Testata: Il Foglio Data: 28 giugno 2007 Pagina: 3 Autore: la redazione Titolo: «Il polpottismo di Al Qaeda, uccisi trecento docenti universitari - Nella capitale di Al Qaeda gli americani entrano da liberatori - Nelle mani dei qaidisti di Abu Sayyaf»
Dal FOGLIO del 28 giugno 2007 (a pagina 3) un articolo sulle università iracheni, e sul terrorismo qaedista che le colpisce:
Roma. In Iraq ci sono una ventina di università pubbliche, le quattro di Baghdad messe assieme sono frequentate da più di settantamila studenti. Durante il regime di Saddam Hussein, il Baath prendeva tutte le decisioni sulla vita universitaria. Agli studenti era proibito esprimersi, l’aramaico e il siriaco erano lingue bandite. Oggi la libertà sovrana, il prezzo pagato è la caccia ai cervelli scatenata da al Qaida. Le vittime sono grandi archeologi e dottori di teologia, esperti in pediatria e oncologia, oftalmologi e docenti di odontoiatria, cardiologia e oncologia. I terroristi stanno decimando il mondo accademico iracheno. Oltre ottanta gli studiosi assassinati nella sola università principale di Baghdad. Il 30 ottobre del 2006 il capo dell’Unione dei professori, Essam al Rawi, è stato assassinato all’uscita di casa. Najdat Al-Salihi, professore di Psicologia alla Mustansiriya University, è stato ritrovato con un proiettile nel cranio sul ciglio di una strada. Il corpo del matematico Abd al Samai Abd al Razaq era senza testa in una strada della capitale. Stessa fine per Majeed Hussein Ali, uno degli scienziati più eminenti nel campo della ricerca nucleare; lo storico e geografo Sabri Mustapha al Bayati; Sabah al Rubaie, decano della facoltà di Educazione dell’Università di Mustansiriya, e Kamal al Jarrah, filologo e direttore del ministero dell’Educazione. “L’uccisione degli intellettuali e degli scienziati iracheni ha uno scopo molto chiaro – dicono dall’Iraqi Committee for Sciences and Intellectuals – svuotare la terra di Babilonia, la terra di tutte le civiltà da ottomila anni…”. Nel gennaio scorso un attentatore suicida si è fatto saltare in aria fra gli studenti e i professori della Mustansiriya: sessanta morti. Tra gli studenti anche decine di torturati. Una settimana fa otto fra studenti e professori cristiani di Qaraqosh sono stati rapiti sulla strada tra Mosul e il loro villaggio. Il Brookings Institution di Washington parla del quaranta per cento degli accademici iracheni che ha già lasciato il paese. La polizia irachena fornisce la cifra vertiginosa di mille fra intellettuali e scrittori uccisi negli ultimi due anni. Ieri uno dei principali responsabili dell’Università di Baghdad è stato ucciso a colpi di arma da fuoco sotto gli occhi della figlia in un quartiere a maggioranza sunnita della capitale. Si chiamava Nihad Mohammed al Rawi, era a capo del dipartimento di ingegneria chimica dell’ateneo. Prima di lui al Qaida aveva “sistemato” uno dei più noti calligrafi del mondo islamico. Khalil al Zahawi era davanti alla sua abitazione nel quartiere Nuova Baghdad della capitale, quando è stato ucciso da una raffica di mitra. Al-Zahawi era il principale cultore dell’arte della scrittura in caratteri arabi classici in tutto l’Iraq. studiare con questo celebre calligrafo gli studenti arrivavano da tutto il medio oriente. Chiunque volesse essere considerato un esperto nell’arte calligrafica aveva bisogno della sua approvazione. Senza dimenticare la “guerra degli interpreti”. Vengono colpiti non solo gli esperti di aramaico, parlato al tempo di Gesù e bollato dai binladenisti come “lingua degli infedeli crociati”, ma anche semplici traduttori costretti a nascondere il volto durante le riprese della Cnn mentre seguono le truppe americane. I qaidisti hanno ucciso Abdul Munim Younis, capo del dipartimento traduzione dell’Università di Mosul. Centinaia di insegnanti e studenti sono stati assassinati, fra cui due maestre decapitate in classe. Nonostante lo stillicidio di insegnanti e docenti, la maggior parte delle scuole e delle università sono di nuovo aperte e funzionanti. Nel settembre del 2005, più di otto milioni e mezzo di iracheni andavano a scuola, un record nella storia della nazione. Dalle aule gli islamisti sono passati agli ospedali. Fra l’ottobre del 2003 e il maggio del 2006, 102 medici e oltre quattrocento fra infermiere e ausiliari sono stati assassinati impunemente. Secondo l’Iraqi Doctors Association, 65 chirurghi sono stati uccisi nel solo 2005. Ma, ancora una volta, al Qaida ha fallito. Nel 2006 tutti i seicento ospedali dell’Iraq erano nuovamente operativi.
Sempre da pagina 3 un articolo sulla liberazione della roccaforte qaedista di Baquba:
Baghdad. Gli americani entrano come liberatori a Baquba, città a nord di Baghdad eletta a capitale dell’autoproclamato Stato islamico dell’Iraq dai guerriglieri binladenisti. Le donne si avvicinano ai soldati con in mano le foto dei figli scomparsi, portati via dai guerriglieri, gli uomini piangono. La liberazione della città è il risultato più importante, finora, della gigantesca operazione Arrowhead Ripper, cominciata la settimana scorsa con l’impiego di almeno diecimila militari americani e di altrettante truppe irachene. Arrowhead Ripper ancora non si è fermata. Il colonnello Steve Townsend è stato chiaro: “L’offensiva non è chiusa. Ci aspettiamo nuovi attacchi”. I combattimenti sono violenti: almeno 150 guerriglieri raccolti sotto le insegne dello Stato islamico – la sigla salafita che è la proiezione politica di al Qaida in Iraq, tutti i suoi appartenenti hanno simbolicamente giurato lealtà a Osama bin Laden – sono morti, e almeno trecento sono stati catturati. Baquba, nei cui paraggi è stato ucciso un anno fa il feroce Abu Mussab al Zarqawi, è il centro politico, ideologico e militare di Diyala, la regione dove gli uomini della rete di Bin Laden hanno dichiarato una guerra mortale non soltanto contro gli americani e contro le truppe del governo, ma anche contro gli stessi sceicchi iracheni che vogliono fermare le infiltrazioni di stragisti stranieri importati da al Qaida per destabilizzare il paese. Quando i soldati e i mezzi americani sono entrati in città si sono imbattuti nella proiezione realistica di come diventerebbero grandi parti del paese se la loro presenza cessasse. Hanno trovato interi quartieri costretti a vivere sotto la sharia nella sua applicazione più buia e punitiva. Trecentomila persone costrette sotto una legge marziale in versione islamica. Senza alcun preavviso, ma con la sola giustificazione dell’immoralità, sono stati fatti chiudere barbieri, caffetterie, negozi di musica e di abbigliamento. Una feroce campagna di pulizia religiosa ha eliminato gli sciiti. Anche chi era sorpreso soltanto a fumare era imprigionato e picchiato. Tutto quanto avesse a che fare con l’occidente e non rispettasse i rigidi criteri del Corano, nel cuore di un paese tra i più avanzati del mondo arabo come è l’Iraq, era bandito. Gli uomini, come nell’Afghanistan dei talebani o in alcune aree del Pakistan di oggi, erano costretti a non tagliare la barba, le donne a vestire completamente velate di nero, le radio a trasmettere soltanto versetti del libro sacro. Per assistere fin da subito un ordine pubblico fondato sull’interpretazione fondamentalista dell’islam era stato istituito anche un tribunale religioso con annessa una stanza per le torture – dove i militari hanno rinvenuto coltelli, seghe e vestiti insanguinati – e una prigione di sei celle ricavata mettendo porte blindate e barre di metallo alle finestre di una casa. E poiché secondo il corano tutto è islam, anche la vita pratica, lo Stato islamico in Iraq provvedeva anche al resto, dalle provviste di cibo – severamente razionate – all’assitenza sanitaria, dalla gestione dei documenti burocratici alle forniture di armi. A Baquba accanto a punti per la distribuzione dei generi alimentari sono stati scoperte tre “punti di primo soccorso”con tanto di defibrillatori ed equipaggiamento medico- chirugico. A poche decine di metri di distanza sono stati ritrovati un deposito di kalashnikov e un “tribunale civile” con gli archivi dei certificati di matrimonio, delle compravendite e anche l’elenco aggiornato degli attentatori suicidi del quartiere.
Da pagina 2, un articolo sul rapimento di padre Giancarlo Bossi:
Roma. Un sms inviato dai rapitori di padre Giancarlo Bossi, che garantiscono sul fatto che sia ancora vivo, sarebbe l’unico, esile collegamento con la banda che si è portata via il missionario di Abbiategrasso veterano delle Filippine. Il 10 giugno era stato preso in ostaggio dopo aver officiato una messa nella zona di Payao, sull’isola di Mindanao, a maggioranza musulmana. Dopo i primi giorni di scoramento sembrava che dovesse venire liberato, con le buone o con le cattive, da un momento all’altro. L’esercito filippino ha collaborato fin dall’inizio con i guerriglieri del Fronte islamico Moro di liberazione nazionale per stringere il cerchio attorno ai sequestratori. Il Milf è il più forte gruppo indipendentista di Mindanao, che da anni sta trattando con il governo una via di uscita negoziale alla crisi della parte meridionale dell’arcipelago dove imperversano anche i terroristi di Abu Sayyaf. Invece, a oltre due settimane dal sequestro, i passi avanti sono scarsi. In sole due settimane e in una situazione forse più pericolosa e complessa è stato tirato fuori dall’inferno afghano, il giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo rapito dai tagliagole talebani. Il probabile sms inviato dai sequestratori a un mediatore prova poco, ma nel testo si chiedono delle medicine da somministrare all’ostaggio. In effetti il fratello Marcello ha sottolineato che padre Bossi, cinquantasette anni, soffre di ipertensione cardiaca. Il generale Ben Dolorfino, che coordina le ricerche, ha dichiarato di avere consegnato dei cellulari a tre mediatori, che avevano già aiutato le autorità a risolvere casi simili in passato. I tre sono partiti verso l’interno dell’isola e dovrebbero venire contattati dai rapitori. Il problema è che diventa sempre più necessaria una vera “prova in vita” dell’ostaggio, che potrebbe essere una telefonata di padre Bossi a uno di suoi confratelli del Pime, il Pontificio istituto missioni estere di cui fa parte. I media italiani, a parte poche eccezioni, si disinteressano del missionario, dell’identità dei rapitori e delle loro reali motivazioni. I militari filippini e Mohaquer Iqbal, capo negoziatore del Milf con Manila, sono convinti che il mandante del sequestro sia Akidin Abdulsalam. Noto con il nome di battaglia di Aka (compagno) Kiddie è un rinnegato del Fronte, che si sarebbe avvicinato ad Abu Sayyaf. Il diretto interessato nega ogni coinvolgimento, ma il fratello Waning Abusalam sarebbe stato riconosciuto da testimoni a capo del commando che ha sequestrato padre Bossi. L’obiettivo dei rapitori sarebbe stato di vendere padre Bossi proprio ad Abu Sayyaf, trasferendolo via mare sull’isola di Jolo, base dei terroristi. Proprio in questo periodo è stato scelto il nuovo capo della piccola al Qaida delle Filippine, Yasser Igasan. Tra i fondatori del gruppo, studiò il Corano in Siria e Libia e oggi rimpiazza, più come leader spirituale, i comandanti precedenti uccisi in combattimento. La marina filippina, grazie all’immediato blocco navale e alla sorveglianza di aerei spia americani, ha evitato il trasferimento via mare dell’ostaggio italiano.
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