|
|
||
In seguito alla nostra segnalazione di un servizio del TG 3 (leggila qui), abbiamo ricevuto questa lettera da parte del presidente dell'Associazione che organizza il progetto Fiori di pace: Vorrei però abusare della vostra attenzione per far presente che il nostro progetto ha un taglio psicoterapeutico, e non politico: i ragazzi coinvolti vivono in una situazione di trauma psicologico legato all'essere immersi dalla loro nascita in un conflitto violento. Lungi da noi fare le classifiche delle sofferenze: il nostro obiettivo è quello di aiutare ciascuno di loro a superare il loro trauma, ed in questo è fondamentale il ruolo dello psicoterapeuta che segue costantemente il lavoro dei gruppi, aiutando i ragazzi ad aprirsi, a raccontarsi, a riconoscersi come persone. Ritengo che sia secondario, negli obiettivi del nostro progetto, far "apprendere" ai ragazzi le cause delle loro sofferenze: rischieremmo probabilmente che ciascuno identifichi le responsabilità e le colpe nel comportamento dell'altro, o peggio che si attivino sensi di colpa inutili e non sopportabili da parte di ragazzi comunque fragili (da ambo le parti, perchè i morti sono da ambo le parti ed ognuno dei "nostri" ragazzi ha sperimentato direttamente o indirettamente la sofferenza dei "suoi" morti). E poi i "nostri" ragazzi sono incredibilmente maturi, e conoscono bene le cause della loro situazione, e si confrontano, a volte in modo acceso, sulle responsabilità degli uni e degli altri: la cosa importante, però, è che imparano a rispettarsi e a comprendere un po' anche il vissuto dell'altro. Poi è evidente che ciascuno porta il proprio percorso, e Ghadeer racconta con insistenza (nel video, a noi a Verona in realtà non ha detto nulla in proposito) del suo vissuto: il nonno, la casa, il fratello... ed i militari che entrano nel campo ogni giorno. Quello che ha sperimentato è il rapporto con un esercito di "occupazione": una sua compagna ha "scoperto" solo in Italia che "anche gli israeliani sanno sorridere", e i ragazzi di Jenin hanno scoperto solo qui che i giovani israeliani hanno il servizio di leva obbligatorio, e non scelgono deliberatamente, per loro "cattiveria", di recarsi in Cisgiordania. E certo tutti ricorderanno questa esperienza quando si troveranno ad un check point, magari in ruoli opposti... Sono piccole cose, piccoli segnali di un progetto controcorrente, di una "speranza che nasce da una disperazione" (perchè sempre più sono i segni cupi che vengono da questa terra..), ma noi ingenuamente ci ostiniamo a credere che attraverso l'incontro, il dialogo, lo scoprire che "io come persona" sono importante per altre persone al di là del muro e del mediterraneo, che tutto questo possa portare un po' di speranza di pace e di convivenza fra due popoli che sentiamo di amare allo stesso modo (a prescindere dalle responsabilità dei loro capi). E poi crediamo che sia ovvio che ragazzi che hanno vissuto per due settimane un'esperienza straordinaria di amicizia sperino nell'abbattimento di ogni muro (materiale o metaforico) che divide i loro popoli e che impedisce loro di potersi ritrovare a casa, con le loro famiglie... e noi speriamo che anche attraverso percorsi di questo tipo sia possibile una convivenza nella sicurezza per tutti nel medioriente. Cordiali saluti Marco Menin |
Condividi sui social network: |
|
Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui |