La rimozione della Shoah in Unione Sovietica un saggio ne ripercorre la vicenda
Testata: Libero Data: 25 luglio 2007 Pagina: 25 Autore: Ugo Finetti Titolo: «Il libro nero della Shoah sovietica»
Da LIBERO del 25 luglio 2007:
Metà della Shoah è ancora poco conosciuta: lo sterminio degli ebrei durante l’occupazione tedesca dell’Unione Sovietica oscilla tra i 2,5 e i 3,3 milioni di vittime. Unorrore chehacomeprima immagine i 33.771 ebrei gettati tra il 29 e il 30 settembre 1941 nel precipizio di Babij Jar in Ucraina nei pressi di Kiev. Uno dei primi grandi massacri attuati dagli Einsatzgruppen, le unità operative mobili che il 22 giugno 1941 erano entrate in territorio sovietico al seguito della Wehrmacht con uno specifico obiettivo: «l’immediata eliminazione fisica degli ebrei». A migliaia gli ebrei vennero prima concentrati presso il cimitero ebraico di Kiev e quindi avviati in file serrate di cento per volta verso il precipizio dove era stato allestito una sorta di ufficio all’aperto con scrivanie per “registrarli”. «Credo che ognuno impiegasse meno di un minuto - racconterà un testimone -dal momentoin cui si toglieva il cappotto fino a quando si trovava completamente nudo. Non si faceva distinzione fra uomini, donne o bambini». Nel 1942, Himmler ordinò di cancellare le tracce. Centinaia di fosse comuni furono riaperte con il lavoro forzato di detenuti ebrei e prigionieri di guerra. A Babij Jar venne alla luce la massa dei cadaveri i cui corpi rimasti sottoterra si erano saldati tra loro. A quella vista c’è chi, tra i detenuti, perse la ragione. I prigionieri, consapevoli che i tedeschi avrebbero eliminato i testimoni oculari, all’alba del 29 settembre 1943, organizzarono un tentativo di fuga: 280 furono uccisi, ma in dodici riuscirono a scavalcare la cinta. È così che il massacro di oltre centomila persone di Babij Jar ha iniziato a poter essere ricordato.Unamemoria non facile come emerge dalla documentata ricostruzione realizzata da Antonella Salomoni (“L’Unione Sovietica e la Shoah. Genocidio, resistenza, rimozione”, Il Mulino, pp. 356, 24 euro) che, tassello dopo tassello, è riuscita a rievocare la persecuzione antisemita durante l’occupazione tedesca attraverso testimonianze, deposizioni, diari, lettere, memorie, cronache. Le ragioni del ritardo - mancato accesso ai documenti, blocco di studi e ricerche fino al crollo dell’Urss - sono dovute da un lato al desiderio delle autorità sovietiche di non sottolineare la specificità del genocidio per esaltare in blocco la “guerra patriottica” e dall’altro per l’esistenza dell’antisemitismo nel sistema comunista a cominciare dal capitolo del “biennio nero” che va dal Patto Hitler-Stalin dell’agosto 1939 fino all’Operazione Barbarossa del giugno 1941. In quel periodo in Unione Sovietica era cessata la campagna antinazista e nulla si sapeva della persecuzione antisemita. L’antinazismo era stato bandito in nome di una sorta di pacifismo: «Si può avere stima o provare odio per il nazismo - aveva dichiarato il ministro degli Esteri, Molotov, al Soviet Supremo il 31 ottobre 1939 - ma ogni persona dotata di senno deve capire che non si può eliminare un’ideologia con la guerra». Ed in polemica con la Gran Bretagna concluse: «Intraprendere una guerra per distruggere l'hitlerismo con il pretesto della lotta per la democrazia è dunque una cosa insensata e persino delittuosa». L’antisemitismo nel gruppo dirigente sovietico aveva una sua origine anche politica. All’inizio del regime bolscevico con Lenin, i vertici del partito, del governo e dell’Internazionale erano caratterizzati dalla presenza di ebrei nel quadro della creazione a Mosca dello stato maggiore della rivoluzione mondiale. Con il venir meno di una estensione dell’insurrezione proletaria ad altri Paesi e con il concretizzarsi della prospettiva del “socialismo in un Paese solo”, Stalin emerse proprio in nome di una riappropriazione nazionale del partito e dello Stato. Gli ebrei vennero ritenuti portatori di germi antipatriottici ed antinazionali, accusati di «cosmopolitismo», «sionismo» o «nazionalismo borghese». Il contagio si tradusse persino nell’adozione del prussiano “passo dell’oca” da parte dell'Armata Rossa e nello sviluppo di varie forme di antisemitismo. Il compositore Dmitrij Sostakovic ricorda nelle sue “Memorie” come progressivamente nei vertici sovietici sempre più si divenne amanti di Wagner. Nel 1940 si arrivò ad allestire uno spettacolo wagneriano al Bolscioij in onore della delegazione tedesca in visita a Mosca affidandone la regìa a Ejzenstejn il quale dovette estromettere lo scenografo che aveva inizialmente scelto perché ebreo. Con l’invasione tedesca i sovietici si ritrovano nuovamente ad essere antinazisti e si dà vita al “Comitato antifascista ebraico” che affida agli scrittori Il’ja Erenburg e Vasilij Grossman la ricostruzione documentata delle atrocità degli occupanti tedeschi: il “Libro Nero” sul genocidio in Urss. Ma il volume verrà censurato e fatto scomparire. Le autorità cancellano il tema della persecuzione antisemita e l’eccidio di Babij Jar ne è al centro: nel rapporto ufficiale la parola «ebrei» che compariva nella originaria stesura viene sostituita con l’espressione «pacifici cittadini sovietici». Riprendono i processi e le condanne a morte che vedono al centro esponenti ebrei in Urss e nei Paesi “socialisti”. Sarà solo all’epoca del rilancio della destalinizzazione nel 1961, con il XXII Congresso del Pcus, che il tema della Shoah russa verrà alla ribalta: Evtusenko recita in pubblico la poesia “Babij Jar” e Sostakovic ne scrive il commento musicale. Ma è solo una parentesi: Evtusenko è costretto a cambiare le parole e nel 1962 il burrone di Babij Jar è ricoperto di tonnellate di terra. Finalmente nel 2001 nei pressi dell’area di Babij Jar è stata collocata una croce. Ai «patrioti ucraini».
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