.08.2007
Invocare il pluralismo per distruggerlo
è ciò che fanno i fondamentalisti islamici
Testata : Corriere della Sera
Data : 06 agosto 2007
Pagina : 2
Autore : Christopher Hitchens
Titolo : ««I nemici dell'intolleranza devono alzare la voce senza accettare il fanatismo»»
Dal CORRIERE della SERA del 6 agosto 2007: L a scorsa settimana, il sito web On Faith, ( newsweek.washingtonpost.com/onfaith/) ha dedicato vari giorni a una discussione sulla religione dell'Islam. Come accade spesso in casi del genere, la ricerca di versioni «moderate» di tale credo era in atto ben prima che iniziasse il dibattito vero e proprio. Se io fossi musulmano, questa stessa ricerca rappresenterebbe la parte più «offensiva » della faccenda: perché mai dovrei dimostrare che la mia fede più profonda debba avere della «moderazione»? Sempre che non sbagli, un sincero musulmano ha solo il dovere di affermare che esiste unicamente un solo dio, e che il Profeta Maometto è stato il suo messaggero, per comunicare in tal modo il verbo definitivo di Dio all'umanità. Certe pratiche sono designate a seguire questa affermazione di fede: l'obbligo, per esempio, di pregare cinque volte al giorno, la promessa di recarsi alla Mecca qualora tale viaggio sia possibile, digiunare durante il Ramadan, e un pio voto di dare l'elemosina ai bisognosi. L'esistenza dei djinni, o diavoli, è difficile da sconfessare, perché è stata asserita dal profeta. Talvolta viene menzionato l'obbligo al jihad, o combattimento, lotta, e persone intelligenti si chiedono se il concetto di «guerra santa» vada interpretato come conflitto personale, o, piuttosto, politico. Non esiste una reale autorità, nel mondo musulmano, che possa risolvere in modo definitivo tale questione, e le persone per le quali la sfera personale è altamente politica sono diventate negli ultimi tempi tristemente note. Come conseguenza, la fede islamica è tanto per cominciare una posizione estrema. Non esiste essere umano che possa rivendicare con assoluta certezza l'esistenza di un Dio, o che ci siano, o ci siano stati, altri dei che vadano ripudiati. E quando queste affermazioni ontologiche si sono scontrate, come avrebbero dovuto, con i limiti imposti dalla logica, è ulteriormente al di là della capacità cognitiva di qualsiasi essere umano poter asserire senza imbarazzo che il signore della creazione abbia affidato le sue parole definitive a un mercante poco istruito dell'Arabia del Settimo secolo. Chi proferisce assurde fanfaronate di questo tipo, anche varie volte al giorno, non sa, per definizione, di cosa stia parlando (mi affretto ad aggiungere che chi vanta di sapere di un Mosè che divide il Mar Rosso in due, o di una vergine che ha il ventre ingrossato, è esattamente nella stessa posizione). Diventa infine impossibile determinare se jihad significhi dare più elemosina, o compiere massacri più fanatici, per dire, dei musulmani sciiti. Per quale motivo, allora, dovremmo sentirci in dovere di portare «rispetto» a persone che insistono di conoscere, loro sole, qualcosa che è a un tempo in-conoscibile e non-falsificabile? Qualcosa che, inoltre, può repentinamente trasformarsi in licenza di violentare e di uccidere? Come persona che ha in alcune occasioni sfidato pubblicamente la propaganda islamica, e cui è stato detto che in tal senso ha «insultato un miliardo e mezzo di musulmani», posso affermare di avere un sospetto: esiste in quella dichiarazione una inequivocabile nota di minaccia. No, io non credo neanche per un momento che Maometto intraprese un «viaggio notturno» alla volta di Gerusalemme su un cavallo alato, e non mi interessa se neanche 10 miliardi di persone declamino il contrario: non so perché dovrei. Il fatto è che la richiesta di «rispetto» da parte dei musulmani è armata da una credibile minaccia di violenza. Ho davanti agli occhi la recente notizia di uno studente della Pace University di New York che è stato arrestato per avere commesso un hate crime, un delitto dell'odio, dopo avere, si presume, gettato via una copia del Corano. Niente mi disgusta maggiormente dell'incendio o della profanazione di libri, e se, per esempio, il libro in questione fosse stato un volume proveniente da una biblioteca pubblica o universitaria, vorrei sperare che tale atto venisse considerato come minimo un'infrazione. Tuttavia, se io sputo su una copia di scritti di Ayn Rand o di Karl Marx o James Joyce, sarebbero soprattutto fatti miei. Quando, dopo essere entrato in una stanza di albergo, butto dalla finestra la mia (non richiesta e gratuita) copia della Bibbia di Gedeone o del Libro dei Mormoni, io non infrango alcuna legge, se non quella forse, che riguarda dove gettare la spazzatura. Perché non operiamo questa distinzione nei riguardi del Corano? Solo, semplicemente, per paura; perché i fanatici credenti in quel particolare testo sacro hanno dimostrato ancora una volta che quando arrivano all'intimidazione, fanno sul serio. Questo dovrebbe andare a loro discredito, non a loro credito. Si sarebbe dovuto magari chiedere agli Imam ‘moderati' di «On Faith», senza falsi termini, se anche loro facciano, o non facciano, delle negoziazioni con un'arma da fuoco sul tavolo, o no? L'incidente verificatosi alla Pace University diviene ancora più grottesco e sinistro se ricordiamo che gli Islamici, al momento, sono alla testa della competizione globale del book-burning, l'incendio dei libri. Dopo che la voce di un Corano finito nel gabinetto della prigione militare americana di Guantanamo si sparse in modo irresponsabile, una grande folla in Afghanistan dette alle fiamme un'antica biblioteca che conteneva (il Presidente Karzai lo fece notare) a sua volta, tante copie antiche dello stesso testo. Non contenti di avere bruciato numerose copie dei «Versi satanici», i partiti islamici del linciaggio richiesero che venisse bruciato vivo anche il suo autore, Salman Rushdie. Molti noti autori, musulmani e non, sono morti o sono in clandestinità a causa di parole che hanno scritto sulle incredibili rivendicazioni dell'Islam. È per placare tale spirito di persecuzione e intolleranza che uno studente di New York è stato arrestato per avere espresso, seppure in modo volgare, una sua opinione. Tutto ciò deve finire, e subito. Non si possono fare concessioni alla sharia (il codice di legge che si basa sul Corano) negli Stati Uniti. Quando è invece che si arriverà a vedere qualcuno dietro le sbarre, o anche solo ammonito, per avere incitato l'incendio di libri, nel nome di Dio? Se la polizia fosse sinceramente interessata a questa sorta di «delitti dell'odio», potrei anche darle una mano a identificare quanti hanno passato gran parte dello scorso anno a scagliare minacce fisiche contro la ristampa, in questo Paese, di certi cartoon danesi. Difettiamo di procedimenti giudiziari imparziali, per questo dobbiamo insistere sul fatto che i musulmani, anche loro, corrano il rischio di venire sconvolti, allo stesso modo in cui noi, che non aderiamo alle loro arroganti certezze, siamo disgustati dall'orrendo comportamento dei partiti di Dio. Si dice spesso che opporre resistenza al jihadism fa solo aumentare il numero delle sue reclute: per quel che ne so, è un luogo comune che ha l'aria di rispondere a verità. Se è vero, tuttavia, può avere valore in due sensi: perché infatti non ricordare agli islamici che, a causa della loro folle politica nel Kashmir (una regione coinvolta da tempo in una disputa territoriale con India e Pakistan), e altrove, si sono fatti dei nemici mortali in un miliardo di indù Indiani? Non c'è forse pericolo che il massacro di iracheni e libanesi cristiani, o la minaccia di morte di tutti gli israeliti, possano causare una reazione contraria e della stessa portata? Infine, questa è la considerazione più importante, cosa diranno e faranno quelli di noi che non prendono alcuna posizione in certi sporchi conflitti religiosi? I nemici dell'intolleranza non possono essere né tolleranti, né neutrali, senza essere invitati al proprio suicidio: agli avvocati e gli apologeti del fanatismo, della censura e del suicidio-assassinio non si può più concedere riparo sotto l'ombrello di un pluralismo che loro, apertamente, cercano di distruggere. © C. Hitchens, 2007, distribuito dal New York Times Syndicate Per inviare una e-mail alla redazione del Corriere della Sera cliccare sul link sottostante
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