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Il Giornale - Corriere della Sera - Il Foglio Rassegna Stampa
12.07.2007 Sul Medio Oriente la sinistra italiana ripete vecchi errori
gli editoriali di Fiamma Nirenstein, Piero Ostellino e Carlo Panella

Testata:Il Giornale - Corriere della Sera - Il Foglio
Autore: Fiamma Nirenstein - Piero Ostellino - Carlo Panella
Titolo: «Il vizietto filo-arabo - Una scelta ambigua - Prodi,D’Alema,Fassino si sconfessano a vicenda e irritano mezzo mondo»

Dalla prima pagina del GIORNALE del 12 luglio 2007, un editoriale di Fiamma Nirenstein:

Quale invincibile cecità, quale peccato originale obnubila la sinistra quando si parla di questione mediorientale, per cui ogni apparente progresso viene subito vanificato da errori? Si tratta di perversione concettuale, o di cecità morale? Era sembrato sperabile, una volta ancora, che la visita di Prodi in Medio Oriente contenesse, sia pure in maniera limitata, una revisione degli errori storici della sinistra verso Israele e, insieme, di quelli sul terrorismo islamico. Non è così: e la delusione è tanto più cocente in quanto a causarla sono due personaggi in genere molto distanti fra loro quando si parla di politica estera, Massimo D’Alema e Piero Fassino, ambedue rappresentanti onorati della maggioranza. Ci tocca a trovarceli uniti uno, Massimo D’Alema, che chiede di alleggerire le sanzioni all’Iran e che in una lettera aperta a Tony Blair insiste con altri nove ministri della Comunità Europea di aprire a Hamas, e l’altro, al contrario di D’Alema, uno dei leader di sinistra più moderati in politica estera, che chiede di “sedersi a un tavolo con Hamas” anche se non riconosce Israele. In più D’Alema, siccome Prodi ha tenuta bassa la polemica togliendo ufficialità al gesto del suo ministro, lo ha ribadito polemicamente anche ieri. Si tratta di uno scandalo politico e concettuale. Politico, perché la cosa (col seguito piccato di D’Alema e Fassino immerso in una guerra di leadership) sa di ricerca di chiasso e di caccia al consenso verso i terreni dell’odio antisraeliano propri della sinistra estrema che decenza vorrebbe fosse abbandonato quanto prima e invece rifiorisce sempre: è da quando la Guerra Fredda dichiarò lo Stato degli Ebrei nemico pubblico, colonialista, imperialista, amico degli americani, che la sinistra ha abbracciato l’odio antisraeliano, ha sollecitato con la sua compiacenza il terrorismo, ha assolto il mondo arabo da ogni responsabilità facendo il suo fatale danno, ha bruciato in piazza le bandiere israeliane con quelle americane e aggredito Israele con accuse di criminalità internazionale mentre si costruiva, dall’Iran alla Siria agli Hezbollah a Hamas fino ad Al Qaida un vero esercito conquistatore, negazionista, antisemita, anticristiano. L’esortazione di Fassino e di D’Alema a parlare con Hamas indebolisce il già fragilissimo tentativo di creare un fronte moderato e delegittima Abu Mazen che rifiuta il contatto. Sul fronte interno, crea una imperdonabile lesione morale nel rapporto fra classe dirigente e il cittadino di un Paese democratico che faccia della libertà e dei diritti umani la propria bandiera. Che cosa insegna una simile esortazione se non tolleranza verso la violenza più inaudita? Se non negazione del rilievo strategico e soprattutto morale del terrorismo? Che cosa deve arrivare a fare un’entità politica per risultare infrequentabile all’Italia? Assediare case private e ucciderne gli abitanti sul posto? Uccidere col colpo in testa tre donne selezionate fra una massa di profughe di Gaza, scegliendole una sedicenne, una ventottenne e una settantatreenne dal mucchio? Gettare cittadini dal 16° piano? Assalire un ospedale a colpi di bazooka? Trascinare per strada il nemico e giustiziarlo sul posto alla presenza della propria famiglia? Giustiziare con un colpo alla testa bambini che vanno a scuola in macchina col proprio padre? Tagliare teste col coltello? Rapire innocenti? Hamas ha fatto tutto questo. Che cosa deve dire una forza politica per essere dichiarato incapace di intendere il linguaggio della mediazione? Dichiarare guerra totale all’Occidente? Promettere nella propria carta costitutiva lo sterminio degli ebrei? Negare la Shoah? Dichiarare reo tutto l’Occidente di empietà? Deve mandare in onda alla tv Topolino per ordinare ai bambini di farsi “shahid”, martiri per la gloria di Allah? Deve mandare madri incinte a farsi saltare per aria? Distruggere denaro e serre e investire milioni di dollari in violenza e odio, reclutare dentro le moschee nei campi estivi bambini per insegnare loro a usare cariche esplosive? Questo Hamas lo fa. Ed è onesto: il suo messaggio ripete chiara la determinazione a distruggere Israele, a conquistare all’Islam il mondo. Parlare con Hamas, cosa significa? Già ci si parla per arrivare a uno scambio di prigionieri che liberi Gilad Shalit a caro prezzo; ci si parla per consentire il passaggio di cibo, medicine, malati, beni necessari. Israele seguita a fornirgli elettricità, benzina, medicine, gas, altri beni, anche se ne riceve in cambio solo missili kassam. Che questo sia. Ma invitare all’accettazione di Hamas come interlocutore è inammissibile perché aumenta i rischi di guerra e terrore: Ahmadinejad, Hanje, Nasrallah, Assad, Bin Laden si sentiranno vieppiù sulla strada della vittoria. E questa nostra società a rischio di crescente violenza incrementerà la sua deriva, legittimerà qualsiasi cosa. Non lamentiamoci in futuro delle scelte di un giovane italiano che viene invitato a sedersi con chiunque.
L'Alto rappresentante per la politica estera dell' Unione Europea, Javier Solana, ha detto che la lettera a Tony Blair dei dieci ministri degli Esteri europei — fra i quali il nostro Massimo D'Alema — sulla questione israelo-palestinese rischia di spaccare l'Europa. Nella lettera si dice che dalla presa di Gaza da parte di Hamas «può nascere una speranza » e si auspicano «negoziati, senza preliminari, sullo statuto finale». Solana ha ragione. Ma il suo giudizio pecca per difetto. La lettera, infatti, non rischia solamente di spaccare l'Europa. Ha altre controindicazioni.

Dalla prima del CORRIERE della SERA, l'editoriale di Piero Ostellino:

Prima: il giudizio che dalla presa di Gaza da parte dei terroristi di Hamas possa nascere «una speranza » indebolisce il fronte moderato. Abu Mazen, il presidente dell'Autorità palestinese, ha denunciato la presenza di Al Qaeda nella striscia ed è contrario a un governo di unità nazionale con i terroristi. Così come è da sempre il governo israeliano. Sostiene invece D'Alema: «Se Abu Mazen avesse le carte giuste, i moderati potrebbero tornare a un processo di conciliazione con Hamas» (intervista al Corriere,
6 luglio). Seconda: la lettera non solo allontana ulteriormente l'Europa dagli Stati Uniti sulla questione israelo-palestinese, ma spacca anche il fronte anti-terrorista occidentale. Ora, che l'estremismo arabo anti-israeliano individui nell'Ue il nuovo alleato — dopo il Terzo Reich e l'Unione Sovietica — da contrapporre agli Stati Uniti, assimilati al vecchio imperialismo britannico, è politicamente comprensibile, anche se storicamente e concettualmente sbagliato. Che l'Ue intraveda nell'estremismo arabo anti-israeliano un interlocutore utile per prendere le distanze dagli Usa è semplicemente ridicolo. Anche se Israele scomparisse, l'estremismo arabo-islamico concentrerebbe su un altro obiettivo occidentale la sua sete di rivincita. L'attuale antigiudaismo religioso è frutto di una crisi di identità, cioè della mancata modernizzazione e del fallimento dei movimenti nazionalisti nel mondo islamico. Terza: l'auspicio di «negoziati senza preliminari» contraddice il principio che deve presiedere a ogni negoziato. Che, per negoziare, le parti, prima ancora di sedersi al tavolo delle trattative, riconoscano la legittimità dell'altra, il che non è, da parte di Hamas, nei confronti di Israele. La creazione dello Stato palestinese è un obiettivo legittimo e auspicabile. Ma al posto di Israele o a fianco di Israele?

Sorprende perciò — e personalmente spiace a chi scrive — che un uomo politicamente navigato come Piero Fassino dica che «bisogna provare a sedersi a un tavolo con Hamas, anche senza la pregiudiziale del riconoscimento di Israele». Sarebbe ora, infatti, che la si smettesse di dire che, in Palestina, si scontrano due «ragioni» ugualmente legittime — quella di Israele a esistere e quella dei palestinesi ad avere un loro Stato — se una delle due ragioni, la ragione dei palestinesi, nega ed esclude l'altra. I palestinesi, fino a quando perseguiranno la nascita del proprio Stato «al posto di Israele», non sono una delle «due ragioni», legittima quanto l'altra, in conflitto. Hanno semplicemente torto e, con loro, chiunque ne sostenga il diritto, stando così le cose, ad avere un loro Stato.
In tale contesto, sarebbe, dunque, auspicabile che l'Italia, anche di fronte alla prospettiva che l'Iran — il solo Stato figlio di una rivoluzione integralista islamica, anti- israeliana, antigiudaica e anti-occidentale riuscita — si doti dell'arma nucleare, avesse una politica estera meno ambigua. Che, poi, tale ambiguità non sia ideologica, ma alimentata da corposi interessi economici, non è un'attenuante. È un problema di politica estera.

Da pagina 2 del FOGLIO, l'analisi di Carlo Panella:

Roma. Nel giro di poche ore Massimo D’Alema è riuscito a irritare profondamente Javier Solana, a correggere pesantemente Romano Prodi sull’Iran, a fare capire a Ehud Olmert che il governo italiano ha due linee diverse su Teheran e a ricevere una dura presa di distanza dagli Usa. Piero Fassino, da parte sua, è riuscito anche a irritare profondamente Ehud Olmert e soprattutto Abu Mazen. Una serie sconfortante, degna di un esecutivo in preda a convulsioni, che inizia con la decisione di D’Alema di apporre la sua firma a una “lettera a Tony Blair” decisa in una riunione di Portorose tra i dieci paesi mediterranei dell’Ue. Una riunione tanto irrilevante che l’Italia era rappresentata solo dal sottosegretario Famiano Crucianelli, che ha definito però un documento esplosivo nella forma e nella sostanza: uno sconvolgimento della strategia europea in medio oriente. La lettera infatti dichiara “morta” la road map, definisce “troppo rigide” le condizioni preliminari poste ai palestinesi (fine del terrorismo e riconoscimento di Israele), auspica una trattativa anche con Hamas, senza condizioni, senza impegno alla fine del terrorismo e senza riconoscimento di Israele e conclude con la stravagante proposta dell’invio di un corpo di spedizione dell’Onu nei Territori. Proposta subito giudicata addirittura poco seria da Sean McCormack, portavoce del dipartimento di stato: “Sono certo che non si troverebbero molte forze disposte ad andare in quello che presumo sia un ambiente non permissivo. Sono certo che vi sarebbero forti attriti in questa fase. Ma se persone serie si facessero avanti con proposte serie, ovviamente le esamineremmo”. Dunque, proposta non seria avanzata da persone non serie. Irritata anche la reazione di Solana che ha ricordato che la road map è tuttora la strategia ufficiale dell’Ue, che le condizioni preliminari sono tuttora ritenute cogenti da Onu, Russia, Usa e Ue, e che queste iniziative distruggono ogni ipotesi di unione politica europea: “Essa ricorda la ‘lettera degli otto’ (con cui alcuni paesi europei si schierarono nel 2003 con gli Usa a favore della guerra in Iraq) e le sue conseguenze, eppure avrebbero dovuto imparare la lezione di allora. Credo che ci siano meccanismi molto più utili, migliori ed efficaci per esporre le idee di ciascuno”. D’Alema ha risposto, piccato, di non aver partecipato alla riunione e comunque di avere trovato “condivisibile” la lettera, un modo diplomatico per coprire Crucianelli e confessare, senza dirlo, di averla firmata senza rendersi conto delle implicazioni. Subito dopo, D’Alema ha anche corretto Prodi sull’Iran, affermando di “essere preoccupato” per ulteriori sanzioni Onu che avrebbero prodotto “il rischio che tra pochi anni ci troveremo di fronte allo scenario peggiore: o accettare la bomba atomica iraniana o avere una guerra contro l’Iran”. Ben diverso era stato invece il tono di Romano Prodi a Gerusalemme: “Il rifiuto iraniano di ottemperare alle richieste del Consiglio di sicurezza dell’Onu rende sempre più prossimo l’inasprimento delle sanzioni. Ci porta cioè verso una via che nes nessuno vuole”. Olmert, sentite queste parole di Prodi, aveva salutato con entusiasmo quella che pareva una linea di fermezza italiana, e invece ora deve prendere atto – con irritazione, come risulta al Foglio – che le parole di Prodi significavano l’opposto: “No a nuove sanzioni all’Iran”, come titolava ieri il Corriere della Sera. Piero Fassino è invece riuscito a entrare in rotta di collisione non solo con Olmert, ma anche con Abu Mazen. Da settimane, infatti, il presidente palestinese è netto su due punti: nessun rapporto con Hamas – accusata dal rais addirittura di avere “favorito l’impianto di al Qaida a Gaza” – e richiesta di un contingente internazionale non per contrastare Israele – che gli fornisce ormai anche supporti militari contro Hamas – ma, appunto, per riconquistare Gaza. Prodi, diplomaticamente, ha giudicato prematura questa seconda richiesta, ma Fassino ha fatto di più, ha contrastato la posizione di Abu Mazen e ha sostenuto che “bisogna provare a sedersi attorno a un tavolo con Hamas, anche senza la pregiudiziale del riconoscimento di Israele”. Esattamente l’opposto della posizione del governo palestinese, oltre che del governo di Gerusalemme che – come risulta al Foglio – considera improponibile e quasi offensiva la stravagante tesi del segretario dei Ds secondo cui “se ci si siede attorno a un tavolo, non è solo Israele che riconosce Hamas, ma viceversa”.

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