Intervista a Ismail Haniyeh poco incisiva, tralascia questioni decisive
Testata: La Stampa Data: 04 luglio 2007 Pagina: 19 Autore: Francesca Paci Titolo: «“Abu Mazen attento sei un burattino Usa”»
La STAMPA del 4 luglio 2007 pubblica un'intervista di Francesca Paci ad Ismail Hanyieh, capo del governo di Hamas a Gaza. E' certamente leggere le parole di un capo terrorista, a patto che si sia consapevoli dei suoi intenti propagandistici. Purtroppo, le domande di Francesca Paci, non aiutano il lettore ad avere il necessario senso critico. Un personaggio come Haniyeh è molto abile ad eludere la verità e a dire soltanto ciò che meglio serve ai suoi scopi. Ma ci sembra che da parte dell'intervistatrice sarebbero state possibili e necessarie domande più incisive. Per esempio sul rifiuto di riconoscere Israele, sul terrorismo, sui legami di Hamas con l'Iran.
Ecco il testo:
Il primo messaggio è per il presidente dell’Autorità nazionale palestinese Abu Mazen: «Attenzione all’abbraccio mortale con gli americani». Il secondo per i rapitori del reporter della Bbc, il potente clan dei Dormush: «Vogliamo una soluzione pacifica ma siamo pronti a usare tutta la forza necessaria». Il terzo per Romano Prodi che il 9 luglio arriverà in Medio Oriente: «Lo aspettiamo a Gaza se vorrà». Il premier di Hamas Ismail Hanyieh, doppio petto grigio e camicia bianca, apre a La Stampa le porte del quartier generale di Hamas per la prima intervista ufficiale dopo la guerra civile di Gaza. Dalla finestra del suo ufficio, al terzo piano di un edificio modesto, si sentono gli impiegati che protestano per gli stipendi congelati da mesi. Abu Mazen ha nominato un nuovo governo sostituendola con Salem Fayed. Come si sente? «Mi sento il primo ministro palestinese. Hamas ha la maggioranza parlamentare e io sono stato votato. Secondo il nostro sistema costituzionale resto legittimamente in carica fino alla formazione di un nuovo esecutivo regolarmente eletto. Le nostre leggi non prevedono governi d’emergenza, al massimo casi d’emergenza. Questo è un caso d’emergenza? Bene: sono qui, pronto a collaborare per trovare una soluzione». Intanto Hamas è chiuso a Gaza, tagliato fuori dal mondo. La prossima settimana Prodi incontrerà i leader politici israeliani e palestinesi a Gerusalemme e a Ramallah. Lei non è stato invitato. «Personalmente ho rapporti amichevoli con Prodi. L’ho chiamato due volte per congratularmi con lui: la prima quando è stato eletto, la seconda quando l’Italia ha vinto il mondiale di calcio. Contiamo molto sull’iniziativa italiana, manteniamo ottime relazioni con il vostro Paese». Prodi andrà a Ramallah? Breve risata. «Faccia pure, con comodo. Ma sappia che se vorrà è benvenuto a Gaza». Che rapporti ha con Abu Mazen? «Gira voce che l’avrei definito un debole. Non è vero. Siamo politicamente diversi, ma Hamas rispetta il sistema democratico e gli alleati. Dopo quanto è accaduto a Gaza ci aspettiamo che Abu Mazen reagisca in modo razionale e non emotivo, che non ascolti i cattivi consiglieri e capisca che l’abbraccio con l’amministrazione Usa è mortale. Le nostre priorità sono un governo di unità nazionale basato sugli accordi della Mecca e apparati di sicurezza a tutela di tutto il popolo palestinese. Inutile parlare di elezioni, non c’è una buona atmosfera per votare». Lei invita l’Anp al dialogo ma fino a due settimane Hamas e Fatah hanno combattuto una guerra civile violentissima. Cosa è cambiato? «A Gaza è tornato l’ordine. C’è qualche problema in Cisgiordania, ma non siamo noi a crearlo. È Fatah. La storia è piena di movimenti di resistenza fratelli che a un certo punto si scontrano per questioni interne. È accaduto anche in Libano. Certo, è negativo per l’immagine dei palestinesi. Ma crediamo nel dialogo». È vero che avete una Executive Force in sonno in Cisgiordania, pronta a combattere gli avversari come a Gaza? «Quello che accade in questi giorni in Cisgiordania è vergognoso. Gli uomini di Fatah stanno lavorando contro Hamas seminando terrore. Ma non troveranno niente contro di noi. Così facendo dimostrano solo quel che sono. Lunedì hanno arrestano 9 membri di Hamas regolarmente eletti e di sicuro li terranno in carcere per anni. Noi a Gaza non arrestiamo i loro rappresentanti, non occupiamo i loro uffici. Hamas ha vinto le elezioni e anzichè distruggere Fatah si occupa di risolvere i problemi di Gaza, la criminalità, la sicurezza, l’embargo». Sembra che la guerra civile di Gaza sia una leggenda. Chi erano quelli che solo ieri scovavano gli uomini di Fatah casa per casa? «A Gaza non c’è stata guerra civile né colpo di Stato. Abbiamo combattuto per la sicurezza, non per ragioni politiche. Dopo 15 mesi di anarchia, per la corruzione di Fatah, siamo arrivati alla resa dei conti. Le devastazioni sono state causate da alcuni comandanti di Fatah che abbandonando le postazioni hanno lasciato il campo alla furia cieca della gente. La calma oggi a Gaza dimostra che il conflitto è finito e i fratelli di Fatah sono liberi di uscire e lavorare, non perché Hamas gliene faccia dono ma perché è loro diritto. Guardate invece come ci trattano loro in Cisgiordania...». Abu Mazen ha chiesto l’intervento di una forza internazionale. «Sbaglia. Vuole risolvere i problemi palestinesi aprendo alle ingerenze esterne. Noi lavoriamo dall’interno». Ma Gaza dipende quasi interamente da Israele, la benzina, gli alimenti, l’acqua. «Sia chiaro: non cambieremo la nostra politica per fame. Che Israele ci riconosca e poi dialogheremo». Come pagherete gli stipendi? «Discriminando tra palestinesi di Cisgiordania e Gaza Abu Mazen porterà alla vera separazione tra noi. Hamas pagherà tutti senza guardare l’appartenza politica. Guardate com’è cambiata la sicurezza da quando governiamo: niente più check point, niente miliziani col volto coperto. Nei primi 15 giorni di giugno ci sono stati 15 omicidi tra clan, nelle ultime due settimane appena tre. La sicurezza è la base dello sviluppo economico, ma non ci sarà mai sicurezza né sviluppo sotto l’occupazione». Le strade sono sicure ma sembra che stia per esplodere una nuova guerra tra Hamas e il clan Dormush, quello che ha rapito il reporter della Bbc. «Non abbiamo problemi con la famiglia Dormush ma con le persone accusate di aver rapito Johnston. Conduciamo negoziati da 3 mesi, ufficialmente e sotto banco. Inutile: non mollano e ci tengono tutti in ostaggio. Ma noi abbiamo il diritto di arrestarli. Non si tratta di sequestri: facciamo il nostro lavoro e non smetteremo finchè non avremo finito». Siete pronti a usare la forza? «Preferiramo la via del dialogo ma tutte le strade sono aperte». Istaurerete a Gaza la sharia? «Quel che è accaduto a Gaza nelle settimane scorse è il risultato di un problema di sicurezza, non di politica. Non instaureremo alcun emirato islamico: siamo una parte importante dello Stato palestinese». Fine. Ismail Haniyeh si porta le mani alla bocca per dire che ha finito di parlare, le guardie del corpo, giovanissime, barbute e vestite di nero, lo marcano stretto. La strada ora è silenziosa.
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