Gerusalemme. Oggi Tony Blair lascia Downing Street. Saluta il suo ufficio da primo ministro britannico per andare a mettere ordine nelle cancellerie del levante. Ieri, al consolato americano di Gerusalemme est, i rappresentanti del Quartetto (Usa, Ue, Onu e Russia) si sono ritrovati per discutere la nomina di Blair a inviato per il medio oriente. Avrebbero raggiunto un accordo di massima e l’annuncio potrebbe avvenire oggi. Si tratta “di un posto che in pochi accetterebbero – ha detto un editorialista del Sunday Herald alla Cnn – uno dei ruoli diplomatici più duri del pianeta”. Il suo predecessore, James Wolfensohn, ex presidente della Banca Mondiale, si è dimesso più di un anno fa con pochi risultati e molta frustrazione. La poltrona è vacante da allora, questo la dice lunga sulla difficoltà del compito. Ma al premier uscente la carica piace. “Credo che chiunque sia interessato a una maggiore pace e stabilità nel mondo sappia che la questione di una soluzione duratura al conflitto israelo-palestinese è essenziale – ha detto ieri Blair – e io farò tutto il possibile per contribuire a questa soluzione”. All’interno del Quartetto c’è però chi frena: la relazione tra Mosca e Londra risente dell’affare Litvinenko. Lo scetticismo della Russia ha fatto slittare l’annuncio della nomina. Le obiezioni arrivano inaspettate anche da Bruxelles, o meglio, da Javier Solana, alto rappresentante per la Politica estera europea, che vede in Blair un ostacolo per le proprie inefficaci mediazioni nella regione. Israele appoggia la nomina del britannico. Fatah e il rais palestinese Abu Mazen approvano. Hamas, invece, ha fatto sapere, tramite Sami Abu Zuhri, un suo esponente nella Striscia di Gaza controllata dal movimento islamista, che la nomina “rischia di peggiorare ancora di più le cose”. I paesi arabi sono scettici ma non contrari. Il maggior sostenitore di Blair al posto d’inviato per il medio oriente è l’alleato americano George W. Bush. E certo i regimi della regione ricordano l’appoggio dato da Blair all’attacco americano all’Iraq e il più recente rifiuto del governo britannico di condannare i bombardamenti israeliani nel sud del Libano l’estate scorsa e di imporsi con maggior forza per un cessate il fuoco tra Tsahal e le milizie sciite di Hezbollah. Nonostante ciò, ha spiegato al Foglio l’analista egiziano Mohammed al Sayyed Said, vicedirettore del Centro per gli studi politici e strategici del quotidiano al Ahram del Cairo, un paese come “l’Egitto darà ufficialmente il benvenuto alla nomina. Il problema, è l’opinione pubblica”. La confederazione tra Giordania e Anp La politica mediorientale di Blair è chiara. “Dobbiamo impegnarci per una rinascita completa della nostra strategia per sconfiggere quelli che ci minacciano – aveva detto nel 2006 – Esiste un arco d’estremismo che si estende attraverso il medio oriente e tocca paesi al di fuori della regione. Per sconfiggerlo ci sarà bisogno di un’alleanza di moderazione”. Blair, più che il portavoce del Quartetto in senso tradizionale, potrebbe diventare il rappresentante del Quartetto di Sharm el Sheik. Domenica, i leader dei regimi arabi considerati moderati, Egitto, Giordania e quel che resta dell’Anp nella persona di Abu Mazen, si sono ritrovati sul mar Rosso assieme al premier israeliano Ehud Olmert per parlare delle violenze palestinesi che hanno portato alla creazione di uno stato islamico a Gaza, controllato da Hamas, e di uno in Cisgiordania, ancora nelle mani di Fatah. Il Quartetto arabo è appoggiato dall’America e dalla comunità internazionale in funzione anti Hamas e punta all’isolamento del movimento. Il Guardian sostiene che Blair non si occuperà di mediare tra israeliani e palestinesi, perché il problema, oggi, è tutto palestinese. Si preoccuperà quindi di Fatah e Hamas. Per molti, si tratta di un ruolo impossibile. Ma c’è chi ricorda, a sostegno delle sue capacità di mediatore, il successo del premier in Irlanda del nord. La questione non è Blair: è la situazione in sé. E’ troppo difficile, spiega al Foglio Uri Dromi, direttore dell’Israel Democracy Institute. “Come farà a mediare tra Fatah e Hamas? Con quale nuova idea? La road map? L’iniziativa saudita?”. Qualche ipotesi allo studio c’è. Ieri, mentre a Gerusalemme si parlava di Blair, il sovrano di Riad Abdallah Bin Abdelaziz arrivava in visita ad Amman, per incontrare il collega giordano, il cui portavoce ha subito chiarito che i due non avrebbero discusso la vecchia soluzione, tornata centrale, di una confederazione tra Cisgiordania palestinese e Giordania. Intanto, però, dicono fonti israeliane, Abu Mazen ha chiesto a Israele la liberazione di Marwan Barghouti e l’autorizzazione per il trasferimento in Cisgiordania delle forze di al Fatah, le Brigate Badr, dislocate in Giordania, per contrastare Hamas.
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