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Il Foglio Rassegna Stampa
31.07.2007 Confederazione giordano-palestinese ?
una prospettiva tutt'altro che probabile

Testata: Il Foglio
Data: 31 luglio 2007
Pagina: 3
Autore: Rolla Scolari
Titolo: «La grande Giordania»

Dal FOGLIO del 31 luglio 2007, un articolo di Rolla Scolari sull'ipotesi di una confederazione giordano-palestinese.
Dall'articolo si capisce bene che di mera ipotesi si tratta. Molte sono le opposizioni a questa idea, sia in Giordania che nell'Autorità palestinese. includono quella del sovrano hashemita, re Abdallah, certo non di poco conto.
Il titolo, "La grande Giordania", e il  sottotitolo,
  "Perché la via della confederazione tra Anp e Amman può funzionare. Anzi, a Gerico funziona già Il premier israeliano Olmert approva l’arrivo di soldati e armi di re Abdallah II in soccorso del rais Abu Mazen" esprimono dunque soltanto un "wishful thinking", un'autoconvizione dell'avverarsi di uno scenario che potrebbe anche essere positivo, ma che certamente è incerto.
I soldati e le armi di Abdallah non preludono affatto, per il momento, a una confederazione.

Ecco il testo:


A Gerico, cittadina della West Bank a pochissimi chilometri dalla Giordania, durante l’estate la temperatura sale a 45 gradi. Gli abitanti dormono di giorno e i negozi aprono soltanto dopo le cinque e si passa gran parte della notte in piedi a chiacchierare nei caffé sulla piazza centrale. L’aria condizionata di giorno è una necessità e il consumo d’energia elettrica notturno è alto. Nella sonnolenta cittadina palestinese, la nuova collaborazione tra la società elettrica locale e la compagnia nazionale giordana è diventata oggetto di discussioni che vanno oltre i pagamenti mensili di salate bollette. La questione ora è tutta politica, perché il nuovo accordo arriva proprio mentre la stampa internazionale, gli editorialisti di Amman, Gerusalemme e Ramallah discutono sulla possibilità di tornare alla vecchia “opzione giordana”, fenice che risorge dalle proprie ceneri: una federazione tra West Bank e East Bank, tra Autorità nazionale palestinese e regno hashemita. Un sondaggio, pubblicato da Khalil Shikaki del Palestinian Center for Policy and Survey, poco dopo le battaglie di giugno a Gaza, rivela che il 42 per cento dei palestinesi è favorevole a una confederazione. “Magari fosse successo prima”, dice al Foglio un signore sdraiato nel centro della piazza di Gerico, a cercare nel pomeriggio l’ombra di qualche pianta. “Ci siamo governati per decenni ed ecco il risultato. Certo, porterebbero sicurezza alla popolazione: i giordani sono appoggiati da grandi poteri. Si aprirebbero i confini, tornerebbero i commerci e io potrei rimettermi a esportare banane invece di fare il tassista”. La guerra civile tra Fatah e Hamas a Gaza, la presa di potere del movimento islamista nella Striscia e la conseguente divisione tra il piccolo territorio a sud d’Israele e la West Bank, controllata dal governo di Salam Fayyad, appoggiato dalla comunità internazionale, hanno riportato alla ribalta le discussioni sull’opzione giordana. L’idea di una confederazione risale al 1972. Per i giordani, allora, si sarebbe potuta realizzare soltanto dopo la nascita di uno stato palestinese indipendente. Oggi, ricordava pochi giorni fa Shlomo Brom sul Yedioth Ahrontoh, quotidiano israeliano, la confederazione è considerata un’alternativa a uno stato palestinese, che sembra sempre più lontano dal concretizzarsi. “E’ la morte del progetto nazionale palestinese”, aveva detto Hanna Siniora al Corriere della Sera, davanti alle continue faide tra fazioni, ancora prima che la vera guerra civile scoppiasse a Gaza. Lo stesso editore e intellettuale palestinese, durante una visita a Washington nel 2005 aveva dichiarato: “L’attuale debolezza della prospettiva dei due stati ci forza a rivisitare la possibilità di una confederazione con la Giordania”. Altri commentatori palestinesi, come Riad Malki e Rami Nasrallah, già negli anni passati, vedevano nell’opzione giordana l’unica speranza per sconfiggere l’islam radicale. Il fallimento del progetto nazionale palestinese, delle sue istituzioni (l’Autorità nazionale è al collasso) e la divisione tra Gaza e la West Bank spingono alla ricerca di alternative, di nuove e vecchie soluzioni. I palestinesi non hanno più fiducia nella propria leadership e c’è chi guarda alla Giordania come simbolo di stabilità. Ma la confederazione, si chiede Ian Bremmer sull’Herald Tribune, potrebbe separare per sempre Gaza dalla West Bank? Oppure, l’Egitto sarebbe pronto, spinto più volte da Israele a esercitare un ruolo di sicurezza maggiore nella Striscia, ad assorbire il piccolo territorio come suo protettorato? La compagnia elettrica di Gerico ha in programma, in cooperazione con la società nazionale giordana, l’installazione di due nuove centrali e di una linea ad alta tensione che colleghi Giordania e Territori palestinesi. “Tutto ciò non si sarebbe potuto pensare senza l’accordo d’Israele”, spiega al Foglio Walid al Huja, membro del Dipartimento delle ispezioni della compagnia. Gerico godrà tra due o tre mesi di un moderato abbassamento dei prezzi dell’elettricità. Diventerà la cittadina palestinese con la corrente più a buon mercato. La speranza della compagnia è che un giorno la società possa fornire elettricità in arrivo dalla Giordania a tutta la West Bank. Per gli abitanti è più semplice recarsi ad Amman che a Ramallah, perché la capitale giordana è a sole due ore di automobile. Per arrivare invece fino alla sede dell’Autorità nazionale gli abitanti hanno il problema dei check point israeliani lungo la strada, delle code, delle attese. “Qualsiasi cosa è meglio della situazione attuale e la Giordania ha buoni rapporti con Israele”, strilla Umran Mohammed, proprietario di un ristorante della cittadina, dando voce a molti suoi connazionali, stufi delle faide interne tra Fatah e Hamas. Alle sue spalle, è appesa al muro la coccarda di una squadra di calcio giordana. “Nessuno al mondo ci prenderebbe, siamo un problema troppo grande”, dice Suhbi, macellaio, mentre nel suo negozio vuoto la televisione è su al Aqsa, il canale di Hamas. E’ difficile trovare, tra i funzionari e gli ufficiali palestinesi, qualcuno pubblicamente in favore dell’opzione giordana. Per la maggior parte dei politici, l’idea di confederazione coincide con la morte e la sconfitta dell’idea di nazione e stato palestinesi. Ibrahim al Daiya, vice sindaco di Gerico, considera la possibilità di un’unione con Amman come “la soluzione più pericolosa per il popolo palestinese”. E’ un indipendente, non appartiene né a Fatah né a Hamas. “Così, metteremmo fine al diritto dei palestinesi di avere uno stato”, spiega al Foglio. Per Shaker Amareem, membro del movimento Hamas a Gerico, la confederazione può essere un’opzione, ma soltanto dopo la fondazione di uno stato palestinese indipendente. Appoggia, invece, una maggior cooperazione tra le parti. L’opzione giordana, infatti, non significa necessariamente confederazione. Shmuel Rosner, commentatore di Haaretz, ricorda che l’idea sta assumendo ancora una volta una posizione centrale nel dibattito regionale non soltanto come “la Giordania è Palestina”, concetto appoggiato nel passato dalla destra israeliana, ma nella formula più sofisticata di “assistenza giordana ai palestinesi”. La recente richiesta del rais Abu Mazen al premier israeliano Ehud Olmert di permettere il trasferimento delle Brigate al Badr nei Territori farebbe parte di una nuova e più forte forma di cooperazione con il regno hashemita di re Abdallah II. Le Brigate fanno parte dell’esercito giordano ma sono formate da unità palestinesi. Lunedì, però, il Jerusalem Post ha scritto che Olmert starebbe esplorando l’idea di trasferire unità dell’esercito giordano in West Bank non appartenenti alle Brigate al Badr, bensì truppe “regolari”, addestrate alla lotta contro il terrorismo. L’idea sarà discussa in un incontro la settimana prossima, probabilmente proprio a Gerico, tra il premier e il rais palestinese, pochi giorni dopo la visita nella regione del segretario di stato americano Condoleezza Rice. A metà luglio, secondo la stampa israeliana, l’esecutivo Olmert ha già permesso il trasferimento di mille fucili dalla Giordania alla West Bank in favore delle forze di sicurezza di Abu Mazen. L’opzione della confederazione in realtà si scontra con l’ultimo discorso del presidente americano George W. Bush che dalla Casa Bianca ha ancora una volta sostenuto la creazione di uno stato palestinese. Il sentimento, però, in Israele, negli Stati Uniti e all’interno degli stessi Territori è che l’Autorità nazionale sia troppo debole per riportare la stabilità e il timore che gli scontri tra Fatah e Hamas a Gaza si possano ripetere in West Bank terrorizza prima di tutto Amman. “Bisogna trovare un antidoto alla debolezza delle istituzioni palestinesi”, ha scritto recentemente Martin Indyk, ex ambasciatore americano in Israele. Una più stretta cooperazione e assistenza tra Anp, Giordania e Israele sembra per ora prevalere sull’idea di confederazione ed essere una possibile soluzione di alcune debolezze. Due giornali della destra israeliana, Makor Rishon e Hatzofe, hanno pochi giorni fa ripreso la notizia, pubblicata dal sito palestinese Fares, di un accordo che re Abdallah e Olmert avrebbero raggiunto in segreto due settimane fa ad Amman: appoggiare Abu Mazen e spedirgli in sostegno le Brigate al Badr in vista di un futuro ritiro israeliano da parte della West Bank (Tshal, però, rimarrebbe nella Valle del Giordano). La Giordania dovrebbe accordare la cittadinanza a tutti i rifugiati palestinesi sul suo territorio. L’intesa prevederebbe una stretta cooperazione tra Giordania e Anp su questioni di sicurezza. Al commissariato di Gerico, Mohammed Yussef, giovane vice comandante di 25 anni, immagina forze di polizia imposte dalla comunità internazionale e amministrate dalla Giordania. “La soluzione è un apparato di sicurezza neutrale, ecco perché servirebbe un intervento internazionale. Ma è difficile che le persone accettino la Giordania come partito terzo”. S’intromette un poliziotto di guardia alla porta in uniforme nera: “Tutti vorrebbero la Giordania, perché la sicurezza sarebbe migliore e la sicurezza è la questione principale”. C’è chi, a Gerico, preferisce all’Anp o alla Giordania gli israeliani: “Si stava più sicuri e non c’erano faide tra fazioni”, dice Kais, cartolaio. Qualcosa si muove anche a livello di cooperazione economica. Il vice sindaco di Gerico Daiya ha detto al Foglio di essere rimasto scioccato la settimana scorsa alla notizia che la zona industriale in progetto appena fuori città (un piano congiunto tra Giordania, Israele, Anp con finanziamenti giapponesi) potrà essere costruita in zona A (area sotto completa sovranità palestinese). In un previo accordo, Israele aveva concesso la realizzazione soltanto in zona C (zona nei Territori ma sotto controllo israeliano). Questa, spiega il vice sindaco, è una decisione presa di recente, dopo il summit a Sharm el Sheik e il funzionario fa capire che dietro c’è una chiara scelta politica. La costruzione di un polo industriale e di un “parco agricolo” nei pressi di Gerico s’inserisce in un piano più grande. Il progetto “Valle della pace” è un’idea del 1995 dell’attuale presidente israeliano Shimon Peres, mai realizzata a causa degli eventi regionali. Include la costruzione di un canale di 160 chilometri dal mar Rosso al mar Morto capace di arginare, secondo gli ideatori, il veloce restringimento del bacino che separa Israele dalla Giordania; prevede inoltre progetti turistici come la creazione di un aeroporto congiunto israelo-giordano ad Aqaba; l’integrazione della rete ferroviaria tra palestinesi, giordani e israeliani; una zona industriale low-tech a Jenin e quella già menzionata a Gerico. I finanziamenti arriverebbero per la maggior parte dalla Banca mondiale. Shimon Peres, al quale si deve l’idea visionaria, nella testimonianza rilasciata nei mesi scorsi alla commissione Winograd che indagava sulle azioni dell’esecutivo Olmert nei primi giorni della guerra in Libano ha detto: “Dobbiamo cercare una nuova struttura con i palestinesi. Nel mio cuore, sono tornato alla conclusione cui ho sempre creduto: dobbiamo coinvolgere i giordani. Non possiamo fare la pace soltanto con i palestinesi”. In Giordania il dibattito ha toni diversi. Lo stesso re Abdallah, dopo giorni d’intenso parlare di confederazione, ha fatto sapere in un’intervista a un giornale nazionale di opporsi strenuamente all’idea. La maggior parte degli editorialisti la pensa come Ayman Safadi, giornalista di al Ghad, che definisce la confederazione una disfatta di giordani e palestinesi a favore di un Israele contrario alla nascita di uno stato palestinese. Per altri, un’annessione della West Bank significherebbe perdere il carattere nazionale faticosamente costruito e fabbricato negli ultimi decenni. L’ex primo ministro giordano, Abd Al Salam Majali è invece grande sostenitore della confederazione. La West Bank è stata occupata dalla Giordania dal 1948 al 1967, anno della Guerra dei Sei Giorni, quando l’area è stata conquistata da Israele. Amman ha rivendicato però sovranità sulla regione fino al 1988. Un anno dopo lo scoppio della prima Intifada, nel 1987, re Hussein, il padre di Abdallah, sciocca il mondo dichiarando di staccarsi formalmente dalla West Bank. Nel 1991, è pubblicato il Patto nazionale giordano. Stabilisce fermamente che “la Giordania è la Giordania, la Palestina la Palestina”. Marc Lynch, esperto della regione e professore alla George Washington University spiegava in un saggio del 2004 come “una divisione attenta e decisa tra West Bank e East Bank divenne la chiave della sopravvivenza della Giordania come entità indipendente”. Esiste, a tutt’oggi, nel regno hashemita, una corrente nazionalista “transgiordana” che reputa ogni ingerenza palestinese assai pericolosa. Nel piccolo regno più del 60 per cento della popolazione ha origini palestinesi e Amman si trova ad affrontare anche il problema delle migliaia di profughi iracheni che oltrepassano i suoi confini quotidianamente. Ma Giordania e Israele, soprattutto oggi, hanno interessi comuni. “Il collasso della West Bank nel caos civile e sotto il controllo jihadista – scrivevano poco dopo le elezioni di Hamas, nel marzo 2006, Dan Diker e Pinchas Inbary su Middle East Quarterly – porrebbe un dilemma di sicurezza non soltanto a Israele ma anche alla Giordania. E’ uno scenario che sta progressivamente occupando i pensieri strategici del regno”. Per anni, la tattica giordana è stata quella dei buoni rapporti di vicinato. Poi, nell’aprile 2005, tre hotel di Amman furono colpiti da attacchi terroristici, i morti furono 60. La cellula che rivendicò l’azione era legata ad al Qaida. Da allora, la collaborazione con gli Stati Uniti sulla lotta al terrore è incrementata. Abdallah teme l’insorgenza in casa di gruppi sunniti e sciiti. L’Iran atomico, per Amman è una minaccia quanto per Gerusalemme, assieme al sostegno iraniano a gruppi come Hamas. Non esistono finora indicazioni concrete da parte giordana e palestinese di un reale interesse per una confederazione ma davanti alla sempre più marcata divisione tra la Striscia di Gaza e il resto dei Territori e al rischio del caos, davanti allo stallo del progetto nazionale ci sono oggi molti indizi sulla possibilità di nuovi e più stretti arrangiamenti, di sicurezza ed economici, tra Giordania e Amministrazione palestinese della West Bank.

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