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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Il Foglio Rassegna Stampa
31.07.2007 La vittoria in Iraq è possibile
lo scrive anche il New York Times

Testata: Il Foglio
Data: 31 luglio 2007
Pagina: 3
Autore: Daniele Raineri
Titolo: «Gol! L’affondo del NYT: “Ora possiamo vincere in Iraq”»
Dal FOGLIO del 31 luglio 2007:

Clamoroso a Baghdad. Come non bastasse la Nazionale di calcio irachena che vince la finale e conquista la Coppa d’Asia anche se si allena dove e quando può e mangia takeaway cinesi, ieri il New York Times ha titolato che “possiamo vincere la guerra in Iraq”. Lo stesso quotidiano liberal che due settimane fa pretendeva il ritiro e la fine “dell’inutile sacrificio” delle truppe americane ha chiesto a due editorialisti appena tornati dall’Iraq come vanno le cose, e quelli hanno risposto che vanno diversamente da come sono raccontate sui giornali. “Ecco la cosa più importante che i cittadini americani devono sapere: in termini militari siamo rimasti stupiti dai progressi che abbiamo fatto”, scrivono Michael O’Hanlon e Kenneth M. Pollack, che pure dichiarano di essere critici feroci dell’Amministrazione Bush. Prima cosa. Il morale e il senso che i militari hanno della loro missione sul campo. “Nei precedenti viaggi in Iraq abbiamo spesso incontrato truppe americane arrabbiate e frustrate, molti erano convinti di essere impegnati nella strategia sbagliata e con tattiche sbagliate e di stare rischiando le proprie vite dietro a un approccio che non avrebbe mai funzionato. Oggi, il morale è alto. I soldati e i marine ci hanno detto che sentono di avere nel generale Petraeus un comandante superbo; hanno fiducia nella strategia; vedono risultati veri; e sentono di avere i numeri necessari a fare la differenza”. Tanto basta per sistemare il ritornello redazionale, anche in Italia, sull’Iraq pantano in stile vietnamita. I soldati americani, che rischiano in prima persona, osservano le cose con i loro occhi e non si sono mai trattenuti dal dire quello che pensano ai giornali, raccontano a un quotidiano schierato contro l’Amministrazione Bush che la strategia del comandante Petraeus sta funzionando. “Dappertutto, le unità dei soldati e dei marine sono concentrate sulla sicurezza della popolazione irachena, sul lavoro a fianco dei reparti iracheni, sulla creazione di nuovi accordi economici e politici a livello locale e sul fornire i servizi essenziali – elettricità, carburante, acqua pulita e servizi medici – alla gente. In ogni posto, le operazioni sono specificamente cucite sui bisogni di ciascuna comunità. Il risultato è che le morti di civili si sono abbassate di un terzo”, scrivono O’Hanlon e Pollack. “A Ramadi, per esempio, abbiamo incontrato uno straordinario capitano dei marine, la cui compagnia vive in pace nello stesso accantonamento con una compagnia della polizia irachena a maggioranza sunnita e una compagnia dell’esercito a maggioranza sciita. Lui e i suoi uomini hanno messo su un salotto in stile arabo, dove incontrano gli sceicchi sunniti della zona – tutti ex alleati di al Qaida – che ora gareggiano tra loro per assicurarsi la sua amicizia”. I due inviati del NYT scrivono finalmente anche loro quello che sta accadendo in Iraq. Al Qaida, ovvero guerriglieri e predicatori stranieri di un culto sunnita minore, da fuori i confini del paese ha provato a imporre la propria versione sanguinaria del mondo agli iracheni, ma è stata rifiutata. “Questi gruppi hanno tentato di instaurare la legge coranica, hanno tenuto in riga i cittadini iracheni con la violenza, hanno ucciso importanti leader locali e rapito le donne per farle sposare ai loro lealisti. Il risultato è che da sei mesi gli iracheni si sono sollevati contro gli estremisti e chiedono agli americani sicurezza e aiuto. L’esempio migliore è la provincia di Anbar, che in meno di sei mesi è passata dall’essere la zona peggiore dell’Iraq alla migliore, a eccezione di quella curda. Qualche mese fa, i marine combattevano per il controllo di Ramadi palmo a palmo. La settimana scorsa abbiamo camminato per le sue strade senza giubbotto antiproiettile”. Non si sarebbe potuto dire meglio. Bisognerà ricordarsene pure a settembre, quando arriverà il primo rapporto di Petraeus – che ha chiesto più tempo – sulla situazione, e l’Amministrazione dovrà decidere che fare. Credete a chi è appena tornato, e sta smentendo le proprie convinzioni: “Oggi ci sono abbastanza buoni elementi sui campi di battaglia iracheni perché il Congresso consideri l’idea di sostenere lo sforzo anche nella prima parte del 2008”.

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