Dal FOGLIO del 20 luglio 2007:
Quando nel gennaio 2006 si svolsero le elezioni politiche palestinesi il grande oppositore allo svolgimento delle stesse era l'allora primo Ministro Ariel Sharon contro il parere degli Usa e dell'Europa che invece insistevano per farle. Sharon era contrario perché non considerava normale che alla competizione elettorale partecipasse Hamas, un'organizzazione armata, che era, ed è ancora oggi, nella lista nera delle organizzazioni terroristiche di Usa e Ue; che non riconosceva, e non riconosce ancora oggi, l'esistenza dello Stato di Israele; che considerava, e considera ancora oggi, traditori i firmatari degli accordi di Oslo, non riconoscendo addirittura all'Unione europea il ruolo di garante dello svolgimento delle elezioni che si sarebbero svolte successivamente nei territori.
Alle elezioni politiche palestinesi del 25 gennaio 2006 parteciparono la bellezza di 17.200 'Osservatori locali', tra questi ve ne erano 800 'ufficiali' che erano per lo più dell'Unione Europea, dell'Onu, dell'Osce, oltre che volontari di Ong e varie associazioni per la pace. Su 1.341.671 elettori palestinesi che si registrarono per votare, parteciparono al voto 1.011.992 elettori che divisero la torta del potere politico con 440.409 voti ad Hamas e 410.554 voti a Fatah; insomma ad Hamas andarono 77 seggi su un totale di 132.
La chiave di tutto quello che accade ancora oggi è che Hamas, organizzazione armata e finanziata da paesi considerati 'canaglia', ha sempre praticato una politica di sostegno economico e sociale alla popolazione conducendo, contemporaneamente, azioni militari contro Israele, incluse le decine e decine di azioni dei kamikaze contro i civili israeliani, per non parlare della giustizia fatta in casa con impiccagioni e 'punizioni pubbliche'.
Ciò che sorprende è che degli 800 'Osservatori internazionali', ufficiali e non, nessuno si sia soffermato nell' analizzare le regole fondamentali per considerare davvero 'democratiche' le elezioni palestinesi. Anzi, molti di loro parlavano di 'elezioni svoltesi in modo assolutamente democratico'. Vi fu persino l'incredibile dichiarazione fatta dal Capo della missione degli osservatori del Parlamento europeo, il britannico Edward McMillan-Scott (Ppe), anche Vice Presidente del Pe, che alla conclusione delle operazioni di voto fiero e aitante dichiarava: "il popolo palestinese è stato un modello per tutta la regione araba nella conduzione di queste elezioni".
Ma possibile che a nessuno sia venuto in mente di leggere quali sono le regole minime dell'Ue per considerare veramente democratiche le elezioni che avvengono in un paese? Basterebbe leggere la 'Comunicazione della Commissione in materia di assistenza e monitoraggio delle elezioni da parte dell'Ue' dell'11-4-2000'. Tale documento, elaborato dalla Commissione europea anche per il Parlamento europeo, definisce le modalità di intervento degli osservatori europei ed elenca i parametri tecnici minimi per considerare veramente libere e democratiche, in un contesto di garanzie di rispetto dei diritti umani, le elezioni di un dato paese. Inoltre, questo importante documento, fa riferimento ai parametri che già le Nazioni Unite hanno elencato nel testo considerato la bibbia degli osservatori internazionali: il manuale "UN Human right and elections. A handbook on the legal, technical and human rights aspects of the elections. New York e Ginevra, 1994". Da tali documenti si evince che gli osservatori internazionali non svolgono un mero ruolo di guardoni. Essi hanno un ruolo sia tecnico che politico e pertanto se una delle formazioni in competizione elettorale promuove l'odio, ha propri arsenali, incita alla violenza verso altri paesi oltre che verso i 'propri fratelli', proprio non ci riesce di capire come le elezioni palestinesi si sarebbero "svolte democraticamente" così come ha ripetuto l'altro ieri il Ministro delgi Esteri Massimo D'Alema. Quali sarebbero i parametri democratici rispettati in quelle elezioni? La verità è un'altra. I burocrati dell'Ue da una parte e la classe politica europea dall'altra, non hanno saputo anteppore analisi critiche e obiettive prima di quelle elezioni. Hanno accettato e finanziato, tout court, la richiesta di invio di osservatori internazionali pur sapendo che una delle forze in campo promuove il fanatismo religioso e la violenza in violazione delle più elementari regole democratiche. Questo è il vero scandalo di cui pochissimi hanno parlato in questi mesi. E' troppo facile oggi dire, in malafede, che occorre accettare i risultati delle "elezioni democratiche" palestinesi; come possono considerarsi democratiche quelle elezioni? Così come decidere di eliminare i finanziamenti europei a pioggia dopo che Hamas ha vinto le elezioni; perchè si è accettato che partecipasse alla competizione elettorale? Qui traspare tutta l'ipocrisia europea. V'è in questa vicenda, così come in molte altre, una grave responsabilità dell'Unione europea. L'euroburocrazia e l'europartitocrazia - così come era avvenuto per il blocco Ue dei finanziamenti a pioggia che arricchivano le tasche di Arafat e dei terroristi e impoverivano sempre di più la popolazione palestinese, dopo anni di denunce e di iniziative anche dei deputati europei radicali - si accorgeranno che è sempre meglio dare ascolto a chi si batte da sempre per la promozione dei diritti umani e lo stato di diritto. Non è un caso se la richiesta dei radicali di fare dell'Italia uno dei paesi co-promotori della Community of Democracy langue ed è finora stata inascoltata, l'idea di dialogo con Hamas sta dalla parte opposta.
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