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Si può trovare qui l'articolo al quale si riferiscono queste lettere e la critica di informazione corretta: Caro Direttore, a quanto pare il mio articolo su Finkelstein ha sollevato molte polemiche, anche personali (in fondo ancora dipendo dall'Elie Wiesel Center for Judaic Studies di Boston University, e quindi ci saranno senz'altro ripercussioni per me). Ma in ogni caso, viva la libertà, di pensiero innanzi tutto. Vi invio un articolo-risposta alle obiezioni che "informazionecorretta" ha inviato al mio articolo: Democrazie, olocausti, libertà: la questione di Israele e quello dello "Stato".Se tutti i difensori di Israele e della democrazia "liberale" sono davvero convinti che nella classifica dei poteri dispotici la democrazia stia qualche gradino più in alto del totalitarismo, forse gioveranno loro e alla verità alcune riflessioni non tanto teorico-politiche, o storico-politiche, quanto logiche, e di senso comune. Perché una democrazia dovrebbe dare maggiori garanzie rispetto ad un regime totalitario, riguardo al rispetto della vita umana, dei singoli e dei popoli? Nessuno nega ad esempio che gli Stati Uniti sono la maggior democrazia del mondo (anche se dal mio punto di vista libertario metterei la Svizzera o l'Irlanda su tale podio). Eppure la loro politica estera da una parte, e, per la maggioranza degli Stati dell'Unione, il loro diritto penale, hanno ampiamente mostrato, con invasioni di paesi terzi, con pesanti condizionamenti nelle politiche degli altri paesi, e, dal punto di vista interno, con il persistere della pena capitale nonostante il mondo intero, o meglio l'Occidente intero, alzino contro di essa alte e giuste grida, che la stessa maggior democrazia al mondo conosce diverse limitazioni per quel che riguarda i diritti fondamentali degli individui. E questo vien detto da chi ama l'America e vi ha vissuto a lungo, e preferirà sempre vivere a Boston piuttosto che a Teheran o a Pechino. E da chi, come storico, deve ammettere che in regimi totalitari sono avvenute le maggiori violazioni dei diritti degli individui e di quell'insieme di individui che è un popolo. Non era democratica la Prussia di Bismarck, che ha inaugurato il Novecento -il secolo breve di un lungo massacro- con lo sterminio degli Herero e dei Bororo in quella che è l'attuale Namibia. Non era democratico l'Impero ottomano, che ha iniziato la persecuzione degli Armeni, né lo erano, se non in apparenza, i Giovani Turchi che la hanno continuata. Certamente non era democratica la Yugoslavia di Tito e nella sua dissoluzione quanti stermini sono avvenuti. E' democratica la Russia di Putin? Certo il Nazismo non era un regime democratico. E tuttavia, è un'illusione che una forma politica, piuttosto che un'altra, garantisca di per sé i diritti dell'individuo, la vita e la libertà. Se concediamo al principio di maggioranza l'essere elemento non solo qualificante, ma determinante di una democrazia, nulla vieta che, sia in forme di democrazia diretta (ormai scomparse, ma potrebbero tornare) sia in forme di democrazia rappresentativa, la maggioranza dei delegati del popolo voti a favore dello sterminio di una minoranza, o a favore di una guerra di invasione (che porterà a stermini senza dubbio). E allora, che cosa importa davvero? La vita degli individui e la loro libertà, o il trionfo del democratico principio di maggioranza? Se il Knesset votasse democraticamente a favore dello sterminio di tutti i Palestinesi, non si guarderebbe con orrore a questo, o si direbbe invece, "This is Democracy, Baby", e si andrebbe innanzi? E se il Parlamento iraniano votasse a maggioranza, magari sicuro di interpretare il volere della maggioranza dei Persiani, una risoluzione per cui il giorno dopo Israele verrà annientato con tutti i missili atomici a disposizione? Quale suprema illusione che la democrazia raddrizzi il legno storto dell'uomo, la locuzione di Kant cara a Isaiah Berlin, d'origine cristiana, se il legno non trova da sé il modo di raddrizzarsi. E secondo una prospettiva liberale-classica, in cui mi riconosco, esso può farlo. E allora non sarebbe meglio, si dirà, un tiranno pacifico, rispetto ad una democrazia crudele? Solo la progressiva resezione del potere dello Stato potrà garantire contro la barbarie che ogni volta di nuovo esso ha compiuto contro l'individuo. E' vero, repetita iuvant, la maggior parte delle barbarie sono state compiute da totalitarismi, da regimi non-democratici. Ma la democrazia occidentale ha avuto il suo battesimo di sangue nei 120.000 morti della Vandea, e non era, nel 1794, appena nata, non era stato da poco decapitato il re, e la regina? Il regno era senza testa, il trono vuoto (questo il titolo di un bel libro di Paolo Viola, storico di valore prematuramente scomparso), ma il potere come la materia non tollera vuoti e il trono si riempì subito di quelle élite "democratiche" che votarono a favore, nel pieno rispetto del principio di maggioranza, del primo etnocidio della Storia. Certo, gli storici francesi pro-rivoluzione, i suoi macabri servi come Michelle Vovelle, obiettano che vi era stata pure la notte di San Bartolomeo e molti episodi simili nel Regime Antico, e che Luigi XIII si divertiva a torturare gli Ugonotti, ma se nella notte di San Bartolomeo fossero stati uccisi 120.000 uomini ben poco sarebbe rimasto di Parigi. Non è lo Stato totalitario, o quello democratico, una minaccia per la libertà e per l'individuo. E' lo Stato tout court. Solo i piccoli Stati offrono qualche garanzia. La mia memoria di storico non rammenta grandi massacri in Svizzera, in Danimarca, in Olanda. Neanche in Belgio, finché lo Stato piccolo, e ci volle poco, non volle diventare grande e si macchiò in Congo di crimini inenarrabili. Israele è un piccolo Stato. Vi abitano uomini operosi e allegri, ha università popolate forse dei maggiori cervelli del mondo. Solo facendo del tutto propria la natura del piccolo Stato, incrementando i commerci e l'economia, e liberandosi dei fardelli del "grande" Stato, l'esercito, l'apparato partitico, l'apparato di governo, l'insensata chimera dell'ingresso nella UE, potrà salvarsi. Ma come fa? E' stretto da nemici, e spesso i suoi nemici -come i Palestinesi- sono foraggiati dai suoi stessi amici. Israele non ha una costituzione scritta, ad esempio. Può essere un bene, visto che in Italia ne abbiamo una che sarebbe meglio non avere, tanto è obsoleta ormai, e mesta, e già lo era nel 1948. Ma un briciolo di carta costituzionale in cui vi fosse anche un solo articolo: "Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te" ,il principio fondante della libertà negativa, forse gli gioverebbe: un rigoroso principio di difesa dei diritti, ma soprattutto delle libertà individuali. E' un principio confuciano. Ma quante volte ritorna nei cardini teologici ebraici, si pensi solo a Hillel il Vecchio! La Torah non può essere davvero una buona costituzione: le sue interpretazioni storiche, e mi riferisco soprattutto al Talmud, sono piene di patenti contraddizioni, perché neppure il testo base ne è scevro. Soprattutto per quel che riguarda i diritti degli individui. Con questo non intendo sminuire il significato delle apologie di Israele che riempono le librerie, da Emanuele Ottolenghi a Magdi Allam. Semplicemente, intendo portare il discorso ad un livello di complessità maggiore. Radicalmente -ovvero coerentemente, direbbe Ayn Rand- ponendo in dubbio la forma-Stato, qual che sia, come garante dei diritti degli individui. Anche la moderna Democrazia, degno prodotto di Rousseau e dei suoi turbamenti mentali, è nata con un massacro. E in Vandea tale massacro è ancor vivo nella memoria. Certe cose non si dimenticano neppure dopo generazioni. Il futuro di Israele, la discussione su Israele, riguarda i sei milioni di individui che vi vivono sì, ma anche molto più, e lo Stato mediterraneo e mediorientale diverrà, nel suo continuo confrontarsi con guerra e violenza, l'epitome del destino della forma-Stato, e della forma-Stato democratica, stessa. In qualche modo è vera dunque, ma per questa ragione, l'asserzione così di frequente ripetuta, che dal destino di Israele dipende il destino del mondo. Speriamo solo che sia un destino più luminoso di quello che abbiamo visto dal 1948 ad ora, da Ben Gurion alla palude attuale. Sono stati 60 anni da brivido, e di brividi. Se una nuova democrazia e un nuovo Stato è questo... Buon lavoro e grazie dell'attenzione. Paolo Bernardini Da perfetto anarcocapitalista Paolo Bernardini insiste nel teorizzare la necessità di abolire lo stato, totalitario o democratico che sia. Ed applica lo schema anche allo stato d'Israele. In nome della libertà d'opinione ho pubblicato le sue considerazioni, le repliche che sono seguite e la sua controreplica. Ma il rispetto della libertà d'opinione non comporta in alcun modo la condivisione della tesi. Soprattutto quando queste tesi sono il frutto di schematismi ideologici astratti ed estremi. L'Opinione, giornale di cultura liberale è per lo stato minimo, non per l'abolizione dello stato. E' contro i regimi totalitari ed a favore delle democrazie liberali. Quanto ad Israele la “complessità maggiore” di Bernardini mi sembra una semlice sciocchezza. Senza lo stato d'Israele in Medio Oriente ci sarebbe un nuovo olocausto, cioè altri sei milioni di ebrei eliminati, magari con l'atomica del regime iraniano. Ed al suo posto non ci sarebbe il trionfo dell'anarcocapitalismo ma solo dell'anarchia dei fondamentalismi islamici. (a.diac.) |
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