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La Stampa Rassegna Stampa
03.08.2007 Esecuzioni sulla piazza di Teheran
per Farian Sabahi non è colpa del regime, ma solo di Ahmadinejad

Testata: La Stampa
Data: 03 agosto 2007
Pagina: 12
Autore: Farian Sabahi
Titolo: «Morire a 24 anni sulla piazza di Teheran»
Come quasi tutti i quotidiano del 3 agosto 2007, La STAMPA dedica ampio spazio alle esecuzioni capitali in Iran ( a quelle già eseguite e a quelle in procinto di esserlo).
L'articolo è di Farian Sabahi. E, fino alla fine sembra corretto.
Ma nell'ultima frase la Sabahi non riesce a rinunciare al suo costume di mescolare la propaganda con il giornalismo.
Vuole convincerci dalla che con l'ex presidente iraniano Khatami le esecuzioni capitali sarebbero state sospese. Dunque che non sarebbe il regime degli ayatollah il reponsabile dei crimini che l'articolo descrive, ma il solo Ahmadinejad.
Mail "consenso" del "riformista" Khatam per la moratoria internazionale sulla pena di morte rimase, appunto, un consenso, senza tradursi in atti decisivi.

Ecco il testo:


Sono stati impiccati sulla pubblica piazza, con un rito che ricorda quelli celebrati dai Talebani in Afghanistan. Colpevoli di avere assassinato il vice procuratore generale Moghaddas, Majid e il nipote Hossein Kavousifar sono finiti sulla forca esattamente due anni dopo l’omicidio, nella stessa piazza e nella stessa ora, di fronte a un enorme poster del magistrato ucciso. Ventiquattro anni, Hossein è nervoso e a poco servono i sorrisi dello zio ventottenne che tenta di fargli coraggio. Una manciata di secondi e due boia incappucciati mettono il cappio al collo ai condannati e danno un calcio alle sedie. Tra il pubblico, qualche centinaia di persone. Urlano «Dio è grande» e scattano foto con i cellulari. La telecamera della TV di Stato riprende, tra la folla, anche qualche risata.
La loro impiccagione segue da vicino quella di nove criminali. Nei giorni scorsi dodici persone erano state impiccate nella prigione Evin di Teheran e altre due nel carcere della provincia del Sistan-Balucistan, nel sud-est del Paese. E mercoledì sono stati condannati a morte a Mashhad, a nord-est dell’Iran, altri sette criminali accusati di stupri, rapina a mano armata e sequestro di persona. Altre 17 persone sono in attesa dell’esecuzione della condanna capitale e tra questi anche i due giornalisti curdi Adnan Hassanpour e Abdolvadeh Botimar, accusati di avere commesso «crimini contro Dio».
Secondo la magistratura iraniana queste condanne rientrano nella campagna per combattere la violenza e la diffusione di droghe. Ma non si tratta sempre di criminali: i giornalisti curdi hanno commesso un reato d’opinione. E la politica ha a che fare anche con la morte, ieri, dei due Kavousifar: hanno assassinato, senza pentirsene, il giudice che presiedeva il tribunale per i dissidenti e che nel 2001 aveva condannato a sei anni di carcere il giornalista Akbar Ganji.
Amnesty International e le altre organizzazioni criticano Teheran per l’alto numero di esecuzioni capitali: 151 dall’inizio dell’anno, una cifra che pone l’Iran appena dopo la Cina. «A essere presi di mira in Iran sono migliaia di giovani», denuncia l’attivista Shiva Nazar Ahari: «sono arrestati con l’imprecisa accusa di essere teppisti o elementi socialmente pericolosi e, dopo processi brevi e sommari rinchiusi in un centro di detenzione in periferia, in attesa di essere rilasciati o impiccati. Le condizioni sono terribili: ci sono in media 40 detenuti, in celle da 15 metri quadrati, con un pasto al giorno. Sei giovani sono morti per l’infezione delle ferite causate dalle frustate».
Come reagire a queste notizie che fanno orrore all’opinione pubblica internazionale e terrorizzano gli iraniani?
La pressione internazionale può servire e questa volta l’Italia sembra essere in prima linea: su istruzioni del ministro degli Esteri D’Alema, la Farnesina ha manifestato ai diplomatici iraniani a Roma la «forte inquietudine» per le esecuzioni delle ultime settimane e per la sorte dei due giornalisti curdi di cui è stata sollecitata la sospensione della sentenza, e ha sottolineato l’impegno dell’Italia per una moratoria della pena di morte in vista della sua abolizione. Un tema che aveva trovato il consenso dell’ex presidente riformatore Khatami ma che non interessa l’attuale leadership iraniana.

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