Dal GIORNALE del 23 luglio 2007:
Istanbul - Ha vinto Erdogan, ha perso l’esercito. Ha vinto il Corano, ha perso la laicità. La volontà espressa dagli elettori è inequivocabile: la Turchia, l’unico Paese musulmano autenticamente secolare, da ieri pende verso l’Islam. L’Akp, il Partito per la Giustizia e il Progresso, ha trionfato con il 47% dei voti, in aumento di 13 punti rispetto alla vittoria del 2002. L’opposizione esce malconcia: sorprende il ridimensionamento al 20% dei Repubblicani, nazionalisti di centrosinistra; mentre gli ultraconservatori del Mhp centrano l’obiettivo del 14%.
Troppo poco per arginare l’ascesa del premier uscente, un leader dal doppio volto. C’è l’Erdogan moderato che con innegabile abilità è riuscito a conquistare, oltre alla fiducia dei suoi concittadini, anche quella dell’Occidente e dei mercati finanziari. Chiedete a Londra o a Washington, vi diranno che è riuscito a riformare l’economia del Paese, seguendo i dettami del Fondo monetario internazionale. Nel 2001 la Turchia era sull’orlo del collasso, oggi cresce al ritmo del 7% all’anno. A Bruxelles lo ritengono un europeista convinto, capace di sospendere la pena di morte e di modificare alcune leggi anacronistiche e vessatorie, come quelle che limitavano la libertà di critica, mentre la Casa Bianca continua a considerarlo un alleato affidabile; anzi indispensabile in un Medio Oriente dove Washington ha bisogno di riferimenti sicuri dopo il dissesto iracheno. Tutto vero. Ma c’è anche l’altro Erdogan, che firma accordi strategici con l’Iran di Ahmadinejad e, soprattutto, che incoraggia l’islamizzazione strisciante della Turchia.
In cinque anni i cambiamenti sono tanti e poco visibili; ma duraturi. Il suo partito ha occupato i posti chiave nei ministeri, negli ospedali, nella polizia: fanno carriera solo i funzionari che hanno le mogli velate. Diversi libri di testo - finora rigorosamente laici - sono stati contaminati dalla propaganda musulmana. Le sette religiose, spesso finanziate dai fondamentalisti del Golfo, operano alla luce del sole, sebbene siano formalmente vietate. In molti villaggi dell’Anatolia governati dall’Akp i ristoranti e i bar rinunciano a vendere bevande alcoliche e durante il ramadan tengono chiuso fino al tramonto. Erdogan ha ottenuto con la pressione sociale quel che il sistema politico non gli permetteva per via legislativa. Perché ad Ankara il presidente della Repubblica ha il diritto di veto e può contare sull’esercito, che da sempre vigila sul rispetto della Costituzione; se necessario con il golpe. Quando la scorsa primavera è giunto al termine il mandato dell’attuale capo dello Stato, Sezer, gli equilibri sono saltati.
Erdogan ha candidato il suo ministro degli Esteri Gul, ma l’esercito ha fatto sapere che non avrebbe mai accettato un presidente sposato con una donna che porta il foulard islamico. Milioni di persone hanno manifestato nelle principali città in difesa dei valori repubblicani del padre della Turchia moderna Mustafa Kemal Atatürk. E l’incapacità del Partito per la Giustizia e per il Progresso di supera[/TESTO]re il quorum di 367 seggi, ha provocato la crisi politica che ha portato alle elezioni anticipate. Ieri i turchi, che ieri si sono recati in massa alle urne, dovevano decidere se restare fedeli ai principi laici sanciti dalla Costituzione o se aprire le istituzioni all’Islam politico. Nel nuovo Parlamento Erdogan avrà una maggioranza di 340 deputati su 550; enorme, ma ancora sotto il quorum. E questa è l’unica incognita sul suo trionfo elettorale. In teoria l’esercito potrebbe bloccare ancora una volta tutto, ma è difficile che possa ignorare la volontà espressa con tanta chiarezza da un elettore su due.
La Turchia ha scelto. Il dopo elezioni si annuncia carico di tensione. Solo con tutti i 27 deputati indipendenti (curdi compresi) l’Akp riuscirebbe ad eleggere il proprio candidato. Improbabile. E allora restano due possibilità: lo scioglimento del Parlamento appena eletto con il ritorno alle urne in ottobre o un accordo su un presidente di compromesso. Ieri sera, di fronte a una folla in delirio, il premier ha ringraziato i sostenitori ed esaltato «questa grande prova democratica», ma non ha rivelato le sue intenzioni riguardo al presidente. Ha promesso fedeltà alla laicità della Repubblica, ma si è congedato al grido di «Allah è il nostro amore e ci aiuterà». Due Erdogan in uno, come sempre.
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