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L'Espresso Rassegna Stampa
06.07.2007 Non parli con Hamas ? Sei antislamico
e non vincerai la guerra contro Al Qaeda: l'opinione di un esperto di antiterrorismo molto politicamente corretto

Testata: L'Espresso
Data: 06 luglio 2007
Pagina: 0
Autore: Paolo Pontoniere
Titolo: «Come vincere al qaeda»
Trattare con Hamas, isolata solo per un pregiudizio antislamico. Riconoscere le colpe del passato coloniale. Fare di più per l'integrazione degli immigrati.

All'ESPRESSO hanno cercato e trovato un esperto di antiterrorismo molto politicamente corretto. Lo hanno intervistato su "Come vincere al qaeda" e ne sono venuti fuori questi edificanti pensieri.

Che importa se Hamas vuole distruggere Israele, se i terroristi di Londra volevano punire il modo di vivere delle donne occidentali e non la politica dell'impero britannico?

La via della "vittoria" , evidentemente, passa, secondo Brian Michael Jenkins,
per l'individuazione in Israele di un capro espiatorio e per un generale mea culpa dell'Occidente di fronte ai suoi nemici.

A noi sembra che si tratti molto più probabilmente della via per la catastrofe.

Ecco il testo:

Gli attacchi di Londra e Glasgow dimostrano che l'isolamento sociale delle minoranze etniche ha prodotto una immagine oppressiva dell'Occidente che rende antagoniste le masse giovanili emarginate delle metropoli occidentali e i discendenti degli immigrati. E mentre c'è ancora la possibilità di sventare gli attacchi, sarebbe velleitario illudersi di poter eliminare del tutto il pericolo di una loro riuscita. Le tecnologie per scoprire coloro che trasportano esplosivi ci sono già e vanno usate a pieno campo. Però il terrorismo islamico non si vince solo adottando l'opzione militare e rafforzando le misure di sicurezza. Non si può fare politica internazionale usando solo la cartina di tornasole della guerra al terrorismo, questo non è un mondo a una sola dimensione. Bisogna rompere il fronte dell'alienazione. È necessario stabilire un dialogo con i rappresentanti eletti delle popolazioni medio-orientali. E sebbene sia impossibile eliminare del tutto il terrorismo di ispirazione religiosa, vincere è possìbile. Occorre solo decidere di giocare a tutto campo e non limitarsi esclusivamente a demonizzarli. Così parla Brian Michael Jenkins, padre dell'antiterrorismo moderno, all'indomani dei fatti inglesi e della strage nello Yemen.

Impegnato da oltre 40 anni nel campo della sicurezza, Jenkins è la massima autorità mondiale in fatto di lotta al terrorismo e all'eversione armata. Comandante dei berretti verdi in Vietnam, ex direttore della Kroll Associates, consigliere speciale per la sicurezza del Vaticano e della chiesa inglese, Jenkins è assistente speciale del presidente della Rand Corporation. Membro della commissione presidenziale statunitense sulla Sicurezza aerea e consulente della commissione nazionale Usa sul Terrorismo, Jenkins è anche autore di vari libri. L'ultimo, 'Unconquerable Nation', in cui esplora tutti i temi salienti della lotta al terrorismo, è stato pubblicato lo scorso settembre per i tipi della Rand.

Che conclusioni si possono trarre dall'analisi dei recenti attacchi inglesi?

"Due conclusioni, una positiva e l'altra negativa".

Cominciamo con la negativa,

"Al Qaeda ormai non è più nemmeno una ideologia, è diventata una narrativa epica nella quale si riconoscono le masse giovanili diseredate, da Karachi alla Scozia. Una narrativa nella quale i giovani prendono le armi contro l'Occidente oppressivo nel nome di Allah, ma anche per riaffermare la loro dignità di esseri umani e per il diritto di esprimersi pienamente per quello che sono, senza temere d'essere criminalizzati o emarginati".

E la positiva?

"Siamo riusciti a compromettere seriamente la loro capacità di preparare attacchi mortali. Questa era gente che voleva uccidere, ma non aveva le capacità tecniche e l'intelligenza necessarie a preparare un attentato fatale. Questo avviene per due ragioni. La prima è che le reclute non stanno ricevendo più il training necessario e l'altra è che probabilmente abbiamo distrutto molti dei loro campi e prosciugato i loro finanziamenti. Inoltre ci troviamo di fronte a elementi marcatamente meno estremisti, per esempio non si sono immolati con le loro bombe come fanno in Iraq, in Afghanistan e adesso anche nello Yemen".

Ci saranno altri attentati?

"Non ne dubito. E purtroppo non si può escludere che qualche volta andranno anche a segno. In fondo i terroristi devono riuscire a colpire una sola volta per fare danni irreparabili e purtroppo le forze di polizia non possono prevenire tutti gli attacchi al 100 per cento. È una situazione simile a quella degli anni di piombo europei, quelli delle Brigate rosse e della Baader Meinhoff. Al contrario dei terroristi rossi, il cui discorso era ideologico, questi fanno appello al senso eroico dei giovani, prospettano una battaglia di carattere planetario. C'è del romanticismo nel loro messaggio e questo è un elemento estremamente pericoloso".

Come lo si neutralizza?

"Inserendo maggiormente le minoranze etniche, non trattando i figli degli emigrati come se fossero degli stranieri in casa propria. Gli europei hanno una minoranza islamica che è significativamente più numerosa di quella americana e non si può negare il fatto che gli europei, e soprattutto gli inglesi, stiano facendo un lavoro miserabile sul versante dell'integrazione. I cittadini di colore e quelli che hanno un accento in Europa diventano ombre che scivolano lungo i muri. Un po' perché temono di essere criminalizzati, cosa che accade molto spesso, e poi anche perché i bianchi non li vedono affatto fino a quando non ne hanno bisogno per far svolgere i lavori più umili".

Esistono delle specificità inglesi?

"Sì, a parte il trattamento ingiusto degli immigrati di seconda, terza e quarta generazione, c'è il fatto che la Gran Bretagna paga lo scotto del suo passato imperialistico. Non è un fatto che ha a che fare solo con la sua politica in Iraq o in Afghanistan. Ma fa rivivere le ingiustizie commesse in Medio Oriente, in Asia centrale, nella Penisola indiana, in Africa. Inoltre gli inglesi sono stati molto disattenti e come risultato della loro superficialità hanno formulato la lotta al terrorismo, volontariamente o involontariamente che sia non fa differenza, in una cornice fortemente anti-islamica. Non si può leggere infatti in nessun altra maniera la loro decisione di nominare Salman Rushdie cavaliere dell'impero. Come si fa a insignire con l'onoreficenza di Stato più alta una persona che ha ancora una fatwa nei suoi confronti? Non che voglia contestare il diritto alla libertà di parola di Salman Rushdie, ma la sua nomina appare purtroppo come uno schiaffo in faccia ai musulmani".

Lei pensa quindi che ci sia un collegamento tra atti per così dire anti-islamici e gli attacchi?

"Certo diventa difficile escluderlo, anche alla luce della posizione europea e statunitense nei confronti di Hamas nella striscia di Gaza".

Si spieghi, per favore.

"La decisione dei governi occidentali si qualifica solo in termini anti-islamici. Hamas non è certamente il male peggiore e poi sono stati eletti, sono una realtà, bisogna cercare il dialogo. Teniamo rapporti con tantissimi governi dalla reputazione dubbia e apertamente ostili nei confronti dell'Occidente, perché non Hamas? Che cosa ne guadagniamo se non di spingere molti giovani nelle braccia dell'estremismo armato?".

Gli attentati in Gran Bretagna sono falliti. Ma il loro effetto sull'opinione pubblica è stato comunque agghiacciante e le libertà individuali vengono ristrette ulteriormente. Cosa ci si deve aspettare su questo fronte?

"Siamo tutti spettatori impotenti sul treno della lotta al terrorismo. La lotta al terrorismo non sta solo limitando le nostre libertà personali, ma sta appiattendo anche la nostra politica estera. Tutto viene visto attraverso la lente della lotta al terrorismo. I problemi diventano bidimensionali, se non sei con noi sei contro di noi. La politica estera è fatta di decisioni sul piano dell'economia, degli scambi culturali, degli accordi commerciali, dei programmi di aiuto internazionale, delle inziative ambientali. Non si può giudicare la loro efficacia solo se funzionano dal punto di vista della lotta al terrorismo. Dobbiamo capire se affrontano i problemi reali con i quali ci dobbiamo confrontare e che sono quelli del lavoro, della difesa dei diritti umani e di quelli sindacali, della distribuzione equanime delle risorse naturali, della difesa dell'ambiente, della giustizia sociale e dell'abbattimento delle barriere commerciali e delle tariffe".

Si può vincere contro il terrorismo?

"Ma certo. Si vince da posizioni di forza e non intendo di forza militare. La risposta militare conta probabilmente solo per il 5 per cento di quello che dobbiamo fare. La forza ci viene dal radicarci nelle nostre tradizioni di libertà e democrazia, dal rispetto delle convenzioni internazionali, dal coinvolgimento dei cittadini e dal rispettare i diritti dei dissenzienti. Alla fine vinceremo, come già nel passato, ma lo faremo solo se sapremo camminare a testa alta. Non sono sicuro che questo possa accadere con i governi attuali".

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