Dal CORRIERE della SERA di oggi, 14/07/2007, a pag.15, pubblichiamo l'articolo di Davide Frattini, una intervista-ritratto di Avigdor Lieberman, ministro per le minacce strategiche. Con ottimi spunti di reflessioni per il governo italiano.
DAL NOSTRO INVIATO
TEL AVIV — Lo scrittore David Grossman lo ha chiamato «un piromane messo alla guida dei pompieri ». Nell'ufficio al decimo piano di un grattacielo governativo, Avigdor Lieberman usa il fuoco per accendersi un sigaro cubano ed elenca i suoi progetti per infiammare la politica israeliana. Da nove mesi è ministro per le Minacce strategiche (vedi alla voce nucleare iraniano) e come vicepremier siede nel consiglio di sicurezza, la versione ristretta e prestigiosa del governo. Il capo del partito ultranazionalista «Israele la nostra casa» ha portato in dote a Ehud Olmert 11 seggi, il sostegno e i voti degli immigrati dall'ex Unione Sovietica, ma anche l'accusa di essere un estremista che propugna soluzioni xenofobe.
Lui non se ne preoccupa, dimena gli occhi azzurri e cita i suoi modelli: Winston Churchill e Pietro il Grande. «Leader disposti a pagare il prezzo per scelte e opinioni impopolari. Pronti a dire verità spiacevoli e difficili da accettare». Lo zar, nella biografia romanzata di Alexej Tolstoj che Lieberman rilegge quando si vuole rilassare, definisce così la sua missione: «Per trascinare il popolo fuori dalla palude dei tempi antichi, bisogna aprigli gli occhi e pungolarlo nelle costole». E' il metodo di questo immigrato dalla Moldova, arrivato in Israele nel 1978 e che a 38 anni era già capo dello staff di Benjamin Netanyahu, allora primo ministro. Vive nell'insediamento di Nokdim, in Cisgiordania.
Appena tornato da un viaggio in Europa — incontri alla Nato, a Bruxelles — usa il pungolo: «L'Europa è dominata dallo spirito di Chamberlain (il primo ministro britannico che firmò l'accordo di Monaco con Hitler nel 1938, ndr). Invece di imporre sanzioni economiche e politiche più dure, invece di isolare l'Iran, alcuni Paesi vogliono continuare a dialogare con Teheran e a giustificare il regime ». Critica Romano Prodi, presidente del consiglio italiano, che in un'intervista al quotidiano Maariv
aveva parlato della distinzione tra nucleare civile e atomica militare: «E' impossibile separare la tecnologia nucleare per usi pacifici da quella militare. Soprattutto quando l'Iran allo stesso tempo sviluppa i sistemi missilistici. Se sono preoccupati solo dall'energia, che bisogno hanno di produrre gli Shaab 3 e 4?».
Massimo D'Alema, ministro degli Esteri italiano, ha detto «di essere preoccupato dalla possibilità che vi siano ulteriori sanzioni».
«Non capisco. Abbiamo visto che gli embarghi funzionano: in Corea del Nord, in Libia. Bisogna andare avanti e isolare l'Iran».
Israele sta progettando un raid per fermare l'Iran?
«Non vogliamo attaccare nessuna nazione. Ma dobbiamo preparaci a proteggere i nostri cittadini e il nostro Paese. Il presidente Ahmadinejad ripete di volerci cancellare, nega l'Olocausto. L'Iran manovra Hamas contro di noi e l'Hezbollah perché faccia cadere il governo libanese di Fouad Siniora. E' dietro agli attacchi alle truppe Nato in Afghanistan e ai soldati americani in Iraq».
Lei ha votato contro gli aiuti decisi dal governo per rafforzare il presidente palestinese Abu Mazen.
«Il Fatah è un cadavere che non può essere resuscitato. Abu Mazen deve andare in pensione e fare spazio a una nuova generazione pragmatica, che voglia davvero combattere Hamas e coesistere con lo Stato ebraico».
Considera Ismail Haniyeh, il premier deposto di Hamas, un possibile obiettivo di Israele.
«Deve esserlo. E' responsabile per gli attacchi terroristici che partono da Gaza, è uno dei leader del movimento che vuole distruggerci. Dobbiamo disconnetterci totalmente da Gaza: forniamo elettricità che viene usata anche dai laboratori per fabbricare i razzi Qassam. Ricevano l'acqua e l'energia dai loro fratelli egiziani, non da noi».
Il suo partito propone di cedere la responsabilità di aree a maggioranza araba in Israele a un futuro Stato palestinese in cambio dell'annessione ufficiale di insediamenti in Cisgiordania.
«La causa di questo conflitto decennale è l'attrito tra due popoli e due religioni. Ovunque nel mondo questa frizione produce guerre: nell'ex Jugoslavia, in Irlanda del Nord o nel Caucaso. La soluzione migliore è la separazione: due Stati per due popoli, ma non uno Stato e mezzo per i palestinesi e mezzo Stato per gli ebrei. Quando Ariel Sharon ha deciso il ritiro da Gaza, ho obiettato che avremmo costituto un'entità araba omogenea, senza un israeliano nella Striscia, e noi saremmo diventati uno Stato binazionale, con una minoranza araba del 20%».
Il suo modello è Cipro. Ma 200 mila greci furono costretti a fuggire e a lasciare le case, dopo l'invasione militare turca.
«I mezzi non sarebbero gli stessi, mi interessa il risultato. La situazione a Cipro prima del 1974 era insostenibile: scontri, frizioni, violenze, terrore. Io non propongo di cacciare gli arabi israeliani ma di ridisegnare la mappa, in un futuro accordo».
Gli arabi perderebbero i diritti di cittadinanza, significa un israeliano su cinque.
«Potranno scegliere. O diventare cittadini palestinesi o restare in Israele. In questo caso, devono prestare un giuramento di fedeltà allo Stato, essere pronti a servire nell'esercito. Anche noi dobbiamo garantire uno Stato ebraico omogeneo. Solo in Israele è ammissibile che deputati arabi della Knesset vadano in Libano durante la guerra per sostenere gli Hezbollah o appoggino l'intifada palestinese».
Lei ha detto: «Entrare nella Nato e nell'Unione Europea è l'obiettivo diplomatico e strategico più importante per Israele». E' la stessa Europa che accusa di soccombere allo spirito di Chamberlain.
«Appunto. Noi potremmo introdurre lo spirito di Churchill, necessario se le società libere occidentali vogliono sopravvivere».
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