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La Stampa Rassegna Stampa
31.07.2007 Solo a Gaza, in fuga per non cadere in mano ai terroristi
la storia del "caporale A."

Testata: La Stampa
Data: 31 luglio 2007
Pagina: 17
Autore: Aldo Baquis
Titolo: «Israele, salvate il caporale A»

Da La STAMPA del 31 luglio 2007:

Quando nella notte di giovedì A. (l’esercito non ha svelato il suo nome) si è svegliato, attorno a lui non c'era più nessuno. Ha bisbigliato il nome di un compagno. Niente. In lontananza, le luci della città palestinese di Khan Yunes. Nelle ore precedenti c'era stata l'incursione, la battaglia, l’uccisione di cinque miliziani palestinesi, la scoperta di depositi di armi. A. aveva avuto ordine di predisporsi ad una imboscata.
Settanta ore di attività continua, in giornate di grande calura, non sono una passeggiata, nemmeno per il Battaglione 51 della Brigata Golani che ancora la scorsa estate si è misurato senza sfigurare a Bint Jbeil, nel Libano Sud, contro i superaddestrati Hezbollah. L'imboscata, lo sa ogni soldato combattente, richiede freschezza e concentrazione. La tentazione di chiudere gli occhi, «per pochi secondi appena, poi li riapro», è molto forte. Ognuno ha i suoi trucchi. Si prepara magari in anticipo qualcosa da mangiare, da masticare nel buio, senza far rumore, senza mai lasciare la stagnola sul terreno. E quando natura preme, occorre recuperare gli escrementi, sigillarli e riportarli indietro. Altrimenti, alla prossima imboscata nello stesso posto, il nemico sarà avvisato.
Il caporale A. ha scoperto di essere stato abbandonato a Gaza, a quasi due chilometri dal territorio israeliano, senza nemmeno sapere con esattezza, nelle tenebre, da che parte procedere. «Ho pensato a Ghilad Shalit», ha poi raccontato ai compagni, riferendosi al caporale rapito da Hamas oltre un anno fa e da allora, di fatto, svanito nel nulla. «Ho pensato alla mia famiglia. Un milione di pensieri. Ho recitato: Shema’ Israel (l'atto di fede ebraico), ho recitato i Salmi».
Il caporale A. è comunque un tipo freddo, che procede in maniera metodica. Innanzi tutto ha estratto il «light-stick», bastoncino illuminante, e lo ha delicatamente piegato per emettere una tenue luce fosforescente, verdolina. Se qualche compagno era rimasto ancora nelle vicinanze, lo avrebbe notato. Ha sentito voci, ha trattenuto il respiro: Arabo, parlavano in arabo. Stava per diventare un secondo Shalit.
A. ha sparato allora alcuni proiettili traccianti: sia per disorientare i miliziani, sia per far notare ai compagni del Battaglione che era ancora sul terreno. Ancora la settimana scorsa il suo Battaglione aveva destato clamore quando dieci militari avevano abbandonato un avamposto perché insoddisfatti delle condizioni di servizio. «Siamo come delle sguattere - avevano lamentato - Per 700 shekel (120 euro) al mese ci trattano come delle serve: cucina, raccogli le cicche, dipingi il marciapiede...». Adesso il Battaglione doveva far vedere quello che valeva: se erano combattenti oppure sguatteri.
Al vicino valico di Sufa era ormai scattato l'allarme. La scomparsa di A. era stata notata. Mancava all'appello da un'ora. Il comandante della compagnia era rientrato nella Striscia, col cuore in gola. A. poteva venire rapito in ogni momento. Oppure poteva essere scambiato dai compagni per un terrorista, ed essere crivellato di colpi.
Nel frattempo A. si era separato dalla pesante borsa che gli era stata affidata e che lo faceva affondare nel terreno, e adesso correva zigzagando fra gli alberi. Superata una macchia, gli si è stagliato davanti il reticolato di confine. Settecento metri, quattrocenti metri: A. era spossato. Il rischio di essere identificato a distanza dagli strumenti ottici dei compagni che consentono la visione notturna era alto: in un attimo un cecchino lo poteva stendere. A. ha giocato il tutto per tutto lanciando una granata illuminante: si rivelava così di fronte ai compagni, ma si esponeva al fuoco dei palestinesi. Chi avrebbe avuto maggiore prontezza di riflessi? A pochi passi da lui c'era il suo comandante, con alcuni compagni. A. ormai era allo stremo: trascinato di peso ha superato le ultime centinaia di metri, fino al territorio israeliano.
La sua vicenda, ieri, era su tutti i giornali. Il suo comportamento è stato molto elogiato. Il sollievo dei vertici militari - che davvero hanno rischiato di trovarsi con un secondo «caso Shalit», un regalo insperato per Hamas - era tangibile. Ma nei commenti si avvertiva anche l'ombra di una frustrazione: da un anno infatti unità di élite conducono incursioni più o meno frequenti all'interno di Gaza. Ma dell'ostaggio israeliano non c'è ancora nessuna traccia e le forze di Hamas, avverte l'intelligence di Israele, sono di giorno in giorno più organizzate, più armate, più agguerrite. E' una guerra di logoramento, e Hamas non sembra accusarne troppo i colpi.
Nei vertici militari, qualcuno propone ormai una operazione in grande stile contro Gaza, ma il premier Ehud Olmert frena. La estate del 2006 ha dimostrato che una crisi e a Gaza potrebbe estendersi al Libano e forse destabilizzare la intera Regione.

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