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Il Foglio Rassegna Stampa
11.07.2007 Il fallimento di Al Qaeda in Iraq
un'intervista ad Amir Taheri

Testata: Il Foglio
Data: 11 luglio 2007
Pagina: 2
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «Amir Taheri ci spiega che “al Qaida ammazza perché non può convincere gli iracheni”»
Dal FOGLIO dell'11 luglio 2007:

Roma. Il bilancio dell’attentato contro i turcomanni sciiti di Armili saliva a 160 vittime, con gli iracheni impegnati a cercare ciò che resta di una moglie e dei figli sotto le macerie delle case di fango, mentre il generale David Petraeus alla Bbc spiegava che l’impegno militare in Iraq potrebbe durare “decenni”. Giorni fa aveva parlato di un “miniTet” terroristico. “Perché questo è il momento della verità”, dice Amir Taheri di ritorno dall’Iraq. Dissidente iraniano esule a Londra, editorialista di molti quotidiani arabi e autore di libri tradotti in venti lingue, Taheri pensa che Washington non possa fissare alcuna data di ritiro prima di aver lasciato al governo un paese bonificato. “Il dibattito sul ritiro è solo politica americana, non ha nulla a che fare con la reale situazione sul campo. In Vietnam c’era un partner con cui trattare, il regime comunista di Hanoi. In Iraq non c’è niente. Ho parlato con i leader democratici, sanno che è facile entrare in un paese, meno facile è uscirne. E’ più facile distruggere una democrazia che costruirla. Se l’America si ritirasse prima del previsto, prima che l’Iraq possa difendersi da solo, l’Iran entrerebbe da sud, l’Arabia Saudita a proteggere le zone sunnite e la Turchia contro i curdi”. Il piano Petraeus è entrato nel pieno da due settimane e la stampa liberal dice che è già fallito. “La situazione è già migliorata nella provincia di Anbar e nei cinque quartieri violenti di Baghdad. Come ha dimostrato il massacro di Armili, al Qaida sta colpendo nelle province dopo essere stata sconfitta nei grandi centri. Ad Armili c’erano solo una trentina di poliziotti. Per la prima volta da tre anni, americani e iracheni sono all’offensiva nella zona di Baquba, in gran parte già liberata. ‘Iracheni e americani sono uniti dentro questa stessa cosa’, ha detto Adnan Pachachi, il padre della nuova Costituzione”. La situazione militare è buona, quella politica meno. “Il premier Maliki è sempre meno forte. Si parla dello sciita Adel Abdel Mahdi come successore. La debolezza del governo non consente di fissare quelle elezioni municipali che priverebbero i terroristi del potere territoriale di cui beneficiano. Sei mesi fa la coalizione occidentale era sulla difensiva, consentendo a terroristi e insorgenti di impossessarsi di zone di Anbar e Diyala. Il governo Maliki era all’offensiva”. Oggi è l’opposto. “Abbiamo un grande dinamismo militare e una letargia politica. La provincia di Anbar è stata in gran parte normalizzata, grazie all’alleanza con le tribù sunnite che combattono contro al Qaida. In molte zone di Baghdad le forze di sicurezza irachene hanno stabilito una presenza nuova ed effettiva. L’esercito iracheno, sostenuto dagli inglesi, è all’offensiva nel sud sciita. Per la prima volta dalla caduta di Saddam, gli iracheni hanno portato a termine un numero considerevole di operazioni, espellendo i terroristi dai palmeti di Baquba. Il reclutamento nell’esercito è tale che i battaglioni sono passati da 22 a 50”. Il fallimento di al Qaida La sicurezza si è vista all’opera dopo il secondo attacco ai due bellissimi minareti di Samarra. “Un anno fa ci fu una grande violenza settaria, oggi solo un paio di moschee sunnite distrutte. Il morale delle truppe è rafforzato dalla rinuncia della data di ritiro dei democratici al Congresso”. Quando si dice “la guerra”, in realtà sono tre. “La prima ha cambiato lo status quo e ha garantito che l’Iraq non sviluppasse armi di distruzione di massa. L’estate del 2003 ha posto fine a questa prima fase. La seconda è stata lanciata dai reazionari che non volevano nuove istituzioni. Le due elezioni popolari hanno decretato la sconfitta del terrorismo. Jihadisti e residui baathisti hanno ucciso più di 25 mila iracheni e causato la morte di decine di migliaia di altri, sabotando acqua, petrolio e servizi elettrici. Nonostante l’assassinio di 36 candidati e 148 elettori, i terroristi hanno fallito. Siamo nella terza guerra. Americani e iracheni stanno vincendo anche questa. I nostri nemici sono come giocatori al casinò, vincono molto alla roulette ma non sanno come incassare il bottino. I terroristi continueranno a uccidere, ma non riusciranno a convertire il sangue in successo politico. E non riusciranno a sconfiggere l’esercito americano. Nessuno può. Ma uno come Harry Reid (senatore democratico, ndr) può farlo al posto loro dicendo che la guerra è ‘persa’”. Il governo eletto può chiedere agli americani di lasciare il paese. “Ma vincere il terrorismo islamista richiede tempo”. Petraeus ha ragione, forse serve un decennio. “All’Egitto sono serviti 22 anni, l’Algeria non ha finito dopo dodici anni di guerra. L’America deve porre l’esercito iracheno nelle condizioni di fare quello che algerini, egiziani e turchi hanno compiuto. L’intervento in Iraq e Afghanistan ha creato un nuovo status quo che ora ha bisogno di essere difeso, come l’Europa del dopoguerra e la penisola coreana”. Al Qaida non è stata in grado di fermare il processo democratico. “Non ha saputo distruggere le fragili istituzioni del dopo Saddam. Al Qaida è sotto la pressione storica dei sunniti a ovest dell’Eufrate. In termini militari, al Qaida ha fallito a conquistare un territorio e ha perso le enclave a Fallujah e Samarra”.
Un detto arabo recita che i libri si scrivono al Cairo, si stampano a Beirut e si leggono a Baghdad. Secondo l’intellettuale iraniano Amir Taheri, “gli iracheni hanno nuovamente la possibilità di essere leader del mondo arabo. La guerra ha imposto un nuovo capitolo della storia arabo-islamica. L’Iraq ha tutti i numeri per camminare da solo nei prossimi anni. Nessuno ha la forza di rovesciare il governo. Sarà versato altro sangue, ma non sarà capitalizzato in politica. Il sindaco di Baghdad ha detto che i popoli del medio oriente sono invidiosi dell’Iraq, i dominatori sono nervosi. Ogni arabo sa che l’Iraq è un paese più democratico e libero del proprio. Questo è un momento di transizione epocale nella storia araba, si passa da un tipo di società a un’altra”. Una legione di arabi parte dall’Europa per farsi esplodere a Kirkuk e Tikrit. “E’ il jihad globale. Questa parabola di morte che inizia in Europa per concludersi a Ramadi dovrebbe farci capire che l’Iraq è il primo fronte della guerra contro il terrorismo. L’America non è sola in questa guerra. Hai visto manifestazioni irachene gridare ‘yankee go home’? Nessuno vuole il ritiro americano. Compresi i sunniti. Vogliono essere difesi dal terrorismo straniero e dalle ambizioni nefaste dell’Iran. Ahmadinejad è all’offensiva perché a Washington si parla di ritiro”. Il premier iracheno Maliki in un articolo sul Wall Street Journal paragona l’Iraq alla Guerra di secessione americana. “Non sono d’accordo”, commenta Taheri. “Durante la Guerra civile americana, c’erano due governi, due eserciti e due senati. In Iraq c’è un solo governo eletto e tante bande terroristiche. Arriverà il giorno in cui gli stati arabi apriranno ambasciate, non ufficietti, a Baghdad. Per ora stanno sabotando la democrazia irachena”. Taheri è molto ottimista. “Gli iracheni stanno rieducando se stessi. Ho cenato con Ali al Sistani a Londra qualche mese fa e mi ha detto che gli ayatollah stanno perdendo influenza in Iraq. Il popolo vuole il progresso. I terroristi uccidono perché non possono convincere gli iracheni”. Taheri è reduce da una visita a Bassora. “In teatro c’era ‘Assassinio nella cattedrale’ di T. S. Eliot, scienziati e religiosi erano a convegno su scienza e fede e il governatore inaugurava una Casa della Giustizia davanti ai dignitari locali. Alla sera, gli uomini guardavano alla tv la squadra di calcio che vinceva in una competizione internazionale. Il tribunale è stato costruito sopra una fossa comune di Saddam, sopra i resti mortali delle vittime del regime. Sono stato anche a Um Qasr, estremità sud. Quattro anni fa era una accozzaglia di banchine arrugginite, case abbandonate ed edifici sventrati. Centinaia di cani randagi e poche persone. L’attuale boom di Um Qasr fa parte della rinascita di Bassora, Najaf e Kerbala, Mandali al confine iraniano e buona parte di Baghdad”. Gli iracheni verbalizzano tutto. Il loro silenzio è gravido di morte. “E’ quanto intendeva Kanan Makiya quando scrisse ‘Repubblica della paura’. Oggi programmi radiofonici, talk show e blog sono in crescita. ‘E’ la vendetta contro decenni di silenzio mortale’, dice lo scrittore Luay Abduilah. Un network di media indipendenti è emerso in Iraq, un centinaio di quotidiani e magazine e il primo sindacato veramente libero del medio oriente. Tutti gli iracheni, al di là delle differenze etniche, linguistiche e settarie, condividono l’identità nazionale, la ‘uruqa’, l’irachità. L’operazione Iraqi Freedom non ha imposto la democrazia, ha tolto i suoi impedimenti”. Parole come trasparenza, pluralismo e dissenso sono entrate nel discorso politico. “La democrazia sta avendo successo. I terroristi hanno ucciso insegnanti e studenti, ma le scuole sono aperte. Hanno ucciso medici e pazienti, ma gli ospedali funzionano. Hanno ucciso i funzionari pubblici, ma i ministri continuano a fare il loro lavoro. Hanno ucciso gli uomini d’affari, ma denaro continua a entrare. Hanno massacrato i volontari dell’esercito e della polizia, ma la lista di chi si offre non diminuisce. Hanno fatto saltare i pozzi, ma il petrolio continua a uscire. Hanno ucciso magistrati e avvocati, ma le corti lavorano in pieno. Hanno preso a fucilate i bus di pellegrini, ma i pellegrini continuano ad arrivare. Hanno ucciso i garzoni dei quotidiani, ma i giornali escono ogni giorno. La chiave del futuro dell’Iraq si trova negli Stati Uniti. Gli iracheni non fuggiranno di fronte al jihadismo. Sarà così anche per gli americani e i loro alleati?”.

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