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La Stampa Rassegna Stampa
17.07.2007 Ecco il vero Gheddafi
la denuncia dell'esule libico Hisham Matar

Testata: La Stampa
Data: 17 luglio 2007
Pagina: 39
Autore: Mario Baudino
Titolo: «Repressione e forca Ecco il vero Gheddafi»

Da La STAMPA del 17 luglio 2007:

La Libia del colonnello Gheddafi è riuscita a convincere il mondo di non essere più un Paese pericoloso, di non organizzare attentati o di finanziare movimenti armati. Così le sanzioni sono stati tolte e tutti si sono dedicati attivamente a fruttuosi commerci. Ma qualcuno non ci ha creduto: la gran maggioranza degli esiliati libici, nonostante gli inviti a rientrare, si è ben guardata dal farlo.
Sono parole di Hisham Matar, architetto non ancora quarantenne, che ha dedicato alla sua patria perduta un articolo pubblicato qualche mese fa sul New York Times; lui, ormai cittadino inglese, è fra quanti hanno introiettato l’esilio come condizione esistenziale. Uno di quelli che non torneranno. E allo sradicamento dal proprio passato ha risposto con la letteratura, pubblicando un romanzo scritto in inglese.
Nessuno al mondo è in corso di traduzione in una trentina di Paesi; in Italia, pubblicato da Einaudi, ha vinto, oltre al premio Von Rezzori, anche il prestigioso premio Flaiano, scelto a gran maggioranza da una giuria di lettori. Narra la Libia degli anni Settanta con gli occhi di un bambino di otto anni; e l’inizio dell’esilio, quando la famiglia per sottrarre il piccolo protagonista a una situazione insostenibile - il padre è stato arrestato, torturato e poi liberato grazie all’intercessione di un burocrate, ma da quel momento è prigioniero in casa sua - lo manda in Egitto. Quella di Matar è una Libia dove la polizia segreta fa sparire le persone più in vista; dove un tentativo di ribellione studentesca viene soffocato nel sangue; dove interrogatori e esecuzioni capitali sono mostrati in televisione. E tuttavia l’autore, che abbiamo incontrato qualche giorno fa a Pescara, in occasione del Flaiano, nega che questo sia un romanzo «politico».
«Avrei dovuto inserire molti più dati, e sarebbe stato un libro diverso. Certo, non si può vivere fuori della storia, ma ho tentato di tenerla il più lontana possibile», spiega. Sa che «questo incubo libico è comunque una sfida per uno scrittore», e che è successo molte altre volte di chiedersi se sia possibile «creare un romanzo in certe condizioni storiche»; ma si risponde con Borges che, alla fine, l’opera prende il sopravvento. «Scrive» lo scrittore. «A me interessa il modo in cui un bambino prende coscienza di sé come individuo». Questo bambino gli somiglia abbastanza: Matar divide con lui l’infanzia e la vicenda del padre perseguitato dal regime. Oltre a cose che non ha scritto qui, ma in un intervento per Amnesty pubblicato sull’Independent: per esempio, i roghi di libri non «educativi» né «rivoluzionari» dopo la presa del potere nel ’69. O la vera vicenda di suo padre, Jaballah Matar.
Era un ricco imprenditore, discendente di una importante famiglia (il nonno, fra l’altro, era stato arrestato da noi italiani, ma fuggì dalla nave che lo portava in Sicilia per il processo). Si schierò contro Gheddafi, scelse l’esilio, tornò in patria nel ’79 con la promessa di un’amnistia, ma gli venne confiscato il passaporto. Vista la situazione disperata, riuscì a far fuggire la famiglia, e poi a raggiungerla al Cairo.
Ma nel ’90 venne rapito da agenti egiziani e consegnato ai libici. La famiglia riuscì a ricevere notizie nel ’93 e nel ’95 dal carcere di Abu Sleem, un luogo famigerato di detenzione politica dove, nel ’96, 1.500 prigionieri vennero massacrati nel giro di una notte. «Si è saputo solo nel 2002», dice Hisham Matar. Quando ormai la Libia aveva ottime relazioni diplomatiche con tutti i Paesi occidentali. «La dittatura di Gheddafi è unica, nel mondo arabo. La sua caratteristica di governare senza ideologia lo rende inafferrabile, mutevole».
È un dittatore «pragmatico». E in Libia, aggiunge Matar, «qualcuno al governo forse vorrebbe cambiare, ma sembra davvero impossibile. Però oggi ci sono Stati che hanno relazioni molto strette con la Libia, per esempio l’Italia, e non chiedono neppure il rispetto dei diritti umani. Me lo aspetterei, e credo che molti libici se lo aspettino. Ma non succede nulla». Possiamo domandarci se lo scrittore non esageri, data la sua storia. Ma il caso delle infermiere bulgare e del medico palestinesi condannati a morte con l’accusa inverosimile di aver iniettato l’Aids a 438 bambini sembra una riprova perfetta del modello che ci ha disegnato. La sorprende? «Purtroppo no».

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