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Toaff ci riprova 28/07/2007

A Trieste, quando qualcuno vuole ad ogni costo aver ragione, pur essendo già stato confutato, gli si dice in dialetto: Più che te la missi, più la spussa. L'allusione è ovvia.

Così capita anche del caso suscitato dallo scandaloso libro di Ariel Toaff. Ora tale autore vuole fare delle precisazioni, spalleggiato nientemeno che da Franco Cardini, il quale lancia una squallida ipotesi. Secondo tale "storico" qualche ebreo avrebbe potuto agire a titolo personale, nel caso che riguarda Simonino. 

Qui è il caso di richiamare un problema metodologico. Innanzi tutto perchè un'ipotesi possa essere valida deve essere dimostrata da documenti ineccepibili. Tuttavia può darsi che manchino alcune prove documentali, ma ci siano degli indizi abbastanza favorevoli e allora l'ipotesi diventa probabile. Probabile, ma non sicura. Perché sussiste sempre il dubbio che tale ipotesi possa essere improbabile. Quest oconcetto bisogna ficarselo bene in mente quando si formulano delle ipotesi probabili.

Per quanto riguarda il caso di Simonino di Trento, sfruttato con spudoratezza dagli antisemiti più feroci, si è giunti alla certezza acclarata che nessun ebreo è stato responsabile della morte. E' stato già dimostrato con chiarezza l'innocenza degli ebrei di Trento ed è pure intervenuto Mons. Rogger di Trento per confermare l'assoluta estraneità degli ebrei in quell'infanticidio.

Vale la pena di insistere che già allora era chiaro che si trattava di una calunnia costruita ad arte. Siccome neppure il Papa credeva in tale efferattezza, mandò un vescovo inquisitore, uno di quelli che avevano la mano piuttosto pesante. Egli accertò l'assoluta estraneità degli ebrei in quell'infanticidio. Ma non solo, il vescovo di Trento lo cacciò, e quegli tornato a Roma fece una chiara relazione al Papa.

Nonostante tutto ciò Cardini e Toaff continuano a formualre casi possibili. Solo che fanno uno sbaglio fondamentale: se non esistevano allora le prove, non esistono neppure oggi.

E di ipotesi se ne possono formulare un'infinità. E ora vi dirò la mia. Simonino abitava assieme al padre in una via centrale di Trento, a metà strada tra il Castello del Buon Consiglio, sede del vescovo, e il Duomo. Trento allora aveva circa quattromila abitanti, quindi tutti conoscevano tutti. Qualsiasi persona estranea proveniente da altre località sarebbe stata identificata. Stranamente nella questione di Simonino non si menziona mai la madre, ma solo il padre. Egli era a lavorare e quando tornò a casa non trovo più il figlio. Da ciò si deduce immediatamente che lo aveva lasciato incustodito. Responsabilità non irrilevante.

Alcuni giorni dopo Simonino fu trovato morto in una roggia. Fin qui avrebbe potuto trattarsi di una disgrazia. Ma siccome le ipotesi possono essere infinite, ci si può chiedere:

1. Come mai il vescovo di Trento si investì talmente nella parte?

2. Come mai furono accusati gli Ebrei, lì residenti non altri?

3. Cosa sapeva la moglie del rabbino che era levatrice? Forse sapeva chi era il vero padre di Simonino?

4. Con quale autorità il vescovo di Trento si era permesso di cacciare dalla sua diocesi nientemeno che il messo pontificio?

Sarebbe interessante se qualcuno potesse rispondere a queste domande, ma senza idee preconcette e in modo convincente.

Ciò che però rende stolido tutto il lavoro di Ariel Toaff è un'ipotesi inverificabile e impossibile e cioè che degli ebrei ashkenaziti, (e perché non sefarditi, Toaff è forse sefardita?), assetati di sangue cristiano, potessero scorazzare impunenemente per l'Europa e per un periodo di circa tre secoli, senza essere fermati da nessuno. Ora è noto che gli Ebrei non potevano spostarsi dalla località in cui risiedevano ed erano controllati a vista ed erano facilmente identificabili in quando dovevano portere il Magen David di colore giallo, gia dall'inizio del XIII secolo.

Rimane ancora un'ultima domanda: Cui prodest? A chi giova?

Saluti

Dario Bazec


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