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La Stampa Rassegna Stampa
31.07.2007 La "risurrezione" di Beirut
ma quando era morta ?

Testata: La Stampa
Data: 31 luglio 2007
Pagina: 16
Autore: Lorenzo Trombetta
Titolo: «Beirut risorge tra le bollicine»

La STAMPA del 31 luglio pubblica un articolo di Lorenzo Trombetta sulla vita notturna e mondana a Beirut.
"Beirut risorge tra le bollicine" è il titolo "così la capitale annega i ricordi della guerra", un sottotitolo.
Sembra che Beirut sia stata distrutta da Israele durante la guerra dell'agosto 2007. Ma non fu così. La vita notturna a Beirut continuò anche durante la guerra (lo testimoniò il giornlaista libanese Michel Behe), perché gli obiettivi delle incursioni israeliane furono limitati.
Certo, le distruzioni e le vittime ci furono, non vogliamo negarlo. Ma aumentarne l'entità molto al di la dei fatti serve a sminuire e a far dimenticare le altre distruzioni, quelle dovute agli hezbollah che colpirono Israele.
A quando un servizio su Haifa dopo la guerra ?

Ecco il testo:


Due gambe circondate da una super mini gonna e appoggiate su due tacchi alti spuntano dalla portiera lucida della Bmw cabrio, mentre il parcheggiatore sbuca dal buio e si affretta a raccogliere le chiavi dalla mano del giovane alla guida che ora si avvia, accanto alla donna, verso l’ingresso del White, una delle più esclusive discoteche di Beirut, ospitata sulla terrazza dell’edificio del quotidiano antisiriano an-Nahar, tra il mare e la centralissima piazza dei Martiri.
I due buttafuori non parlano, squadrano la coppia mentre un’altra ragazza dello staff del White e poco più coperta della nostra accompagnatrice, si accerta che i due abbiano prenotato un tavolo. Le porte di uno dei quattro ascensori si aprono e in un attimo si è dove pochi libanesi potranno mai arrivare. Sono le 11 di sera e già si fatica a farsi strada tra le centinaia di clienti, in piedi, attorno ai tavoli o arrampicati al bar. L’ingresso è gratuito ma non si entra senza aver prenotato: la colonna destra del menu non esiste e i prezzi, in locali come questi, non si domandano.
La coppia raggiunge un tavolo di conoscenti: sorrisi, strette di mano, abbracci, complimenti e battutine. In tavola c’è già una bottiglia di Moët & Chandon abbandonata nel secchiello del ghiaccio, il nostro giovane fa cenno al cameriere, ne ordina un’altra: costa 400 dollari, poco di più del salario di un infermiere nell’ospedale pubblico di Beirut.
«Qui entri perché vuoi mostrare che hai denaro e non certo per divertirti davvero», ammette Rania Jaber, urlando nell’orecchio perché i bassi del subwoofer fanno annegare le parole. «È la seconda volta che vengo e sono sempre invitata. Gli uomini qui cercano sempre delle belle donne con cui farsi vedere ai tavoli».
Anche Rania, 19 anni, originaria della ultraconservatrice montagna maronita, indossa una minigonna, una vera e propria divisa a queste altitudini. «Se sei rifatta è meglio», prosegue Rania indicando delle ragazze in pista. «Nasi e seno autentici qui al White sono una rarità», confessa mentre si affretta ad assicurare che, a lei, «nessun chirurgo plastico» l’ha «mai toccata».
Al nostro tavolo intanto arriva l’atteso champagne, seguito da applausi dei clienti attorno e dall’interesse di molti altri attirati dallo scintillare della candela girandola che troneggia sul Moët & Chandon ancora da stappare. Il barman racconta che «non è raro vedere ordinare anche le bottiglie magnum», quelle con cui i piloti di Formula uno innaffiano il podio dopo ogni gara. «Costa 3.000 dollari», assicura da dietro il bancone fingendo di non cogliere la sorpresa del cronista. Con in mano un Russian Lover, un «banale cocktail» per gli standard del White, si riesce a raggiungere la balaustra della terrazza e dare uno sguardo alla città.
La destra è occupata dall’enorme moschea, color giallo canarino, dalla cupola e dai pinnacoli dei minareti azzurri, fatta costruire per la comunità sunnita della capitale dall’ex premier Rafiq Hariri, ucciso a Beirut nel 2005. Col suo stile finto-ottomano, in molti qui la chiamano «il mostro» perché ha rovinato uno dei pochi angoli ancora intatti di Beirut non rasi al suolo dalla guerra civile (1975-90). A sinistra c’è il mare e il centro fieristico del Biel, anch’esso opera di Hariri che pensò bene di riciclare così la montagna di detriti e calcinacci dei palazzi distrutti dalla guerra civile.
Al Biel oggi sorge uno dei ristoranti di pesce più «in» della città accanto ad un’altra discoteca che si contende, col White, il titolo di esclusività: lo Sky-Bar.
Sorridente e ottimista di mestiere, Shafiq al-Khazen, padrone dello Sky, fa strada tra tavoli e bar: «È un locale per una ristretta cerchia di persone, non solo per i prezzi ma anche per l’ambiente», assicura il quarantenne Shafiq. «I nostri migliori clienti sono stranieri, espatriati a Beirut, e i libanesi che abitano all’estero ma che scelgono di tornare a casa dal Golfo, dall’Europa o dal Nordamerica». Il ritmo di «Shake your Booty» cantata dai KC & The Sunshine accompagna l’ancheggiare di due ragazze appena scese dal trespolo su invito di un cliente in fondo alla sala.
«Architettura minimale, una vista sul mare mozzafiato e musica selezionata: è questo il mix che attira i miei clienti». Qui una bottiglia di champagne è meno cara, 250 dollari, ma i cocktail al bar costano come il salario di una giornata di lavoro per un operaio siriano che, pagato a cottimo, costruisce assieme ad altri migliaia, il nuovo centro di Beirut a poche centinaia di metri da qui.
È l’una di notte, la musica si abbassa e gli occhi si alzano al cielo per applaudire i disegni colorati dei fuochi d’artificio «offerti», come assicura Shafiq, «per una serata indimenticabile». E il mare si illumina, proprio come accadeva esattamente un anno fa quando la guerra tra Israele e il movimento sciita Hezbollah toglieva il sonno a tutti i libanesi, ricchi e poveri.

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