Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Shimon Peres disposto a concedere la grazia al terrorista Marwan Barghouti la cronaca di Davide Frattini
Testata: Corriere della Sera Data: 28 giugno 2007 Pagina: 1 Autore: Davide Frattini Titolo: «Barghouti libero, Israele ci pensa Peres pronto a firmare la grazia»
Dal CORRIERE della SERA del 28 giugno 2007:
RAMALLAH — Il prigioniero della cella 53 si sveglia ogni mattina alle sei. Esce nel cortile-palestra e si allena per un'ora e mezza. Dalle 7.30 alle 10.30, sfoglia i quotidiani israeliani, Maariv, Yedioth Ahronoth e Haaretz. Torna fuori e discute con gli altri carcerati palestinesi. Il prigioniero della cella 53 è a dieta, dalla mensa prende solo verdure e pane. Studia il francese con un detenuto e legge tanti libri, l'ultimo è Prigionieri in Libano dei giornalisti israeliani Yoav Limor a Ofer Shelah, inchiesta dedicata alla guerra dell'estate scorsa che lui ha seguito su Al Jazeera. Il prigioniero della cella 53 ha avuto un ospite fino a tre mesi fa, il figlio Qassam («l'abbiamo chiamato così prima che i razzi di Hamas esistessero»). Gli ha insegnato l'ebraico («devi conoscere la lingua degli avversari») e ha re-imparato a essere padre: non si vedevano da cinque anni, quando è stato arrestato, Qassam era ancora un ragazzino. Adesso il figlio è tornato a Ramallah, libero dopo trentaquattro mesi. È tornato ed è andato a visitare la tomba di Yasser Arafat: «Il Fatah ha bisogno di un leader simbolo, deve avere qualcuno che tenga tutti i pezzi insieme», dice nel salotto di casa. Marwan Barghouti è riuscito a tenere qualche pezzo insieme. Anche dalla cella 53, carcere di Hadarim, sud d'Israele. È lui che un anno fa ha elaborato il «documento dei prigionieri», un accordo tra il suo Fatah e Hamas, il testo che ha fatto da base all'intesa della Mecca di febbraio e ha portato alla nascita del governo di unità nazionale palestinese. Il piano è andato in frantumi con la vittoria militare dei fondamentalisti a Gaza. Un'operazione che Barghouti ha definito «un colpo di Stato, contrario ai valori della democrazia, la stessa democrazia che ha portato Hamas al potere». Prima era rimasto zitto. Zitto quando la battaglia infuriava per le strade della Striscia, zitto quando il presidente Abu Mazen ha deposto il premier Ismail Haniyeh e insediato un nuovo primo ministro. Gli analisti fanno notare che quella settimana di silenzio ha espresso la sue critiche contro il raìs della Mukata e la vecchia generazione nel Fatah. Barghouti sa di essere il leader palestinese più popolare, lo chiamano Napoleone, per la piccola statura e le grandi ambizioni. Un sondaggio condotto dal centro studi di Khalil Shikaki gli promette una vittoria con il 59% dei voti su Haniyeh, se le elezioni presidenziali dovessero svolgersi adesso. A casa sua, in Cisgiordania, dove saluta da ogni muro, le braccia alzate chiuse dai ceppi. Ma anche a Gaza, nel regno degli integralisti: 55% contro il 41 dell'avversario. Condannato nel maggio 2004 a cinque ergastoli più quarant'anni con l'accusa di essere coinvolto negli omicidi di cinque israeliani, il suo nome viene fuori ogni volta che gli israeliani e i palestinesi stanno trattando il rilascio di prigionieri. Tre giorni fa, Abu Mazen avrebbe approfittato del vertice di Sharm El Sheikh per chiedere a Ehud Olmert di inserirlo nella lista di 250 detenuti che il primo ministro israeliano ha promesso di scarcerare. Anche nel governo israeliano, qualche ministro è sicuro che Barghouti libero permetterebbe al Fatah di rafforzarsi contro gli integralisti. «Ha molto più sostegno di Abu Mazen, può prenderselo sulle spalle e aiutarlo», spiega Gideon Ezra, ministro dell'Ambiente per Kadima. Di parere opposto il compagno di partito Avi Dichter. Il ministro per la Sicurezza interna non condivide neppure l'opinione dei servizi segreti, che ha guidato fino a due anni fa: lo Shin Bet sembra adesso favorevole al rilascio. «Dichter è contrario perché non vuole ammettere di aver sbagliato, quando nel 2002 ha dato l'ordine di arrestarlo», commenta una fonte nel governo. Shimon Peres, che si insedia come presidente il 15 di luglio, ha già detto di essere pronto a firmare l'eventuale domanda di grazia. E la stessa decisione avevano annunciato gli altri candidati alla poltrona di capo dello Stato, la laburista Colette Avital e Reuven Rivlin del Likud. Barghouti, 48 anni compiuti il 6 giugno, ha fatto sapere dal carcere di considerare «questo periodo come il migliore per raggiungere un accordo di pace, è un'opportunità d'oro». Parole che smuovono Yossi Beilin, il negoziatore israeliano di Oslo. Il leader di Meretz e dell'opposizione di sinistra è passato dall'amore alla disillusione, per finire con il rispetto. «Nel maggio del 2000 — ha raccontato al New York Times — Barghouti mi disse che se non ci fosse stato un accordo entro settembre, avrebbe dato il via libera alla violenza. Non la chiamò ancora intifada. Non era più quello che conoscevo, era diventato cinico e minaccioso». Oggi anche Beilin chiede che venga rilasciato: «La sua responsabilità nella seconda intifada è più grande di quella di chiunque altro. Ma stiamo parlando del più pragmatico e influente politico palestinese». Il quotidiano liberal Haaretz paragona in un editoriale il suo percorso a quello di altri leader nazionali, anche israeliani, che «dopo la violenza e la prigione, hanno trascinato il loro popolo all'indipendenza pacificamente. Nelson Mandela è uno di questi esempi. I capi dei movimenti clandestini sionisti, prima della nascita dello Stato ebraico, ne sono un altro. Adesso è arrivato il turno di Barghouti».
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