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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
27.06.2007 L'eredità di Oriana Fallaci
secondo la giornalista americana Christiane Amanpour

Testata: Corriere della Sera
Data: 27 giugno 2007
Pagina: 41
Autore: ALESSANDRA FARKAS
Titolo: «L'eredità di Oriana»
Dal CORRIERE della SERA del 27 giugno 2007:



NEW YORK — «Quando la incontrai ero incinta e lei non faceva che ripetermi che avevo fatto una cosa straordinaria a diventare mamma e che per questo mi ammirava. Dopo l'arrivo al mondo di mio figlio Darius John, lei gli spedì un bel regalo e incominciò a impartirmi lezioni su come essere una buona madre, perché secondo lei ciò era altrettanto importante che essere una brava giornalista. Credo che fosse molto invidiosa della mia famiglia e abbia rimpianto enormemente il non aver mai avuto figli».
Parla Christiane Amanpour, la giornalista anglo- iraniana che venerdì 29 giugno parteciperà a una giornata di studio in onore di Oriana Fallaci, presso la New York Public Library. Uno dei due appuntamenti della manifestazione «Oriana Fallaci e l'America», promossa dal Ministero per i Beni Culturali in collaborazione con Rcs MediaGroup. L'altro è una mostra accompagnata dal documentario «Oriana e l'America» all'Istituto Italiano di Cultura di New York, che sarà inaugurata giovedì 28 giugno dal ministro Francesco Rutelli.
«Non è per mancanza di opportunità che non ha mai avuto figli», incalza la 49enne inviata di guerra della CNN, la giornalista più celebre e pagata del mondo, che la scorsa settimana è stata insignita del titolo di Commendatrice dell'Ordine dell'Impero Britannico dalla regina Elisabetta.
«Oriana da giovane era bellissima e sexy. Probabilmente aveva un sacco di ammiratori ma si è innamorata profondamente una sola volta nella vita. Da allora la sua strada è andata in un'altra direzione e ha finito per sposare la professione. Così ciò che desiderava di più non è mai successo».
Sarebbe stata una brava madre? «Assolutamente.
Era una persona calda, affettuosa e piena di amore da dare. Me ne sono resa conto appena riuscii a rompere il ghiaccio, penetrando la barriera che si era innalzata attorno. Quando ciò è successo mi ha chiesto di restare amica sua per sempre. Ed è esattamente ciò che ho fatto». Dietro quella che il Los Angeles Times definì «l'unico giornalista a cui nessun leader mondiale può dire di no», si nascondeva, prosegue, «una donna profondamente sola».
Il primo incontro tra la Amanpour e la Fallaci, che l'ha citata in La Rabbia e l'Orgoglio, risale al 2000, a New York. «Oriana viveva già da reclusa nel grande brownstone dell'Upper East Side, dove vedeva e frequentava pochissima gente», racconta la Amanpour, che si è sposata a Castello Odescalchi vicino a Bracciano nel 1998 con l'ex portavoce del Dipartimento di Stato, James Rubin. «Fui io a cercarla, perché sentivo il bisogno quasi fisico di conoscere quel mito che occupa un posto unico nel Pantheon del giornalismo mondiale. È stata lei la mia musa: la prima a spianare la strada a tutte noi corrispondenti donne di guerra».
Dopo molti tentativi andati a vuoto, la Fallaci, una giornalista infastidita e insieme ammaliata dai potenti, acconsentì ad incontrare la famosissima collega che anagraficamente avrebbe potuto essere sua figlia e che aveva occupato lo spazio lasciato libero da lei, ormai sul viale del tramonto. «Fu un rendez-vous come tra spie della Cia. Lei era già molto malata anche se si vedeva che combatteva il male con la stessa forza sovrumana che aveva riversato nel suo lavoro».
Da allora tra le due donne nacque un'amicizia durata fino alla morte della Fallaci, il 15 settembre 2006. Ciò non significa che tra di loro ci fosse una totale convergenza di vedute. «Io l'ho cercata molto tempo dopo la fine della sua carriera. Poi è venuto l'11 settembre che la spinse a tornare aggressivamente alla ribalta, dopo anni di silenzio, con quei suoi libri così controversi, arrabbiati e induriti».
Avrebbe fatto ciò che ha fatto lei? «Certo che no, ma è innegabile che moltissima gente si sia sentita sollevata che qualcuno abbia avuto il coraggio di parlare a nome loro. Rischiando intellettualmente oltre che fisicamente per dire ciò che pensava ». In nome di questa «coerenza», la giornalista è disposta a perdonare gli eccessi della Fallaci, definita «razzista», «fascista» e «islamofobica» da moltissimi intellettuali in entrambe le sponde dell'Atlantico.
«Chi l'ha definita neocon e fascista esagera», la difende la Amanpour. «Oriana provocava sentimenti estremi nella gente perché lei stessa era estrema in tutto. Non è mai stata politicamente corretta perché era convinta che il suo ruolo fosse quello di rimestare nel torbido, scatenando dibattiti. Aveva uno stile abrasivo e provocatorio ma è stata vera con se stessa fino alla morte». E se l'impatto della sua crociata anti-islamica «è stato maggiore in Europa», la Fallaci-giornalista dell'età d'oro ha avuto un'influenza altrettanto profonda in Usa. «La generazione di reporter prima della mia l'ha ammirata e imitata. Interviste con leader quali Henry Kissinger sono passate alla storia». Ma di tutte le interviste dell'amica, la sua preferita resta «Quella in cui lo scià Reza Pahlavi si scaglia contro il gentil sesso, "razza inferiore, che non è stata capace neppure di dare al mondo un solo grande chef-donna"».
«Fui profondamente colpita anche dall'intervista all'ayatollah Khomeini, quando si tolse il chador in segno di sfida », puntualizza la giornalista, la cui famiglia fu tra le vittime della rivoluzione iraniana, «Mi sembrò un capolavoro di coerenza, aggressività e coraggio ».
Ma l'aggressività può essere un bene? «Certo», replica la reporter, criticata, in passato, per aver trasformato la CNN in una tribuna d'accusa contro l'Occidente, inerte di fronte alle pulizie etniche in Bosnia. «Oggi la maggior parte dei giornalisti sono deferenti. Lei non lo è mai stata perché convinta che non fosse utile leccare i piedi dell'intervistato, per carpirne davvero l'essenza».
Del suo rapporto di odio-amore con l'Italia non parlavano mai. «Sotto sotto adorava il Bel Paese e si sentiva italiana dalla testa ai piedi. Nonostante avesse vissuto in America oltre 20 anni, parlava l'inglese con un accento fortissimo e il suo linguaggio era tutto cosparso di parole italiane. Sono convinta che fosse devota al suo Paese e alla sua gente».
Dopo la morte, molti hanno indicato la Amanpour come la sua erede. «A dire il vero era la stessa Oriana a considerarmi tale. Io non mi azzarderei mai ad addossarmi tale onore, ma sarei orgogliosissima se qualcuno lo facesse. Perché lei era brillante, coraggiosa, infaticabile e unica.
Oggi la gente pensa che il nostro mestiere sia facile e non è più disposta a mettersi in prima linea come ha fatto lei. Cambiando il mondo. Purtroppo non ne nascono più di reporter di razza come lei».

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