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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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T. Cooper Due biondi pieni di rabbia 03/08/2007

Due biondi pieni di rabbia                      T. Cooper

 

Mondatori                                                Euro 17

 

 

“Alcune parti sono vere, altre inventate. E ancora altre sono inventate, ma da eventi totalmente veri”. Lo dice T. Cooper, il personaggio che porta lo stesso nome di chi l’ha creato, ossessionato dalla natura fluida dell’identità e della realtà. In effetti, tutto è doppio per T. Cooper: gli eroi hanno lati oscuri, alcuni “cattivi” sono buoni, alcune donne sono uomini, alcuni uomini sono donne, alcuni immigrati si sentono integrati ma coltivano la loro differenza…Anche il romanzo di T. Cooper (dove T. come si può vedere è declinabile sia al femminile che al maschile, ma in realtà sta per Teresa), ovvero “Due biondi pieni di rabbia” (Mondatori, pagg. 445, euro 17) è doppio: due racconti in uno.

 

Il primo è la storia di una famiglia di ebrei russi, i Lipshitz, che perdono il loro biondissimo figlio di 5 anni Reuven nella calca mentre sbarcano dopo un viaggio periglioso che li ha portati dall’Europa ad Ellis Island. Sono fuggiti da Kishinev, razziata dal pogrom del 1903 dove sono morte anche la moglie e la figlia di un altro membro della famiglia che ha già raggiunto il Texas. La seconda parte invece è una sorta di memoria post-moderna, con tanto di linguaggio schizzato, fotografie e appunti che intervallano il testo, dell’ultimo discendente dei Lipshitz, T. Cooper appunto, uno scrittore che diventa un intrattenitore di feste per i Bar- Mitzvah, la maggiore età ebraica, impersonando lo stranoto e biondissimo rapper Eminem.

 

La vicenda degli immigrati ebrei è stata, è, al centro di decine di romanzi. La violenza in Russia, la fuga, l’arrivo nella miseria e in una terra che all’inizio pare nemica e inospitale. E’ sempre avvincente e c’è da dire che T. Cooper la depura da ogni sentimentalismo.

 

La realtà quando è violenta “parla da sola” ha detto in varie interviste. Certo è che Esther, la madre di Reuven, è diversa, da ogni altra madre ebrea di cui si sia letto: fredda e autoreferenziale, incapace di elaborare la terribile perdita del bambino nella folla di Ellis Island finisce solo per non occuparsi dei figli rimasti, trattare male come ha sempre fatto il fedele, timido e solido marito Hersh, e infine e soprattutto, dopo alcuni anni, credere, suggestionata da un imbroglione, che Reuven sia vivo sotto le spoglie di Charles Lindbergh, il famoso aviatore che per primo trasvolò l’Oceano: biondo come il figlio perso, con gli occhi celesti, un eroe che unisce la nazione, il massimo dell’americanità, il massimo del senso dell’integrazione agli occhi di Esther, che non vuol nemmeno sentir parlare del filonazismo man mano manifestato dall’intrepido aviatore Lindbergh.

 

La sua ossessione le occupa la vita, con ritagli di giornale, lettere, fughe, pazzia. Gli altri Lipshitz? Ben scopre di essere omosessuale durante una battaglia tra gang di New York; un altro muore nella Prima Guerra Mondiale; Miriam invece sposerà Sam, uomo perfettamente integrato, buono ma disinvolto, audace, costruttore di un piccolo impero commerciale dopo una fortunata mano di poker (“questo è vero”, ha dichiarato – riferendosi a suo nonno – T. Cooper che ha fatto decine di ricerche sui giornali locali di Amarillo, Texas, e sulla stampa che seguiva Lindbergh passo passo. Come è vero che la sua bisnonna perse suo fratello nello sbarco a Ellis Island).

 

Ed è proprio un articolo di un quotidiano texano che sembra vero ad aprire la seconda storia del romanzo: con la morte dei genitori del fittizio T. Cooper, il rapper travestito da Eminem (il secondo biondo, il secondo mito di una generazione, il secondo doppio) torna a casa per seppellire i suoi. La estrema contemporaneità di questo nuvo protagonista, il suo linguaggio, la sua misoginia, i suoi problemi esistenziali, la doppiezza (ancora), la confusione tra realtà e fiction (a iniziare dal nome) sono assai distanti dall’aurea storica e quasi classica della prima parte: non è facile accettarlo.

 

Quando poi anche il genere sessuale del protagonista alias autore diviene incerto sembra quasi di non sapere più cosa abbiamo letto: tutto falso, tutto vero? In fondo che importa? T. Cooper ci sa fare e alcuni di quei personaggi doppi ci rimarranno in testa per un bel po’ dopo aver finito il libro. E ci rimane una sensazione, che c’è un’identità forte, certa, per T. Cooper, quella ebraica: un pilastro imprescindibile che sente il bisogno di rivisitare e capire, nonostante il passare delle generazioni, così come hanno fatto molti altri nuovi scrittori ebrei americani, basterà pensare ai più famosi Jonathan Safran Foer, Nathan Englander, Nicole Krauss.

 

Susanna Nirenstein

 

La Repubblica

 


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