Tregua in cambio di amnistia rischi e opportunità di una svolta
Testata: L'Opinione Data: 17 luglio 2007 Pagina: 0 Autore: Paolo Della Sala Titolo: «Tregua in cambio di amnistia»
Da l'OPINIONE del 17 luglio 2007:
Le Brigate dei martiri di Al Aqsa, braccio terrorista di al-Fatah, hanno ribadito l’intenzione di attuare una tregua unilaterale nei confronti di Israele. Questa è la notizia, si tratta di vedere che cosa succede dietro le promesse di pace e la credibilità concessa da Peres e Olmert ad Abbas (in funzione anti Hamas). Quali sono le contropartite? Partiamo da questo punto: venerdì prossimo saranno rilasciati dei prigionieri palestinesi (148 o 250 secondo altre fonti) detenuti nelle carceri di Israele. I prigionieri saranno trasportati da unità dell’esercito di Gerusalemme fino all’interno della Cisgiordania. Si parla anche del rilascio di un leader radicale come Barghouti. Contemporaneamente 180 miliziani delle Brigate di Al Aqsa saranno depennati dalla lista dei ricercati dall’IDF. In cambio dovranno impegnarsi a rinunciare alla lotta armata e dovranno consegnare le armi all’ANP. Due giorni fa le truppe di Abu Mazen hanno ricevuto consistenti armamenti dalla Giordania, col consenso del governo Olmert.
Ciò non significa che il dissenso all’interno di Israele non sia durissimo. Arieh Eldad, deputato della Knesset ed ex comandante della Sanità militare, ha affermato che le concessioni di Olmert sono “un misto di manipolazione criminale e stupidità allo stato puro”. Altri ricordano negativamente i cedimenti “buonisti” del passato e il ritiro da Gaza, per trovare conferma a questa frase di Einstein sulla pazzia umana: “Rifare le stesse cose e aspettarsi risultati diversi”. Mentre avanza – a parole - la pacificazione con l’Olp, rimane alta – nei fatti - la tensione con Damasco e con Hezbollah. “L’esercito israeliano si sta preparando a sostenere una guerra generale” afferma il generale Eyal Ben-Reuven, comandante in capo nel corso della guerra in Libano. Il generale aggiunge che l’IDF ha fatto tesoro delle lezioni della scorsa estate. Bisogna anche dire che i dettagli della “amnistia” concessa ai terroristi palestinesi non sono molto chiari. Secondo il sito israeliano Debka il piano è stato predisposto a Washington, e sarebbe rivolto a tutti i terroristi. Non solo Al Aqsa e Fatah quindi, ma anche Jihad Islamica. Il problema principale è poi costituito dal fatto che le Brigate Al Aqsa hanno incluso (segretamente) nel loro organico ben 4500 aderenti a Jihad Islamica e Hamas.
L’amnistia non dovrebbe riguardare questi ultimi, visto che i nomi saranno controllati con accuratezza, ma resta il fatto che i peggiori nemici resteranno liberi e armati fino ai denti. Inoltre termineranno le operazioni – ad alto successo - che hanno massacrato il terrorismo. Si tratta delle così tanto esecrate (in Europa) operazioni di checkpoint e blocchi stradali, attivati da IDF in tutta la Cisgiordania. Il piano di Bush e della Rice, valido per tre mesi, è un vero e proprio salto nel buio, anche se non privo di innovazione. Agli aspetti militari si devono aggiungere quelli finanziari, che partono dallo sblocco dei fondi per l’ANP, congelati dopo la presa del potere da parte di Hamas (100 milioni di dollari). Nonostante le concessioni ottenute i negoziatori palestinesi insistono. Il nuovo primo ministro Salam Fayad ha precisato che la rimozione dei posti di blocco stradali e il trasferimento dei fondi alla banca di Ramallah non cambieranno nulla, se non si arriverà a negoziati sulla soluzione del conflitto e sulla fine della “occupazione dei Territori”. Fayad – che è anche ministro delle Finanze ad interim - ha criticato il piano israeliano di ritiro da Gaza perché ha “spinto i palestinesi in un angolo”.
Uno dei punti di contrasto con Gerusalemme è l’ipotesi di spezzare in due la Palestina, tra integralisti e nazionalisti: “Gaza è parte inalienabile dello stato palestinese”. D’accordo, ma questo lo deve dire ad Hamas… Il primo ministro ha criticato anche Al Qaeda, accusata di intromissione indebita negli affari interni palestinesi. Il presidente Mahmoud Abbas, nel suo colloquio di ieri con Ehud Olmert, ha seguito le linee tracciate dalla Iniziativa araba di pace. Il piano saudita, reso noto nel febbraio scorso con un’intervista rilasciata dal principe Abdullah al New York Times, propone che sia l’intero mondo arabo a normalizzare i rapporti con Israele, in cambio di un ritorno ai confini del 1967. Il progetto è stato accolto positivamente da Washington (che ha richiesto al Congresso 86 milioni per le forze di sicurezza di Abu Mazen) e dai regimi arabi “moderati”. Per quanto riguarda Israele, il piano di pace è visto con favore dai laburisti, con attenzione dai centristi e con ostilità da parte del Likud.
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