Risposta a Vattimo sui nuovi filosofi richiamarono gli intellettuali al rispetto della realtà
Testata: Avvenire Data: 27 luglio 2007 Pagina: 21 Autore: Michele Lenoci Titolo: «I nuovi filosofi e la scossa data al pensiero»
Da AVVENIRE del 27 luglio 2007:
Proprio trent'anni fa, di questi tempi, si parlava molto di alcuni intellettuali impegnati, che si erano autodefiniti "Nouveaux philosophes": fra i pochi che oggi li ricordano, Gianni Vattimo ne richiama, sulla «Stampa» di ieri, l'irrilevanza teoretica e l'ambiguità politica, caratterizzata anche oggi da un filooccidentalismo acritico. Allora erano balzati alla ribalta in Francia, una terra sempre sensibile a questo genere di protagonisti; ma il loro era un messaggio di tipo e colore politico inattesi: e qui stava la vera sorpresa, più che nell'originalità o raffinatezza delle teorie, su cui, a dire il vero, nessuno di loro mai ha particolarmente insistito. In un ambiente in cui l'orientamento politico prevalente volgeva a sinistra e l'ideologia era costituita da un ventaglio di variazioni sul marxismo, di volta in volta coniugato con differenti correnti filosofiche alla moda, questi intellettuali, che provenivano dal Maggio '68 ed erano stati marxisti, uscivano dal coro e rompevano un sostanziale unanimismo, per dire che gli esuli russi, con le loro opere - in particolare gli scritti di Solzenicyn - stavano svelando una realtà troppo a lungo ignorata e costringevano anche gli intellettuali a un esercizio di onestà e di realismo, cui sinora si erano troppe volte sottratti, aggrappandosi ai più improbabili pretesti. Di qui è iniziata, su più fronti, con modalità e argomenti diversi, una dura critica sia alle realizzazioni storiche e concrete del socialismo nei Paesi dell'Est, ben dieci anni prima del loro collasso, sia alle premesse teoriche del marxismo e ai diversi tentativi, compiuti nell'Europa occidentale, di renderlo compatibile con una società democratica sviluppata. André Glucksmann, Bernard Henry-Levy, Christian Jambet, e sullo sfondo, ma per molti versi loro ispiratore, Maurice Clavel non costituivano certo una scuola: erano un po' dei cani sciolti e tali sarebbero rimasti anche dopo. Sono però riusciti - e qui sta il loro vero contributo - a richiamare gli intellettuali al dovere dell'onestà e al rispetto della realtà. A una casta autoreferenziale nei suoi gergalismi, cui il velo dell'ideologia spesso impediva di vedere i misfatti delle cosiddette democrazie popolari e di esprimere su di esse un giudizio di condanna, gettavano in fronte le testimonianze vive di tanti esuli ed ex-internati, costringendola (e in molti casi ci sono riusciti) ad aprire gli occhi e a scuotersi dal torpore. Inoltre, hanno sottolineato che l'impegno civile deve avere come guida la morale e la capacità di formulare, sulla realtà, precisi giudizi di valore; l'omologazione è cosa ben diversa dal rispetto per la verità, cui lo spirito critico dovrebbe educare. Contrariamente a quanto allora da tanti pulpiti si predicava, non tutto è politica: per fortuna, c'è spazio per la vita personale e le relazioni umane, e per le molteplici dimensioni in cui verità, libertà e moralità operano e si intrecciano. Su questo, che oggi sembra scontato e banale - visto che siamo tutti liberali - quei "nuovi filosofi" hanno invitato a riflettere, con modi anche un po' bruschi. Poi ciascuno di loro ha preso le sue strade, più o meno rilevanti, più o meno condivisibili: ma questa è un'altra storia. Solo una cosa non dobbiamo fare: criticarli per le originalità teoriche che non intendevano proporre, visto che, oggi, non possiamo criticarli per la scossa che sono riusciti a dare.
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