La politica estera italiana ed europea in Medio Oriente dichiarazioni, proposte e reazioni
Testata: Corriere della Sera Data: 11 luglio 2007 Pagina: 15 Autore: Davide Frattini - Francesco Alberti - Maurizio Caprara - Giuseppe Sarcina Titolo: «D'Alema: no a nuove sanzioni all'Iran - Prodi incontra Abu Mazen: «Troppo odio a Gaza Non ci sono le condizioni per una forza di pace» - La lettera dei 10 a Blair Solana avverte i ministri «Non è diplomazia» - «In Europa soffia il vento di Monaco '38»»
Dal CORRIERE della SERA dell' 11 luglio 2007 una cronaca sulle dichiarazioni di Massimo D'Alema e Piero Fassino su Iran ed Hamas
ROMA — Nell'ultimo giorno della visita di Romano Prodi in Israele, due messaggi che non possono far saltare di gioia il governo di Ehud Olmert sono partiti da Massimo D'Alema e Piero Fassino, il ministro degli Esteri italiano e il segretario dei Democratici di sinistra. Non hanno espresso linee in marcato contrasto con quelle del presidente del Consiglio, ma in politica e in diplomazia accenti e sfumature contano. In questi casi gli approcci sono stati tali da risaltare. D'Alema è risultato contrario a ulteriori sanzioni contro l'Iran dopo quelle decise dall'Onu in risposta ai piani nucleari di Teheran, giudicati da molti una copertura per la costruzione di una bomba atomica. Fassino, ritenuto in Israele uno dei dirigenti più affidabili nella sinistra italiana, ha esortato lo Stato ebraico a tentare la via del negoziato con Hamas. Per avere idea del parere di Olmert sul primo argomento, basta quanto il premier affermava sul Corriere di ieri: «Gli iraniani hanno problemi di razionamento del carburante, vuol dire che le sanzioni economiche stanno funzionando sempre di più. Usiamole». Ecco le parole di D'Alema da Pretoria, Sudafrica: «Siamo preoccupati per la possibilità che vi siano ulteriori sanzioni, perché a mio avviso vi è il rischio che tra pochi anni ci troviamo nello scenario peggiore: o accettare la bomba atomica iraniana, o avere una guerra contro l'Iran. Consideriamo entrambe le ipotesi assolutamente inaccettabili». Delle misure già approvate al Palazzo di Vetro, il ministro è parso poco entusiasta: «Le abbiamo sostenute perché siamo nel Consiglio di sicurezza dell'Onu ». Ottimista D'Alema è sembrato sul rallentamento dell'arricchimento dell'uranio che sarebbe stato deciso in Iran: «Una buona notizia». Lei sostenne che per l'Afghanistan servirebbe una conferenza di pace con i talebani, lo ripeterebbe su Hamas in Medio Oriente? Di fronte a questa domanda della giornalista Gianna Fregonara, in un dibattito sul libro La sinistra e Israele alla Uil a Roma, Fassino ha risposto con una citazione di una lettera a Tony Blair firmata da dieci ministri degli Esteri europei, tra i quali D'Alema. Un testo secondo il quale «le condizioni troppo rigide che avevamo l'abitudine di imporre come preliminari alla ripresa del processo di pace non hanno fatto altro che aggravare la situazione».Secondo Fassino, «bisogna provare a sedersi a un tavolo con Hamas, anche senza la pregiudiziale del riconoscimento dello Stato di Israele». La sua tesi: «Se ci si siede a un tavolo, non è solo Israele che riconosce Hamas, ma viceversa ». Poi un'aggiunta: «È facile dirlo dall'Italia. Lo dico con tutta la prudenza e l'umiltà che ci vuole». Nel visitare il presidente Abu Mazen e il premier Salam Fayyad a Ramallah, ieri, Prodi ha riservato un segno di rispetto al governo palestinese in rotta con Hamas. E Abu Mazen, il 29 giugno a Ginevra, si era rivolto così contro Hamas all'Internazionale socialista, della quale i Ds sono soci: «Bisogna isolare il colpo di Stato che ha gettato nel caos il nostro territorio ».
Una cronaca della visita di Prodi in Cisgiordania:
RAMALLAH — «Non ritengo che oggi il problema sia maturo». Romano Prodi scuote il capo, neanche uno sguardo verso Abu Mazen, dritto come un fuso al suo fianco. «Non ci sono le condizioni per una forza multinazionale di pace a Gaza»: il Professore, dopo averlo detto in privato al presidente dell'Autorità nazionale palestinese, lo ripete anche durante la conferenza stampa congiunta alla Muqata, a Ramallah, tra mitra, cortili blindati e poster di Arafat. Troppo profondo il pozzo di odio nel quale è precipitata la crisi israelo- palestinese, troppo aggrovigliati i nodi dopo l'offensiva scagliata da Hamas e definita da Abu Mazen «un golpe sanguinoso ». Il presidente dell'Anp, nel tentativo di uscire da una situazione di oggettiva debolezza, aveva insistito con Prodi «sull'importanza di una forza per garantire libertà di circolazione agli aiuti e sicurezza alle popolazioni di Gaza». Netta la risposta del Professore: «Occorre un accordo tra tutte le parti in causa, ma non siamo ancora a questo punto». Parole che trovano conferma, un'ora dopo, in quelle che l'ex premier di Hamas, Ismail Haniyeh, affida al Tg3: «Non accettiamo nessuna forza internazionale sulla terra di Gaza e ogni presenza verrebbe considerata un'interferenza », tuona. E anche l'accusa rivolta da Abu Mazen ad Hamas di collaborare con Al Qaeda viene respinta: «Non abbiamo mai consentito infiltrazioni — aggiunge il portavoce del movimento, Sami Abu Zuhri — Abu Mazen tenta di metterci in cattiva luce». È nel terzo e ultimo giorno della sua visita in Medio Oriente che Prodi scopre quanto sia ancora profondo il mare dell'incomunicabilità. Lo tocca con mano a Betlemme, di fronte al lunghissimo muro costruito dagli israeliani per separare la città della Natività da Gerusalemme: «Questa durezza della separazione pesa nella testa e nel cuore», sospira tra sé, dopo aver visitato il campo profughi di Deheisheh. Eppure, ripete il Professore nel corso di questa giornata nei Territori, «bisogna mostrare al popolo palestinese che c'è una luce alla fine del tunnel». E il primo passo è quello «di sostenere gli sforzi di Abu Mazen e del governo Fayyad». La crisi tra Hamas e Al Fatah «non deve far venire meno la determinazione a promuovere un negoziato di pace basato sulla soluzione dei due Stati». Non sarà facile. Abu Mazen, dopo aver ringraziato l'Italia «per l'impegno nel processo di pace», fa capire che con Hamas il dialogo è al momento impossibile: «Fino a quando i golpisti non ripristineranno tutto come era prima, non ci sarà alcun confronto ». Con Israele c'è invece la volontà di «riprendere il negoziato». Una trattativa in salita, solo in parte agevolata dai gesti distensivi annunciati da Olmert (ma la liberazione dei 250 palestinesi è ancora da perfezionare), e che comunque dovrà fare i conti con le richieste di Abu Mazen: «Due Stati sicuri con Gerusalemme capitale, l'intervento della Ue per fermare la costruzione del muro da parte di Israele, la fine delle restrizioni e degli assassinii mirati, l'eliminazione dei posti di blocco, la liberazione dei prigionieri e il ripristino della situazione a prima del settembre 2000». Prodi assicura che da parte dell'Italia ci sarà «un fattivo contributo» per una crisi umanitaria a Gaza. Annuncia il varo di una linea di credito per le piccole e medie imprese pari a 25 milioni di euro e iniziative sanitarie, idriche e nella gestione dei rifiuti. Quindi, prima di tornare agli affanni romani, lancia un appello a Blair e al Quartetto (Usa, Russia, Ue e Onu): «Occorre un approccio più forte che irrobustisca l'Autorità palestinese».
Un'articolo sulle critiche di Javier Solana Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione europea alle lettera dei ministri degli Esteri dei paesi mediterranei dell'Unione europea:
ROMA — Javier Solana, spagnolo che ricopre quel ruolo di Alto rappresentante per la politica estera dell'Unione europea che il centro-sinistra italiano avrebbe voluto innalzare a quello di ministro degli Esteri, è ricorso a una delle critiche peggiori per i fautori più tenaci dell'integrazione europea. Ha paragonato la lettera mandata da dieci capi delle diplomazie europee a Tony Blair nella sua veste di inviato per il Medio Oriente del Quartetto Usa-Russia-Ue-Onu al documento degli otto tra capi di governo e di Stato dell'Ue, fra i quali Silvio Berlusconi, che nel 2003 appoggiò la linea degli Stati Uniti prima della guerra in Iraq e spaccò in due l'Europa. «Alcuni di voi si ricordano della "Lettera degli Otto" e delle sue conseguenze? Si sarebbero dovute trarre delle lezioni da quel momento », ha risposto Solana ai giornalisti che a Bruxelles gli domandavano un parere sul messaggio. In quella lettera dei dieci, firmata anche dall'italiano Massimo D'Alema, si sostiene che «la road map», la strada per la pace tra Israele e palestinesi delineata dal Quartetto, «è fallita» e che servirebbero «negoziati, senza preliminari, sullo statuto finale», comprese le questioni di Gerusalemme e dei rifugiati. Sulla presa di Gaza da parte di Hamas si afferma che «da questa sconfitta può nascere una speranza», che il rischio di guerra civile in Cisgiordania e le minacce della divisione della Palestina possono «dare uno scossone». Per «il bisogno di sicurezza di Israele», si ipotizza «una forza internazionale robusta» nei Territori. Le altre firme sono dei ministri di Bulgaria, Cipro, Francia, Grecia, Malta, Portogallo, Romania, Slovenia, Spagna. «Gli Stati dell'Ue non dovrebbero condurre i loro rapporti con le istituzioni, il Consiglio dei ministri degli Esteri Ue e gli altri ministri scrivendo lettere ai giornali. Credo ci siano strumenti migliori, molto più utili», è stato il rimprovero di Solana. Dal Sudafrica, D'Alema ha risposto: «Non è una posizione dell'Ue, non doveva essere concordata con alcuno. È una lettera di buon lavoro a Blair». Nel frattempo, l'Egitto ha bocciato l'idea di una forza internazionale a Gaza.
Un articolo sulle dichiarazioni di Avigdor Lieberman dopo la visita di Romano Prodi in Israele:
BRUXELLES — «Il vento di Chamberlain soffia sull'Europa». La Ue come il ministro inglese degli anni Trenta, tragicamente conciliante con Adolf Hitler (accordi di Monaco 1938). Così pensa e dichiara il ministro israeliano degli Affari strategici Avigdor Lieberman. Oggi come allora, basta sostituire la Germania nazista con l'Iran degli Ayatollah. «La mia sensazione quando ascolto gli europei a Bruxelles e così qui durante la visita di Romano Prodi — ha detto il ministro — è che si vuol far credere a Israele che occorre adeguarsi a un programma nucleare pacifico dell'Iran. È proprio surreale che gli europei vogliano farci carico di questo problema che non è soltanto nostro». Le parole di Lieberman seguono l'intervista al premier Ehud Olmert, pubblicata ieri dal Corriere della Sera («Nessun nucleare ad Ahmadinejad: vuole cancellarci»). In particolare agli israeliani non piacciono le ipotesi che indeboliscono il cardine della risoluzione Onu: il negoziato può riprendere solo se Teheran sospende l'arricchimento dell'uranio. A parte Francia e Gran Bretagna, praticamente tutti gli altri Paesi (Italia e Germania in testa) sarebbero troppo morbidi con l'Iran. Secondo Mohamed ElBaradei, direttore generale dell'Aiea(l'Agenzia internazionale per il controllo dell'energia atomica), il governo iraniano starebbe rallentando i programmi nucleari. È certo, comunque, che gli ayatollah hanno concesso agli ispettori Onu di esaminare una serie di «problemi irrisolti» (tracce di esplosivi, disegni sospetti ritrovati sul territorio iraniano). Ieri Olli Heinonen, vice direttore dell'Aiea per le «misure di salvaguardia», è arrivato a Teheran per concordare un programma di lavoro. Ma in cambio Ahmadinejad chiede di bloccare le sanzioni Onu. E tutto si complica ancora.
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