Barghouti non è certamente Mandela. Liberarlo sarebbe un rischio, ma anche, forse, un'opportunità l'analisi di Carlo Panella
Testata: Il Foglio Data: 29 giugno 2007 Pagina: 5 Autore: Carlo Panella Titolo: «Barghouti libero per aiutare Abu Mazen ? Il dilemma omerico di Israele»
Da pagina 2 dell'inserto del FOGLIO del 29 giugno 2007, un articolo di Carlo Panella:
Il dibattito in corso nella dirigenza israeliana sulla liberazione di Marwan Barghouti è fondamentale per comprendere i termini della questione israelo-palestinese. Barghouti non è un “Mandela palestinese”, come avventatamente qualcuno scrive, non solo per il suo passato, perché è personalmente responsabile dell’uccisione di cinque israeliani e soprattutto di quella sciagura – anche per la causa palestinese – che è stata l’Intifada delle stragi del 2001. Barghouti non è un Mandela perché oggi – con onestà politica – avverte che la “lotta armata” è sempre e comunque un’opzione aperta contro Israele. Pure alcuni ministri israeliani, come Gideon Ezra di Kadima, appoggiano la richiesta di liberarlo, che è anche sostenuta da molti commentatori progressisti. Pure, Ehud Olmert, a cui Abu Mazen e Hosni Mubarak hanno chiesto la sua liberazione, non ha detto subito di no e non ci sarebbe da stupirsi se decidesse per il sì. Prima, però, deve superare le obiezioni di chi, come Avi Dichter, ministro per la Sicurezza interna ed ex direttore del Mossad, giudica la mossa avventata, perché non ci sono dubbi che Barghouti, se la trattativa tra Abu Mazen e Israele non procedesse (ad esempio sui coloni, oppure, come sempre, su Gerusalemme est), non ci penserebbe due volte a scatenare i kamikaze delle sue Brigate dei martiri di al Aqsa contro i militari e civili israeliani. Ma Israele e Palestina vivono da sempre dentro una dimensione di guerra omerica e in quel quadro, Barghouti, gioca insieme la parte di Ettore e di Ulisse e lo stesso fanno i dirigenti israeliani. Popolarissimo leader terrorista, Barghouti infatti ha un’eccellente intelligenza politica, tanto che l’accordo di Riad per il governo di unità nazionale del febbraio scorso aveva un suo documento come base programmatica. Israele, dunque, può oggi decidere di averlo come interlocutore, liberandolo, e rischiando una sua ripresa terroristica, per una ragione sola: Barghouti riconosce lo stato di Israele e accetta la formazione di uno stato palestinese soltanto su una parte della Palestina storica ed è l’unico leader nazionalista che oggi gode di prestigio, mentre Abu Mazen e i suoi “tunisini”, come si è visto a Gaza, sono sempre più appesantiti dall’eredità di corruzione, inefficienza e verbalismo lasciata loro da Yasser Arafat. Fino a oggi, la prospettiva di una sua liberazione veniva esclusa perché nulla escludeva che il suo nazionalismo terrorista venisse attratto dal fondamentalismo kamikaze di Hamas. Ma la settimana di sangue di Gaza ha ormai chiuso ogni prospettiva di reciproca attrazione e spinge anzi verso una sistemazione della Cisgiordania dentro una rinnovata orbita giordana. E’ in questo contesto che un leader falco come Bibi Nethanyahu propone addiritura che Israele permetta alla “Brigata Badr”, una piccola armata palestinese inquadrata nell’esercito giordano, di penetrare in Cisgiordania. Per l’ennesima volta, come già Ben Gurion fece con Rajub Nashashibi negli anni Trenta e poi con re Abdullah I di Giordania (bisnonno dell’attuale re Abdullah II) negli anni Cinquanta, la leadership israeliana si dispone a correre dei rischi pur di rafforzare un interlocutore che voglia costruire la sua patria palestinese, più che tentare di distruggere quella degli ebrei. Una strada coraggiosa che avrebbe bisogno del supporto anche di un’Europa che invece si rifugia sulle nuvole e confonde una scelta realpolitiker nei confronti di un intelligente terrorista nazionalista per l’apertura di credito a un pacifista disarmato, come è stato, ma soltanto in vecchiaia quando fu infine liberato, l’ex terrorista Nelson Mandela.
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