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La Stampa Rassegna Stampa
30.07.2007 L'Iraq vince la Coppa d'Asia
la squadra è formata da calciatori sunniti, sciiti e curdi

Testata: La Stampa
Data: 30 luglio 2007
Pagina: 6
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Il popolo riunito da un gol - “Una Coppa che è meglio della politica"»
Da La STAMPA del 30 luglio 2007, la cronaca di Maurizio Molinari sulla vittoria irachena nella Coppa d’Asia di calcio.
 
Tutto è iniziato al 71’ minuto della finale Iraq-Arabia Saudita nello stadio Gelora Burg Karno di Giacarta quando il capitano Younis Mahmoud ha messo a segno la rete della vittoria contro i campioni uscenti. La festa in campo si è trasformata in gioia collettiva quando l’allenatore brasiliano Jorvan Vieira alza il trofeo, ricordando come «ogni giocatore della squadra ha perso un famigliare o un amico a causa delle violenze etniche». Mahmud, migliore giocatore del torneo, ha dedicato la vittoria alla madre di un bambino ucciso in un attentato contro la folla che la scorsa settimana festeggiava la vittoria nella semifinale. Anche il ct saudita, il brasiliano Helio Cesar dos Anjos, si è detto «felice per il popolo dell’Iraq». «Ciò che ha fatto l’Iraq può ridare speranza a milioni di persone e dimostra che lo sport ha il potere di unire la gente nei momenti più disperanti» ha commentato il presidente della Fifa, Joseph Blatter.
Gli iracheni sono scesi in piazza, riversandosi nelle strade di grandi e piccoli centri: sunniti, sciiti e curdi, militari e civili, hanno ballato e cantato alzando i vessillo nazionale. Il grande ayatollah sciita, Alì Sistani, aveva chiesto di non sparare in aria nel timore di incidenti ma in molti lo hanno fatto comunque ed il bilancio alla fine è stato di quattro vittime e 17 feriti. Ma la giornata si è conclusa senza gravi violenze nè attentati simili a quelli seguiti dalla vittoria nelle semifinali contro la Corea del Sud: a funzionare è stato il bando assoluto contro la circolazione di qualsiasi veivolo, non solo auto e camion ma anche motorini e biciclette, perché ha privato i terroristi dei mezzi per lanciare gli attacchi. Il divieto alla circolazione scade questa mattina e la polizia di Baghdad teme che la guerriglia non tarderà a farsi sentire.
La festa per la vittoria dei «Leoni dei due fiumi», come vengono chiamati i giocatori, è durata l’intera notte. Radio e tv hanno trasmesso in continuazione immagini di feste e dichiarazioni come quella di Sabah Shaiyal, agente di 43 anni, secondo il quale «i giocatori ci hanno fatto sentire orgogliosi di essere iracheni assai più dei politici corrotti, ancora una volta la nazionale ci ha dimostrato che c’è un solo Iraq». A Baghdad i fan si sono vestiti con i drappi nazionali, nella città sciita di Bassora gruppi di donne hanno distribuito confetti ai passanti mentre nella curda Suleymaniyah caroselli di auto sono continuati al grido «Baghdad vittoriosa». Il premier Nuri Al Maliki, sciita, ha firmato un comunicato di congratulazioni per i vincitori, promettendo ad ognuno di loro un premio di 10 mila dollari ed augurandosi che diventino un «esempio per la nazione». Ma Maliki si è anche dovuto difendersi dalle accuse di non aver creduto nella vittoria finale disertando il match di Giacarta, spiegando che delegazione governativa non è potuta partire per la mancata concessione di permessi di sorvolo da alcuni imprecisati Paesi asiatici.
Il commento di Washington è arrivato dall’ambasciatore Usa all’Onu, Zalmay Khalizad, che in una intervista alla tv Cnn ha detto di augurarsi che «i politici iracheni prendano esempio dai giocatori» ponendo fine alle liti etniche «per operare assieme nell’interesse dell’Iraq», dentro e fuori il Parlamento.

L'intervista di Molinari a Daniel Pipes:

La vittoria nella Coppa d’Asia si presenta come un’opportunità per creare un’identità nazionale condivisa in Iraq ma non facciamoci facili illusioni, la priorità resta quella di ripristinare la sicurezza sul territorio». Così Daniel Pipes, direttore del Middle East Forum, commenta il risultato del match giocato a Jakarta, esprimendo speranza ma anche molta prudenza.
Il successo sul campo ottenuto dall’Iraq sull’Arabia Saudita potrà avere un impatto politico sulla situazione a Baghdad?
«Lo speriamo. Si tratta di una opportunità importante per costruire un’identità nazionale irachena. La squadra è composta da giocatori sunniti, sciiti, curdi: è un modello di convivenza».
Dove è la novità?
«È duplice. Da un lato è la prima volta dal rovesciamento della dittatura di Saddam nel 2003 che sunniti, sciiti e curdi festeggiano assieme ovunque nel Paese, cantando e ballando all’unisono, e questo crea potenzialmente una situazione nuova, diversa dalle violenze quotidiane che vedono le etnie su fronti opposti. Ma c’è anche un secondo motivo: l’Iraq finora è esistito come nazione unita solo grazie alla spietata ferocia di Saddam Hussein e dei suoi aguzzini. Qualsiasi altra forma per realizzarla è certamente benvenuta».
L’ambasciatore americano all’Onu, Zalmay Khalizad, ha detto di augurarsi che i politici iracheni prendano esempio dai giocatori della nazionale e pongano fine alle continue liti etniche in Parlamento. Cosa ne pensa?
«Speriamo davvero che lo ascoltino ma preferisco essere molto prudente sugli scenari politici a Baghdad così come, per principio, sull’impatto di un match sportivo sulla situazione interna di un singolo Paese, Iraq incluso. Più delle partite vinte o perse ciò che conta è il ripristino della sicurezza in Iraq. Se ciò non avverrà si tornerà a sparare o morire proprio lì dove oggi si festeggia».
Perché è scettico sull’impatto politico di un match sportivo?
«Guardiamo al precedente della Francia. Quando vinse la coppa del mondo di calcio tutti indicarono nel team guidato dall’attaccante Zidane un modello di integrazione di successo fra le diverse etnie della società nazionale, fra bianchi, berberi, arabi e neri. Ma poi abbiamo avuto i moti di rivolta violenta nelle periferie urbane proprio da parte degli immigrati che più si riconoscono nell’esempio di Zidane».
Quali sono i perduranti ostacoli alla creazione di una identità nazionale condivisa in Iraq?
«La presenza di etnie che si riconoscono in interessi di gruppo, con fedeltà locali e religiose che mettono in secondo piano il rispetto per il governo e le istituzioni nazionali. Se da tempo si parla a Washington dello scenario di una frammentazione dell’Iraq in tre Stati differenti è perché sunniti, sciiti e curdi non sembrano affatto interessati a convivere, condividendo valori e istituzioni. Preferiscono vivere ognuno per conto loro».
È questo il motivo per il quale ancora non è stata approvata la nuova legge sulla suddivisione dei proventi petroliferi?
«Prima avremo la nuova legge meglio sarà, a patto ovviamente che si tratti di un testo condiviso, che suggella concordia e non moltiplicare frizioni. Il fatto che finora non sia stato possibile accordarsi sulla nuova legge conferma la profondità dei disaccordi esistenti».

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