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La Stampa Rassegna Stampa
17.07.2007 Nasce in Israele il cinema delle donne ortodosse
un articolo di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 17 luglio 2007
Pagina: 14
Autore: Francesca Paci
Titolo: «Quelle donne timorate pazze dei film “kosher”»
Da La STAMPA del 17 luglio 2007:

Seminascosto tra decine di manifesti accanto alla vetrina di Chen Eilat - candelabri a sette braccia, stelle di David, antiche edizioni della Torah - un volantino in ebraico annuncia la proiezione del film «A perfect break» della regista Rahi Elias. Nulla di strano se non fossimo nel cuore di Mea She'arim, il quartiere ultraortodosso di Gerusalemme, l'ultimo esempio di «shtetl», il ghetto ebraico dell'Europa orientale cancellato dall'Olocausto. Qui, dove vivono esclusivamente gli haredim, «coloro che tremano davanti alla parola di Dio», il cinema è considerato l'amplificatore del peccato e la donna il suo veicolo principe. Le case sono prive di tv, centinaia di tazebao lungo le strade sostituiscono il «promiscuo» quotidiano, la radio trasmette solo voci maschili e non ha fatto sconti neppure al ventenne Haim Fayzakov con un bel repertorio di canti per Yahweh ma il timbro troppo femmineo. Se i media diffondono le tentazioni, dicono i rabbini, il grande schermo le moltiplica.
Negli ultimi anni però, qualcosa è cambiato. Grazie al computer, che permette di tagliare le scene «hard» dei cult hollywoodiani o di girarne di nuovi a basso costo, gli haredim hanno conosciuto il cinema. Prima le pellicole religiose proiettate ai matrimoni e nei centri ricreativi della comunità, poi quelle per ragazzi e, finalmente, le donne. Donne protagoniste e donne dietro la telecamera acquistata rinunciando al frigorifero.
Yehuda Grohweis, lunga barba scura, kippà sul capo e soprabito nero, è il pionere dei produttori ortodossi: «Gli haredim ignorano la cultura del tempo libero, guardare film è un'attività domestica». Ha inziato vendendo Dvd ai capofamiglia di Bnei Brak e ora si occupa di pellicole femminili: «E' lo sviluppo naturale del mercato, anche se è complicato. Un film costa circa 30 mila dollari e una haredi alla sua prima prova, oltre a trascurare casa e figli, si deve finanziare da sola. L'intera comunità deve approvare la sua scelta».
Le restrizioni religiose, paradossalmente, aiutano le donne. I rabbini infatti preferiscono un set tutto femminile alla miscela regista uomo più attrici. Così, sdoganate dal marchio kosher, le Dziga Vertov ultraordosse, fazzoletto in testa e gonna alla caviglia, si son piazzate dietro la macchina da presa. Girano melò lacrimosi, scelgono luci elementari, usano effetti naif come all'epoca dei fratelli Lumiere, ma la maggior parte del loro pubblico è cresciuto senza film e sgrana gli occhi.
Secondo Marlene Wenig, docente di drammaturgia nella scuola femminile della comunità religiosa di Belz Hasidim, vicino Gerusalemme, partire da zero ha i suoi vantaggi: «La colonna sonora di "A perfect break" per esempio, è la stessa di "Pulp Fiction" ma nessuno se n'è accorto». L'immaginario è vergine.
«A perfect break» racconta l'epopea di una comunità ebraica durante il novecento. Si piange e si ride per due ore come in «Fateful revelation» di Dina Perlstein, storia di un'ortodossa che scopre il passato nazista del padre. Il pover'uomo in realtà si era vestito da SS per salvare altri ebrei e alla fine la famiglia si ricompatta. Le trame ripropondono cliché religiosi: un laico che si converte leggendo la Torah, due gemelli separati alla nascita che si ritrovano in sinagoga, una donna che perdona. In «Wedding dress» una ragazza malata di tumore muore prima del matrimonio perchè la madre della sua donatrice di midollo non autorizza il trapianto. Quando la donatrice scopre a sua volta di avere il cancro viene salvata dalla mamma dell'altra che le regala anche l'abito da sposa della figlia.
Sono drammoni per passare il pomeriggio, spiega Rachel, neoregista che ha iniziato facendo spettacoli di luci e ombre: «Una donna che paga 40 shekel per il biglietto (8 euro) vuole piangere». Il cinema apre la finestra su un mondo sconosciuto.
A Gerusalemme e nelle comunità limitrofe stanno aprendo le prime scuole specializzate. Una delle migliori è stata inaugurata a Bnei Brak due anni fa, il Gur teacher seminar: il programma evita la parola «film» e annuncia «lezioni di multimedia».
«Facciamo passi avanti ma è dura», ammette Orli, docente alla Jerusalem's Ma'ale Scholl of Television, Film & the Arts. «Quando mostro agli studenti spezzoni di «I 400 colpi» di Truffaut o di «Matrix» c'è sempre il censore in classe". Ogni tanto si distrae: durante la proiezione di «Amelie» non si è accorto che l'attrice, Audrey Tautou, indossava un top: «Qualche spione l'ha riferito al rabbino e ora il corso è a rischio».

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