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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
04.07.2007 Il terrorismo islamico e la sfida dell'integrazione
interviste a Roger Scruton e Ian Buruma

Testata: Corriere della Sera
Data: 04 luglio 2007
Pagina: 9
Autore: Viviana Mazza - Marco Del corona
Titolo: ««Occidente troppo autocritico Chi arriva deve rispettarci» - «Ora più pragmatici a sinistra verso il multiculturalismo»»
Due interviste sugli attentati di Londra. Una al filosofo conservatore Roger Scruton.E una al saggista "liberal" Ian Buruma, che, probabilmente per compiacere i fautori del politcamente corretto rassicura sull'inesistenza di "un flusso di jihadisti verso l'Europa" ( ci si chiede come faccia a saperlo) e taccia di "isterismo" la reazione di Bush all'11 settembre.

Ecco il testo dell'intervista a Scruton:

Lo Stato è il bersaglio. E lo Stato è la soluzione. Roger Scruton, filosofo e scrittore britannico (autore del Manifesto dei conservatori e di
L'Occidente e gli altri: la globalizzazione e la minaccia terroristica) paragona gli attacchi a Londra e Glasgow a quelli di Madrid nel 2004. «Anche questi hanno un obiettivo politico, quello di dare il benvenuto al governo Brown, di dichiaragli guerra. Immagino che gli attacchi continueranno: dietro ci sono molto denaro e prontezza ad uccidere ed essere uccisi». Per Scruton «la sola soluzione a questa minaccia è creare una lealtà nazionale che trascenda le differenze di fede e includa i musulmani come veri patrioti nello Stato nazionale ».
In fondo è quello che ha chiesto Brown: distinguere tra gli estremisti e la più vasta comunità islamica britannica. E conquistare «cuori e menti» dei musulmani.
«Brown fa bene a parlare così, perché se non si può fare distinzione tra gli estremisti che commettono queste atrocità e i musulmani comuni, e se i musulmani non possono essere portati a identificarsi come britannici, allora il Paese è in uno stato di guerra civile. Quanto alla battaglia "per i cuori e le menti", va ancora combattuta».
Le misure antiterrorismo di Blair sono state criticate da gruppi per la difesa dei diritti civili. Ma già prima degli attentati Brown aveva annunciato un inasprimento di queste leggi. Cosa ne pensa?
«Tutte le misure per la sicurezza comportano minacce alle libertà. Ma la principale minaccia alle libertà civili è il terrorista stesso. Abbiamo combattuto una guerra dal 1939 al 1945 per proteggere la nostra libertà. E abbiamo dovuto limitare le nostre libertà per farlo. E allora?»
Quali sono gli errori dell'Occidente, e in particolare della Gran Bretagna?
«Sono due: rifiutare di riconoscere i pericoli dell'immigrazione di massa; rimproverare se stessi anziché i criminali per i crimini che ne conseguono. Il problema non sarà mai risolto se rifiutiamo di biasimare chi va biasimato. Dobbiamo riconoscere le correnti di pensiero ed emotive nella psiche musulmana che rendono l'Islam così pericoloso per il mondo moderno proprio presentandosi come alternativa al mondo moderno».
La soluzione? La politica e le leggi sono sufficienti?
«Non bastano, perché abbiamo a che fare con una divisione culturale. Serve una cultura di integrazione, in cui i musulmani siano incoraggiati a "privatizzare" la fede e riconoscere la legge laica come oggetto primario della loro lealtà».
La ricetta è il multiculturalismo? O l'Occidente deve difendere i propri valori religiosi e culturali? Molti non ci credono più.
«Domanda difficile. Dovremmo lavorare per la sintesi tra Illuminismo e valori cristiani suggerita da Marcello Pera e Papa Benedetto nel loro libro (Senza radici, ndr). Anche se molti sono scettici, credo che la maggioranza voglia restare legata alla tradizione cristiana e continuare a identificare le nostre nazioni sulla base di questa eredità. Dovrebbe essere chiaro agli immigrati che se vengono a vivere da noi, devono rispettarla. L'alternativa "multiculturale", che significa in pratica la balcanizzazione dei nostri Stati, è quello che gli estremisti vogliono, in modo da distruggere la possibilità di unità nazionale».

E di quella a Buruma:

Londra, Glasgow. La tragedia evitata. E segni da interpretare: le trame sventate hanno tratti in comune con un passato recente ma portano dati nuovi. Ian Buruma, scrittore e accademico olandese trapiantato a New York, guarda al nuovo scenario con la cautela che lo ha guidato nel lavoro su multiculturalismo, immigrazione e integrazione, culminato con il libro- inchiesta «Assassinio a Amsterdam» (Einaudi) sul delitto del regista Theo Van Gogh.
C'è stato sollievo nello scoprire che i cervelli del piano di Londra fossero stranieri.
«Non lo trovo molto rassicurante. Certo, il grande choc degli attentati del 2005 fu scoprire che i terroristi fossero britannici, cresciuti in patria. Oggi muoversi verso Europa o Usa è ben più complicato di 10 anni fa, ci sono più limiti e controlli, eppure le persone arrestate ora sono straniere.
Ma non credo che esista un flusso di jihadisti verso l'Europa».
Lo polizia ha negato «legami certi» tra la recente nomina di Salman Rushdie a cavaliere e gli attentati. Che cosa ne pensa?
«Nemmeno io credo che esista un nesso diretto. È la Gran Bretagna a essere un bersaglio naturale. Perché rappresenta l'impero, per il ruolo che mantiene su scala globale, per i suoi legami con gli Usa, per l'adesione di Blair all'intervento in Iraq. Rushdie fatto cavaliere ha solo confermato questa percezione».
C'è una logica nella scelta degli obiettivi?
«Per quanto ho detto, Londra ha un significato simbolico. Glasgow è invece un soft target,
un bersaglio facile. Certi luoghi sono insieme simboli e obiettivi reali. La discoteca di Bali dove le bombe uccisero i turisti australiani rappresentava l'Occidente capitalista. Dove l'Occidente fa affari e vanno i suoi turisti c'è un bersaglio succoso. È improbabile che un jihadista colpisca Verona».
C'è un'evoluzione nel modo in cui la pubblica opinione reagisce alle minacce?
«Dipende soprattutto dal Paese. In Gran Bretagna c'è una certa compostezza data anche dagli attentati del passato, vedi l'Ira, in Spagna c'era l'esperienza dell'Eta: così abbiamo visto meno isterismo che negli Usa, dove prima dell'11 settembre gli attacchi terroristici erano pressoché sconosciuti».
Nota un diverso approccio all'emergenza fra Brown e Blair?
«Non ci sono grandi differenze. Se un giornale conservatore come il Daily Telegraph
scrive che il neopremier è stato apprezzabile, lo fa soprattutto per coerenza con il consolidato anti-blairismo della sua linea editoriale. Rispetto a Brown, Blair aveva avuto qualche concessione in più alla spettacolarità, ma la sostanza è la stessa».
I fatti di Londra e di Glasgow e la reazione delle autorità rivelano modelli standard di comportamento verso il fondamentalismo?
«Di costante, oggi, c'è la difficoltà di accesso a Europa e Usa. Inoltre l'atteggiamento verso le minoranze è ben più accorto di quanto si sarebbe immaginato. C'è grande cautela, da parte delle leadership, per prevenire o contenere ondate di odio, conflitti. Lo stesso Bush, a parte alcuni scivoloni, è stato molto attento a non scatenare una guerra politica interna verso l'Islam. In generale noto che anche nei settori di sinistra si fa strada, verso il multiculturalismo, un atteggiamento più pragmatico: si coglie l'importanza, per esempio, di imparare la lingua del Paese ospitante».

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