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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Esther Singer Kreitman Debora
Debora                           Esther Singer Kreitman
Baldini Castaldi Dalai                 Euro 17,50

Un tipo fatto d’aria, che si occupa di affari inutili, gonfi soprattutto di
parole, mentre la vita con le sue pene gli scorre accanto fino a
sommergerlo. Un “luftmentsh”, insomma, come ce ne sono molti nella
letteratura yiddish, ma con una caratteristica in più. Anziché essere un
talmudista lunatico, appartiene a un genere particolare e antichissimo di
perdente: è una donna, in una cultura satura di maschilismo.
Debora, pubblicato nel 1936, è una testimonianza molto precoce della
condizione femminile nel mondo ebraico ortodosso dell’Europa orientale.
L’autrice del romanzo, Esther Singer Kreitman, fu, per così dire, “sorella
d’arte”.
Primogenita di Pinkas e Basheve Singer, nacque a Bilgoray, in Polonia, nel
1891. Dopo di lei vennero al mondo Israel Yehoshua e Isaac Bashevis, che
sarebbero divenuti due tra i maggiori scrittori yiddish del Novecento.
A quell’epoca, in una famiglia ebraica colta, ci si aspettava dai maschi
una brillante carriera intellettuale. Non è così per una ragazza, ed Esther
dovette combattere non poco per ritagliarsi un proprio spazio espressivo.
“Era un chasid in gonnella, ma soffriva d’isterismi, e aveva leggeri
attacchi di epilessia. Qualche volta sembrava posseduta da un “dibbuk”, uno
spirito maligno”: in queste parole del fratello Isaac Bashevis si riflette
una biografia in bilico tra fantasia estrema e impossibilità di vivere
all’altezza delle proprie ambizioni intellettuali.
Debora ha forti tratti autobiografici. La protagonista si sente schiacciata
in un angolo meschino della realtà, costretta com’è a occuparsi di faccende
domestiche e di fatue chiacchiere di serve, mentre per il suo sventato
fratello Mikhl si prepara una brillante carriera di rabbino. Con campiture
spesse, la Singer Kreitman delinea il disarmonico universo interiore di
Debora, fatto di sogni a occhi aperti, di entusiasmi e d’inevitabili,
repentine disillusioni. A far da sfondo è la vita famigliare, con il padre
rabbino, dottissimo ma inetto, e la madre, lucida e altera nel suo
aristocratico cinismo.
Villaggi sperduti nella campagna polacca, viaggi in carrozza tra boschi
popolati di demoni ammiccanti e avidi santoni chasidici  dominano la prima
parte del libro, intrisa di stupore adolescenziale.
Quando i suoi si trasferiscono a Varsavia, comincia anche per Debora una
nuova stagione, quella delle tentazioni e delle promesse della metropoli.
Sebbene la Singer Kreitman indulga qui al pathos romantico, sa comunque
trasmettere il senso di vitalità febbrile che scaturisce dalla Varsavia
degli anni Venti, centro mondiale del giudaismo, dove la vecchia cultura
rabbinica si mescola e si scontra con l’attivismo socialista.
Naturalmente Debora s’innamora, e altrettanto naturalmente sceglie l’uomo
sbagliato. Il luciferino Shimen, a un tempo studente di yeshivah e
agitatore rivoluzionario, tubercolotico e rubacuori, è forse il ritratto
maschile più suggestivo del libro, metafora di tutto quanto rimarrà
irraggiungibile per la protagonista. Dopo l’amore fallito, Debora sceglie
il matrimonio come via di fuga dalla famiglia, e parte, con un marito che
le è indifferente, per un’improbabile Anversa. Il ritmo del racconto si fa
sempre più onirico, segnato da impietose scorribande nella vita privata,
ben poco edificante, di ebrei bacchettoni.
Cosa sperare ancora? Nulla, se non fosse che, dal nulla a cui Esther/Debora
è costretta, nasce questo sommesso canto yiddish.

Giulio Busi
Il Sole 24 Ore

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