Bush ha fatto la cosa giusta in Iraq Stefano Magni intervista il politologo Rudolph J. Rummel
Testata: L'Opinione Data: 03 agosto 2007 Pagina: 0 Autore: Stefano Magni Titolo: «Dalla parte di Bush»
Da L'OPINIONE del 3 agosto 2007:
Rudolph J. Rummel è uno dei maggiori studiosi delle relazioni internazionali. Professore emerito all’università delle Hawaii, nel 1996, per i suoi studi sulla pace democratica, è stato candidato al premio Nobel per la pace. Nel 1994 era già diventato celebre in patria per “Death by Government” (“Stati assassini”, Rubbettino 2005), il primo e unico studio comparato sui grandi stermini di massa commessi dagli Stati nel XX secolo, considerato da molti accademici (soprattutto negli Stati Uniti) come una vera e propria piccola rivoluzione negli studi di relazioni internazionali. La tesi di Rummel è semplice quanto controcorrente: la democrazia liberale è la migliore applicazione della non violenza. Perché le democrazie liberali non si combattono tra loro, riducono il rischio di guerre e conflitti civili al loro interno e soprattutto non sterminano deliberatamente i loro cittadini. Contrariamente alla maggior parte degli studiosi di relazioni internazionali, Rummel sostenne la politica di ingerenza umanitaria nei Balcani alla fine degli anni ’90 e oggi è uno dei più accesi sostenitori della politica di George W. Bush e dell’intervento in Iraq.
I media mainstream, sia in Italia che negli Stati Uniti, solitamente sostengono che la strategia americana in Iraq sia fallita. Ma la guerra in Iraq può veramente considerarsi come una “guerra sbagliata”? No, è una delle tante battaglie della guerra al terrorismo. Le altre sono combattute in Afghanistan, in Libano nell’Autorità Palestinese e altrove. L’Iraq è stato un successo di altissimo livello. Un dittatore sanguinario e la sua gang di assassini sono stati eliminati, ora c’è una costituzione approvata dal popolo e un governo eletto democraticamente. Ci sono anche un’insurrezione e un terrorismo sistematico contro il governo e le forze guidate dagli Stati Uniti, ma non possono oscurare questi fondamentali successi.
L’operazione "Iraqi Freedom" viene spesso identificata come “la grande menzogna delle armi di distruzione di massa”. Questa guerra può essere considerata come un frutto di un errore di intelligence? No, perché è chiaro, da tutto ciò che abbiamo scoperto dopo la sconfitta di Saddam Hussein, che il dittatore iracheno stava lavorando per dotarsi di armi nucleari e per incrementare la sua scorta di armi chimiche e batteriologiche. Non ci può essere alcun dubbio che le avesse già. Le usò contro i curdi e più volte contro gli Iraniani durante la guerra che combatté contro di loro.
Cosa potrebbe accadere nel caso la coalizione si dovesse ritirare dall’Iraq? Scoppierebbe una guerra civile generale e sarebbe sconfitto il governo iracheno, vi sarebbe un vasto democidio misurabile in centinaia di migliaia di morti. Vi sarebbe inoltre una demoralizzazione delle forze che combattono il terrorismo ovunque nel mondo e un passo indietro per i movimenti filo-democratici nel Medio Oriente.
Gli americani continueranno a “tenere duro” o cambieranno strategia in Iraq? Dipende tutto se i democratici vinceranno o meno le elezioni presidenziali del 2008. Se le vinceranno, gli Stati Uniti ritireranno le loro forze così come hanno fatto nella guerra del Vietnam. La miglior strategia non è comunque quella di “tenere duro”, ma di aumentare le forze a guida americana presenti in Iraq nella misura di poter sconfiggere le forze della guerriglia e dei terroristi, oltre che di guidare la costruzione di un nuovo esercito iracheno.
Approverebbe un’azione militare contro l’Iran nel caso fallisse la diplomazia? Sì.
La Corea del Nord ha costituito un grave pericolo per la sicurezza regionale, ma adesso sta smantellando i suoi impianti nucleari. Il pericolo nordcoreano è finito? No, hanno fatto promesse in passato e non ne hanno rispettata nemmeno una dopo aver ricevuto gli aiuti che erano stati loro promessi come forma di incentivo. Dobbiamo attendere e vedere che cosa accadrà dopo che avranno ricevuto tutti gli aiuti che la Corea del Sud ha promesso loro.
Come ci si dovrebbe comportare con la Corea del Nord? Quel che si sta facendo ora: aspettare e vedere.
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