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E Dio disse: scordati il pianoforte Morley Torgov
Salani Euro 13
Provinciale, perbenista e ovviamente pettegola, compiaciuta soprattutto delle proprie banche, opulente come templi greci in miniatura. L’acciaieria è un drago sputa fuoco che si staglia nella notte, e due cinema malconci “si stringono in cerca di conforto, l’uno accanto all’altro su King street”. Steelton non è esattamente una metropoli, e come antidoto alla noia non rimane che l’ironia.
E Dio disse: scordati il pianoforte! di Morley Torgov vive di un umorismo meticcio, una mescolanza di nevrosi ebraica e di understatement anglosassone. L’autore canadese è evidentemente andato a lezione dal sarcastico Mordechai Richler, ma rispetto al maestro ha una vena più leggera, quasi adolescenziale. Forse per questo gli viene naturale calarsi nei panni di un ragazzino dal nome altisonante, oppresso dalle aspettative di un’intera tribù familiare.
La minuscola comunità ebraica, capitata chissà come in quest’angolo dell’Ontario, si è mimetizzata tra i vecchi coloni, ritagliandosi una propria normalità ovattata, e la famiglia di Maximilian Glick non fa eccezione.
Non fosse che, secondo un’invincibile consuetudine della diaspora, tutti “devono dire la loro su qualsiasi argomento”. E quale soggetto migliore del futuro di Maximillian?
Per rimediare momentaneamente alle insanabili divisioni tra i diversi partiti (giudice, chirurgo, scienziato), il consiglio di famiglia trova l’unanimità sul regalo di compleanno. Cosicché il piccolo Max, che più di ogni altra cosa avrebbe desiderato un modellino di Boeing 747, si trova faccia a faccia con un antiquato ma pur superbo Bechstein.
Il pianoforte gli apre un mondo diverso, disordinato e vitale, in cui gli fa da guida l’insegnante di musica, strano incrocio fra un gentleman inglese e un alcolizzato perdigiorno. Il cottage del maestro di pianoforte pare a Max “un posacenere a due piani, visitato regolarmente da una squadra di spulizia”, eppure, dietro a questa metodica trasandatezza, non c’è solo un musicista raffinato, che trasforma il giovane ebreo in un promettente virtuoso. Assieme al tocco sulla tastiera, Max impara una via alla verità fatta di emozioni e contraddizioni, proprio il contrario dell’ordine soffocante che regna dai Glick.
Come se non bastasse, anche nel suo ebraismo irrompe una folata di bizzarria. A Steelton arriva infatti un nuovo rabbino, un ortodosso coi lunghi riccioli e nerovestito, che “attira l’attenzione di tutta la città come ai tempi delle carrozze coi maghi ambulanti o i venditori di elisir”. Quando Max complice la musica, s’innamora per la prima volta, tutta la noia di Steelton va definitivamente in frantumi. In un crescendo di trovate, che talvolta sfiorano le gag, Torgov accompagna il suo giovane eroe fuori dal recinto di banalità a cui sembrava condannato. Nessuno è quello che sembra: se era scontato attendersi che l’insegnante di pianoforte avesse un passato tormentato e picaresco, si scopre che persino il rabbi chasidico nasconde un segreto.
Universo minore, questo di Torgov, raccontato con una prosa che rifugge dall’impegno, come se anche la letteratura volesse fare tesoro del monito che il maestro di piano rivolge a Max: “Devi imparare a muoverti nel mondo seguendo percorsi fantasiosi, zigzaganti”. Un insegnamento profondo ma soprattutto utile se, come nel caso in questione, bisogna imparare a suonare il valzer.
Giulio Busi
IL Sole 24 Ore
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