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Il Foglio Rassegna Stampa
21.07.2007 I rapporti fra Israele,Anp,governo americano
L'analisi di Micheal Oren

Testata: Il Foglio
Data: 21 luglio 2007
Pagina: 3
Autore: la redazione
Titolo: «Perchè la rivoluzione Bush è possibile anche per i palestinesi»

Dal FOGLIO di oggi, 21/07/2007, a pag.3, riprendiamo una corrispondenza da Gerusalemme dal titolo " Perchè la rivoluzione Bush è possibile anche per i palestinesi " che descrive i rapporti tra Israele, Anp e governo americano nell'interpretazione dello storico Michael Oren.

Gerusalemme. Lo scorso aprile lo storico israeliano Michael Oren ha tenuto una lezione alla Casa Bianca sui rapporti tra America e medio oriente. Hanno assistito più cento membri dello staff presidenziale. C’erano anche il presidente, George W. Bush, suo vice, Dick Cheney. Oggi Oren spiega Foglio che la visione di Washington sul medio oriente è la sola possibile e anche come, nonostante le difficoltà, si può lavorare alla creazione di uno stato palestinese. Il discorso del presidente Bush di lunedì scorso – dice Oren – è rivoluzionario tante ragioni. Primo, pone sulle spalle palestinesi il 90 per cento dell’onere per raggiungimento della pace. Secondo, sostiene che Israele non debba tornare ai confini del 1967 e che possa mantenere i blocchi di insediamenti. Terzo, sostiene che i rifugiati non avranno diritto di tornare in Palestina, il che significa mantenere la natura ebraica caratteristica dello stato israeliano. discorso non ha detto nulla su Gerusalemme, ma, quarto e fondamentale, rovescia formula “territori per la pace”. Prima Israele doveva concedere territori agli arabi per ottenere la pace, mentre ora gli arabi devono dare a Israele la pace e così otterranno i territori. Si ribalta la formula Oslo, secondo cui prima si costituisce uno stato palestinese e poi si dà forma alle istituzioni. Ora solo se i palestinesi sapranno dimostrare di essere in grado di crearne affidabili e non corrotte otterranno uno stato palestinese”. E, aggiunge lo storico, “ non lo fanno subito, anche la Cisgiordania, come già accaduto con la Striscia di Gaza, cadrà nelle mani di Hamas. In fondo la maggior parte dei palestinesi ha votato Hamas non per convinzioni radicali, ma a causa della corruzione politica di al Fatah”. In questo senso, il presidente americano molto coerente con la dottrina che porta suo nome, nel senso che ha detto ai palestinesi che non possono avanzare verso l’obiettivo di uno stato senza istituzioni demo-malcratiche. Mettiamola così: sarebbe stato molto facile per Bush premere per far approvare uno stato basato sull’Autorità palestinese com’è oggi, con il primo ministro SalaamSalaam Fayyad e il presidente Abu Mazen, dicendo ‘bene, abbiamo lo stato, delle istituzioni e della democrazia ci occuperemo poi’. Non ha scelto la via più semplice pertirarsi fuori dalla situazione”. Bush, sottolinea Oren, “agisce in modo nettamente contrario a quanto suggerirebbe l’intuito. Dice che dobbiamo attenerci al principio delle elezioni e il mondo non vede che si tratta di un uomo di princìpi e coraggio. AmmettiamoloAmmettiamolo pure, a volte i suoi princìpi lo cacciano nei guai, come in Iraq, ma penso che con quel discorso, data la situazione, abbia dato prova di avere fegato, perché va contro lalinea indicata dal Dipartimento di stato americano, che ancora segue Oslo e vuole soltanto imporre in qualche modo quello stato palestinese, costringere Israele a lasciare la Cisgiordania e rientrare nei confini del 1967. Invece Bush ha cambiato rotta, con un discorso fondato sui princìpi e sul realismo, in cui ha detto che Israele non tornerà a quei confini. Non si metterà a raccogliere 40 mila israeliani per cacciarli di casa; ma è realista perché comprende esattamente che, a meno che i palestinesi sviluppino delle istituzioni affidabili, qualsiasi stato si voglia creare sarà con ogni probabilità destinato a implodere”. Il presidente americano, per evitare questo, ha giocato la carta di una conferenza di pace internazionale in programma per ottobre. Sul suo esito, però, Oren non nasconde il proprio scetticismo. “Non penso che la conferenza abbia grandi possibilità di successo, per una serie di ragioni – dice – Una di queste è che i sauditi potrebbero non venire, se la condizione è il riconoscimento di Israele a priori, come si dice nel discorso e l’America potrebbe dover rinunciare a quella condizione. In secondo luogo, Hamas, Iran e Siria faranno tutto il possibile per portarla a uno stallo. Possono farlo con il terrorismo, la guerra o gli attacchi missilistici. Ma la ragione principale di fallimento è che i palestinesi non riescono a organizzare istituzioni affidabili”. Il pessimismo si estendeanche alla figura del nuovo premier palestinese: “L’Amministrazione Bush – spiega – non ha molte scelte in questo momento. Il paese non offre altro, ma se affidano a Fayyad tutte le loro possibilità, sono degli illusi. Ha reputazione d’essere incorruttibile, ma se lo sia davvero non è dato sapere. In secondo luogo, è soltanto un uomo. E per la politica palestinese basta una pallottola”. Ma l’Europa ancora non capisce Oren è critico anche con l’Europa, che si mostrata – ancora una volta – divisa e incerta sulla questione mediorientale. “Il discorso di Bush contraddice la posizione europea su tantissimi aspetti fondamentali del conflitto – sottolinea lo storico israeliano – Non so se gli europei siano d’accordo col permettere il blocco degli insediamenti, con l’impossibilità di un ritorno per i rifugiati o persino con l’idea di porre tutto quest’onere sulle spalle dei palestinesi. Bush ha citato gli insediamenti in una mezza frase, mentre per gli europei si tratta del punto centrale. Onestamente, penso che il discorso di Bush finirà soltanto per rafforzare la loro posizione, per cui non vogliono che lui si occupi della diplomazia in medio oriente”. Che se ne occupi l’ex premier britannico Tony Blair come inviato speciale del Quartetto, dice Oren, non sembra cambiare di molto i termini della questione. “Non penso possa fare molto, proprio a causa dei palestinesi. Per me tutto inizia e finisce lì. Penso che George Bush l’abbia capito. Ha compreso che gli israeliani, se venisse loro proposto un trattato di pace davvero fattibile e una soluzione permanente che preveda due stati (e sottolineo permanente, non temporanea), rinuncerebbero a tutta la Cisgiordania, a parte di Gerusalemme e a tutto quello cui devono rinunciare, e sposterebbero centinaia di migliaia di persone imponendo loro di lasciare la propria casa. Quel che blocca tutto l’incapacità palestinese, cosa che la Casa Bianca comincia a intuire”.

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