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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
12.07.2007 Sottomarini all'Iran, soldi ad Hamas
e altre notizie dal Medio Oriente

Testata: Corriere della Sera
Data: 12 luglio 2007
Pagina: 13
Autore: Guido Olimpio - Giuseppe Sarcina - Davide Frattini - la redazione
Titolo: «L'asse (sottomarino) tra Nord Corea e Iran - L'Ue «scongela» la finanziaria di Hamas - «Darwish traditore, recita poesie in Israele» - La prima volta di Olmert nei Territori»

Sottomarini nordcoreani , migliorati con tecnologia italiana, saranno forniti all'Iran.
Sulla vicenda, un articolo di Guido Olimpio, dal CORRIERE della SERA del 12 luglio 2007:


WASHINGTON — È il «wolf pack». Un branco di lupi che insegue la preda. E i lupi in questo caso sono una flottiglia di mini-sottomarini e motoscafi veloci, difficili da individuare, adatti per missioni all'interno di porti. Sono costruiti nella Corea del Nord e migliorati con tecnologia italiana.
Tra poche settimane l'Iran riceverà alcune di queste unità che verrebbero impiegate, in caso di conflitto, contro la V flotta americana nel Golfo Persico. Le indiscrezioni sull'acquisto dei mini- sub da parte di Teheran coincidono con l'annuncio del Pentagono sullo schieramento di una terza portaerei statunitense — la Enterprise — nella regione.
L'Iran, da tempo, osserva il rafforzamento militare americano nello scacchiere ed è consapevole di non poter tenere testa alla superpotenza. Per questo le forze speciali e soprattutto i pasdaran, che dispongono di un loro apparato navale, hanno deciso di dotarsi di unità in grado di lanciare attacchi a sorpresa e condurre operazioni di sabotaggio. I sottomarini non fermeranno certo le portaerei ma potranno dare fastidio al traffico marittimo e creare problemi nelle basi sul Golfo.
Teheran — come confermano ambienti militari — ha deciso di rivolgersi al suo fornitore abituale. La Corea del Nord. Il regime comunista dispone di decine di mini-sub ed ha sviluppato tecniche di infiltrazione nel corso degli anni lanciando raid spionistici lungo le coste del Sud come in Giappone. Alcune unità possono trasportare sino a 30 uomini armati, ma la versione realizzata per l'Iran è più piccola: ha quattro uomini d'equipaggio più otto incursori subacquei. Sul ponte vi sono contenitori per mine, attrezzature o piccoli siluri. Una copia dei famosi «maiali» usati dagli incursori italiani nella seconda guerra mondiale.
Gli iraniani, dopo aver costruito un paio di mezzi nei loro cantieri, hanno chiesto aiuto a Pyongyang nella speranza di ottenere mezzi più efficaci. Gli esperti non escludono che i sottomarini nordcoreani siano stati modificati tenendo conto delle innovazioni tecnologiche realizzate da una società italiana. Segreti arrivati in Iran con una complessa quanto classica triangolazione. La nostra ditta ha ceduto più di un mini-sottomarino al Pakistan che ha girato il know how alla Cina, che a sua volta ha passato le informazioni alla Corea del Nord. Non è un mistero che in questo settore l'Italia vanti una grande tradizione testimoniata dal valore dei reparti subacquei oggi rappresentati dal Comsubin.
Le piccole unità — secondo quanto rivelatoci da fonti giapponesi — potrebbero operare insieme a dei battelli semi-sommergibili che verrebbero messi in mare da speciali navi spia. Si tratta di cargo, truccati come mercantili o pescherecci, dotati di portelli sulla poppa: all'interno della stiva contengono uno spazio per il motoscafo. Una di queste navi madre è stata catturata anni fa dalla Marina giapponese e secondo l'intelligence è probabile che un paio di esemplari siano finiti proprio in Iran.
In uno scenario presentato dalla Marina Usa si prevede che l'Iran possa attaccare la flotta americana con la tattica dello «sciame»: decine di piccole unità contro un bersaglio più grande. In base a questo schema — come ha precisato Robert Althage, Us Navy Intelligence — venti imbarcazioni veloci puntano su una nave da guerra o una petroliera. In alcuni casi i pasdaran potrebbero ricorrere ad azioni kamikaze. Le ultime stime del Pentagono fissano a mille il numero di vedette veloci in grado di partecipare a missioni nel Golfo. L'arrivo dei mini-sottomarini nordcoreani accrescerà le capacità degli iraniani di rendere insidiose le rotte del greggio e costringerà le forze Nato a scortare le petroliere. Una ripetizione di quanto avvenne durante la guerra Iran-Iraq alla fine degli anni '80. Allora il traffico marittimo era messo in pericolo dai raid aerei iracheni e — in misura minore — dalle scorrerie dei pasdaran. Per alcune settimane scattò l'allarme anche nello stretto di Suez, per la presenza di mine depositate da un misterioso cargo. Tutto questo può accadere di nuovo.

La "Corte di Giustizia del Lussemburgo" ha tolto dalla lista nera delle organizzazioni terroristiche la "Fondazione Al-Aqsa",   canale finanziario per gruppi terroristici che fanno capo ad Hamas.
Ecco il testo dell'articolo di Giuseppe Sarcina
(pagina 15):

BRUXELLES — Sul piano giuridico la spiegazione è lineare. Ma su quello politico fa discutere la sentenza della Corte di Giustizia del Lussemburgo che ieri ha cancellato la Fondazione Al-Aqsa dalla lista nera delle organizzazioni terroristiche. La vicenda nasce nel 2003, quando il governo olandese mette sotto controllo le attività della «Stichting- Al Aqsa». È davvero un'istituzione benefica? I fondi raccolti nei Paesi Bassi e nel Nord Europa finiscono veramente ai bambini e alle famiglie più povere, nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania? I sospetti delle autorità dell'Aja diventano certezze nell'aprile del 2003: Al-Aqsa è un canale finanziario per gruppi terroristici che fanno capo ad Hamas. Subito arriva il congelamento dei fondi e dei conti bancari dell'organizzazione. Il 27 giugno dello stesso anno il Consiglio dei ministri degli esteri Ue, su segnalazione olandese, inserisce nella lista nera europea la Fondazione Al-Aqsa. E lì rimane fino a oggi, confermata in ogni aggiornamento semestrale. Ma, evidentemente, oltre a esperti di finanza, la «Stichting» dispone anche di avvocati efficienti e audaci. Sempre nel 2003 i legali presentano ricorso a livello nazionale e, in parallelo, al Tribunale di prima istanza a Lussemburgo. I giudici olandesi in breve respingono l'appello. Ieri, invece, le toghe della Ue, a sorpresa, lo accolgono. Motivo? «La decisione del Consiglio (congelamento dei fondi,
ndr.) non ha rispettato i diritti di difesa degli interessati e il Tribunale stesso non è in grado di controllare la legalità della decisione». Conclusione: «Le misure contro Al-Aqsa devono essere annullate».
Da oggi, dunque, la Fondazione riacquista, almeno a livello europeo, la patente di rispettabilità e potrà movimentare depositi dislocati in territorio Ue (Olanda esclusa). Nella sentenza i giudici citano una sentenza analoga: il 12 dicembre 2006 anche i Mujaheddin del Popolo dell'Iran erano usciti dalla lista nera sempre per «difetto di difesa».
Le notizie in arrivo dal Lussemburgo sollevano un problema finora rimasto in ombra. La lotta al terrorismo su scala mondiale, cominciata dopo l'attentato alle Torri gemelle dell'11 settembre 2001, in Europa si appoggia su strumenti che si stanno rivelando piuttosto fragili. La legislazione comunitaria non è stata messa al passo delle nuove esigenze. Da una parte il Consiglio dei ministri, cioè il livello politico più alto, nega alle organizzazioni terroristiche qualsiasi legittimità e perciò le mette al bando (lista nera). Ma per la Corte questa è una procedura come le altre, visto che non esistono norme europee anti-terrorismo. E quindi se c'è l'accusa ci deve essere, sempre, anche la difesa.

Polemiche tra i palestinesi per la serata di letture del poeta nazionalista Mahmoud Darwish ad Haifa.
Recarsi in Israele viene bollato come "tradimento". 
Altro che "dialogo", Israele non deve essere riconosciuta in nessun modo
Ecco il testo dell'articolo di Davide Frattini (a pagina 15):

GERUSALEMME — «Prendi nota. Sono arabo. Carta d'identità n˚50.000». I palestinesi sventolano questi versi come una bandiera, recitano l'orgoglio di un popolo. «Prendi nota. Sono arabo. Carta d'identità 50 shekels». Le parole di Mahmoud Darwish sono diventate una parodia per attaccare il poeta. Cinquanta shekels è quanto costa il biglietto per assistere a una serata di letture con lui. Cinquanta shekels, moneta israeliana.
Darwish torna domenica ad Haifa, sulla costa nord del Paese, per la prima volta in 11 anni. La rivista Mesharef e il partito Hadash hanno organizzato l'evento per celebrare lo scrittore diventato il simbolo della causa palestinese, ma che nella città della convivenza è cresciuto. La visita è stata contestata da altri intellettuali arabi.
«Non ci sarebbe alcun problema ad andare in Israele — scrive Biar Abu Musaab sul giornale libanese Al Akhbar —, è il momento a essere sbagliato. Darwish ha ottenuto il permesso dai comandi militari dell'occupazione, mentre le famiglie palestinesi sono disperse e per anni non possono essere riunite».
Lo stesso giorno il quotidiano ha presentato un commento di Joseph Misaad, docente di Storia del pensiero arabo, che critica Darwish per aver chiamato Ismail Haniyeh, il premier deposto di Hamas, «l'Abu Sufian di Gaza» (ricordando un capoclan che sfidò Maometto): «Darwish non ha mai detto una parola contro gli orrori commessi dal Fatah di Yasser Arafat e adesso presenta un poema sulla prima pagina di Al Hayat (pubblicato a Londra, ndr) in cui condanna la cultura islamica e elogia il modello dell'illuminismo laico europeo. Dimentica che questo modello è alla base del razzismo e del colonialismo».
Darwish si è difeso in un'intervista al quotidiano palestinese Al Ayyam: «Non capisco questo chiasso organizzato da ragazzini e mezzi intellettuali. Vado nel mio Paese, non alla Knesset. La campagna contro di me è senza senso. Ogni volta che sono andato in Israele ho dovuto chiedere un permesso ai militari per due giorni, attraverso i deputati arabi israeliani». Il poeta è sorpreso: «Nessuno ci guadagna, il costo dei biglietti serve a coprire l'affitto della sala. Mi sarei aspettato che l'opposizione alla mia visita arrivasse dagli israeliani».
Lo scrittore è considerato il rappresentante più importante della adab al-mukawama, «la letteratura della resistenza ». Yossi Sarid, allora ministro dell'Educazione, aveva proposto nel 2000 di inserire le sue poesie nelle antologie per le scuole israeliane. Le proteste avevano costretto il governo a fermare il progetto. «Lo Stato d'Israele non è ancora pronto per le opere di Darwish», aveva commentato il premier Ehud Barak.
Dal carcere, un leader del Fatah è intervenuto per difendere l'intellettuale palestinese. Husam Khader, condannato a sette anni per i legami con le Brigate Al Aqsa, racconta su Al Ayyam le perquisizioni e i controlli di sicurezza affrontati da Darwish, quando si sposta tra Amman e Ramallah. «Non ha mai chiesto un trattamento speciale, potrebbe starsene ovunque nel mondo, torna sempre in Palestina perché ha bisogno di questo contatto emotivo». Ricorda «che uomini mascherati hanno assaltato a Gaza la statua al milite ignoto perché era considerata un simbolo eretico». E conclude: «La cultura nazionale palestinese — di cui Darwish è uno dei grandi creatori — è il vero obiettivo della campagna portata avanti dalle milizie di Hamas».
Nei giorni degli scontri tra i fondamentalisti e il Fatah nella Striscia di Gaza, Darwish ha voluto prendere posizione con una poesia, un ritorno alla politica per lui che aveva deciso di cantare solo l'amore. «È stato necessario cadere da un'altezza tremenda per vedere il nostro sangue sulle nostre mani, per capire che non siamo angeli, come pensavamo?». Anche Khader parla delle divisioni tra i palestinesi e accusa le fazioni di voler prendere in ostaggio il poeta: «Dall'Esercito dell'Islam all'esercito dei commentatori. La prima è una banda che rapisce un giornalista della Bbc per un riscatto, la seconda vuole seques trare Darwish con un'operazione che danneggia la nostra causa».
Darwish è nato nel 1941, nel villaggio di Al Birwah. La famiglia è fuggita dopo la guerra del 1948 e si è stabilita in Libano, da dove è tornata a Jedida, sempre nel nord d'Israele. Il poeta è rimasto ad Haifa fino al 1971, quando è andato a Mosca per seguire un corso offerto dal partito comunista. Da allora non è più vissuto nello Stato ebraico ed è venuto solo per visitare i parenti. L'ultima volta, 11 anni fa, è stato ad Haifa per partecipare a un film dedicato a Emile Habibi. Poco dopo il suo arrivo, gli è stato detto che lo scrittore- politico era morto e Darwish si è ritrovato a recitare l'orazione funebre per l'amico.
L'invito di domenica è stato lanciato da Siham Daoud, direttrice della rivista
Mesharef, fondata proprio da Habibi. «Tutto il mondo arabo ha sentito la voce di Darwish — racconta al quotidiano Maariv —
ma la sua gente non ha avuto il privilegio di ascoltarlo. Haifa è la città dov'è cresciuto e ha lavorato. In passato, gli avevamo proposto di leggere le sue poesie a Nazareth, Jaffa e qui da noi. Si è rifiutato. Questa volta ha detto: "Non posso più dire no ad Haifa"».

Il premier israeliano Olmert ha deciso di recarsi  in visita ufficiale nei territori palestinesi (pagina 15)  :

Per la prima volta un premier israeliano mette piede nei Territori Palestinesi in visita ufficiale: «Ehud Olmert (foto) incontrerà il presidente palestinese Abu Mazen lunedì prossimo a Gerico in Cisgiordania». Lo riferisce il quotidiano Haaretz,
citando fonti dell'amministrazione israeliana. Sarà la prima volta che un premier dello Stato ebraico si recherà in visita nell'Autorità Palestinese. L'incontro dovrebbe tenersi all'Hotel Intercontinental di Gerico. L'ufficio di Olmert non ha voluto commentare la notizia, mentre Saeb Erekat, stretto consigliere di Abu Mazen, ha affermato di non essere certo che la data dell'incontro sia concordata.

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