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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Aviezer Ravitzky La fine svelata e lo stato degli ebrei. 23/07/2007

Aviezer Ravitzky           La fine svelata e lo stato degli ebrei.
Messianismo, sionismo e radicalismo religioso in Israele

 

Marietti      Euro 36,00

 

Aviezer Ravitzky ricostruisce la storia del contrasto, interno alla società ebraica, tra l’intraprendenza laica dei sionisti che ha portato alla democrazia e l’attesa messianica tipica del giudaismo più tradizionale

 

Due millenni aspettando la fine. Perfetta, assoluta, una redenzione politica e morale senza macchie, in una terra di latte e miele. E invece di questo Eden riconquistato, uno Stato assillato dai nemici, strappato a fatica al deserto, popolato di uomini come tutti gli altri, così terribilmente al di sotto dei loro ideali. Se si pensa alla forza dell’utopia messianica, è facile comprendere come la realtà del sionismo sia sembrata a molti solo un brutto scherzo della storia.

 

In un libro intelligente e ben documentato Aviezer Ravitzky, dell’Università Ebraica di Gerusalemme, misura lo scarto tra l’empiria politica che ha portato alla creazione di Israele e le attese teologiche sull’età messianica, che costituiscono il nerbo del tradizionalismo giudaico. Il tema è di grande attualità, perché il contrasto tra la fede ortodossa e il progetto d’indipendenza nazionale, iniziato alla fine dell’Ottocento, è fondamentale per capire le dinamiche del giudaismo moderno e la vita politica d’Israele oggi.

 

Un’eresia bella e buona e per di più aggravata dalla presunzione di sostituirsi a Dio. Così apparve ai rabbi conservatori l’idea di riportare la nazione ebraica entro i confini dell’antica Terra Santa. Non si può uscire da soli dall’esilio, facendo violenza a Dio, fu la parola d’ordine degli Haredim, i religiosi ortodossi che si opponevano ai laicismo rivoluzionario dei sionisti. A chi voleva prendere il destino nelle proprie mani si obiettava che due millenni di asservimento avevano fiaccato l’animo ebraico e, d’altronde, era proprio la capacità di adattarsi e sopportare a rendere possibile la sopravvivenza del giudaismo: “Anche dopo il giogo pesante che in ogni tempo è stato imposto su di loro…gli ebrei osservanti sono in grado di trovare sempre, dentro di sé, un luogo di sopravvivenza, esattamente come la materia tenera è capace di resistere a quella dura”. In questo elogio della passività, scritto dal rabbi di Lubavitch, si esprimeva proprio la visione del mondo che il sionismo combatteva. Per il giudaismo rabbinico non esistevano soluzioni intermedie: o il completo esilio, che durava dalla caduta del Tempio nel 70 d.C., oppure la redenzione completa. I sionisti invece predicavano una terza via, quella che Scholem ha definito la strada del “rientro nella storia”. Un compromesso che doveva portare – e portò, infatti, nel 1948 – alla fondazione di uno Stato come tutti gli altri, con le sue imperfette leggi umane.

 

Secondo Ravitzky, in confronto con l’attivismo sionista, la dimensione assoluta e futura del messianesimo ortodosso è forza eminentemente conservatrice, poiché accetta lo stato di fatto nella speranza di un evento escatologico tanto assoluto quanto irraggiungibile. E’ evidente che lo storico israeliano rinuncia qui alla propria imparzialità scientifica, per ricordarci che buona parte dell’identità israeliana si è costruita in alternativa, se non in opposizione, al messianesimo.

 

E’ vero che alcuni pensatori mistici, come Avraham Kook, sposarono fin dall’inizio il progetto sionista, vedendovi una preparazione all’età messianica. D’altro canto, anche gli irriducibili avversari teologici dello Stato ebraico sono spesso venuti a patti, nella pratica, con la vita politica del Paese. Non si spiegherebbe altrimenti il fenomeno dei partiti religiosi, che hanno raggiunto in anni recenti tanto peso nella Knesset. Ma quella degli haredim resta pur sempre una partecipazione imperfetta e con riserva, che non condivide gli ideali sionisti. Per gli ebrei ultraortodossi, è come se l’Israele moderno non fosse altro che un’ulteriore stazione della diaspora: si può usare lo Stato purchè non si creda in esso, sempre in attesa dei giorni del Messia.

 

Giulio Busi

 

IL Sole 24 Ore

 


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