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La Stampa Rassegna Stampa
05.08.2007 Cronaca delle elezioni in Libano
senza trascurare la disinformazione su Israele

Testata: La Stampa
Data: 05 agosto 2007
Pagina: 15
Autore: Lorenzo Trombetta
Titolo: «“Vincerò e sarà triste”»
Il Libano  "saccheggiato dalle potenze regionali e internazionali, in primis Israele e Siria."
La Siria che "non poté"  accettare l’accordo tra Israele e Bashir Gemayel.
Il quadro della situazione libanese delineato da Lorenzo Trombetta sulla STAMPA del 5 agosto 2007  nella sua cronaca sulle elezioni nel distretto cristiano del Metn cerca di presentarsi come equlibrata, ma non lo è.
Mentre la Siria ha occupato il Libano in nome dell'ideologia della grande Siria, Israele, attaccata prima dall'Olp e poi da Hezbollah ha sempre condotto guerre difensive.
Anche l'accordo con Bashir Gemayel aveva una natura difensiva: se Gerusalemme doveva difendersi dal terrorismo di Arafat, i cristiani maroniti avevano subito massacri (anche da parte dalla stessa Olp) nel corso della guerra civile libanese. Nella quale Damasco e le sue mire espansionistiche giocavano evidentemente un ruolo. Ecco perché la Siria "non potè" accettare l'accordo tra Israele e Gemayel

Ecco il testo dell'articolo:


Vincerò, ma sarà una vittoria molto triste». Commosso fino alle lacrime e con la voce rotta coperta dagli applausi dei suoi seguaci, Amin Gemayel aveva annunciato così dieci giorni fa la sua candidatura alle elezioni suppletive che si svolgono oggi nel distretto cristiano del Metn, ai margini nord-orientali di Beirut, indette, assieme a quelle del collegio di Beirut Ovest, per non lasciare vacanti i due seggi in Parlamento del cristiano-maronita Pierre Gemayel, figlio di Amin, e del musulmano sunnita Walid Eido, deputati antisiriani uccisi rispettivamente nel novembre e nel giugno scorsi.
Ancora una volta, shaykh Amin, ex presidente della Repubblica (1982-88) e ormai unico erede di una delle casate più illustri della storia politica del Libano contemporaneo, è dovuto uscire dall’ombra e tirare fuori le unghie dopo l’ennesimo lutto familiare. Nel 1982, dopo l’uccisione del fratello Bashir, appena eletto presidente e carismatico leader del partito delle Falangi, Amin era sceso in campo ed era stato eletto a capo di uno Stato che non c’era ormai più, distrutto da anni di guerra civile (1975-90) e saccheggiato dalle potenze regionali e internazionali, in primis Israele e Siria.
Proprio Damasco, che non poté allora accettare l’accordo con Israele siglato da Bashir, fu accusata di esser dietro l’attentato che tolse la vita al giovane rais. Anche nel novembre scorso, per gran parte della stampa locale e straniera, sarebbe stato il regime siriano a ordinare l’eliminazione del figlio di Amin, Pierre, giovane ministro dell’Industria.
Oggi Amin ha i capelli bianchi, ma la pettinatura è quella di sempre. Quella della celebre foto in cui assiste Bashir, presidente della Repubblica, e con lui si alterna al tavolo dei telefoni a seguire i drammatici eventi del conflitto interno. Ma Amin da tempo siede solo a quel tavolo, e i libanesi sono ormai abituati a contemplare l’espressione in lutto e persa nel vuoto di un uomo che ha passato più tempo a ricevere condoglianze che a sorridere.
Quando ha annunciato in diretta tv la candidatura alle elezioni di oggi, Amin non ha evitato di ricordare la lunga striscia di morte che ha colpito la sua famiglia, salutando anche la piccola Maya, la figlia di Bashir che nel 1978, ad appena 4 anni, venne uccisa da un’autobomba a Beirut.
«Facciamo di tutto perché il Metn non diventi un sobborgo di Damasco», aveva detto venerdì l’ex presidente, toccando il tasto forse più caro ai libanesi che nel 2005 parteciparono alla cosiddetta Rivoluzione dei Cedri, il movimento popolare sostenuto da Francia e Usa che spinse la Siria a ritirare le sue truppe dal Libano. L’avversario di oggi di Amin è Camille Khuri: lo sconosciuto candidato scelto dall’ex generale Michel Aoun, anch’egli cristiano maronita, per contrastare il fronte governativo antisiriano, sostenuto da Stati Uniti, Unione Europea e paesi arabi del Golfo. Aoun è un alleato di Hezbollah e ha consentito al Partito di Dio di legittimare come «trasversale» alle varie comunità la sua opposizione, appoggiata da Damasco e Teheran, al governo filoccidentale di Fuad Siniora.
L’ormai anziano Amin, nella sua casa di Bikfayya, il villaggio natale nel cuore del Metn, rischia però di non vincere questa ennesima battaglia: Aoun è forte non solo dei voti dei suoi elettori (nelle legislative del 2005 ottenne nello stesso distretto più del 60 per cento delle preferenze), ma anche del sostegno della comunità armena, qui concentrata e tradizionalmente fedele a un altro capoclan, il greco-ortodosso Michel al-Murr, uomo di Damasco per eccellenza.
E a nulla sono serviti i tentativi dei giorni scorsi del patriarca maronita, il cardinale Butros Sfeir, di «ricomporre le fila dei cristiani» e di evitare ulteriori tensioni, come già avvenuto a gennaio, quando i seguaci dei due schieramenti si sono dati battaglia a colpi di bastone e pistolettate proprio all’ingresso del Metn. «Comunque vada, resterò a fianco del mio popolo per continuare la lotta di mio fratello Bashir e di mio figlio Pierre», ha ripetuto più volte Amin in campagna elettorale. Venerdì scorso, prima di scendere le scalette del suo palco, l’ex presidente ha alzato ancora una volta le dita in segno di vittoria, ma questa volta lo sguardo tradiva la paura.
Amin Gemayel
L’ex presidente ha deciso di correre per il seggio del collegio di Metn lasciato vacante dopo l’uccisione del figlio Pierre.

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