Mette tristezza leggere il titolo dell'ultimo di Furio Colombo, "La fine di Israele", anche se non è quanto l'autore auspica ma teme. Mette tristezza perché Colombo, pur avendo capito quali sono gli enormi pericoli che incombono sullo Stato ebraico, tanto da lasciarne temere la scomparsa, affonda la sua ricerca partendo da un assunto inaccettabile. Israele appartiene alla sinistra, ma ha nuovi amici che vengono dalla parte sbagliata della storia, e senza la sinistra Israele non si salva. Una tesi che non rende merito a chi, tanti anni fa, scrisse quel bel libro che fu "Per Israele", che però non fu letto a sinistra o, se letto, non diede i frutti sperati. Riconoscere, come fa Colombo, che la sinistra nel mondo, e in particolare in Italia, di fronte a Israele si ritira e si fa nemica, e poi cercarne le ragioni negli impresentabili, a suo dire, nuovi alleati di destra, è la solita posizione di chi si rifiuta di accettare le cose per come sono. Significa pure conoscere male la Storia del Paese che si vuole difendere, perché fu proprio David Ben Gurion, nei primi anni dello Stato, ad avere accettato, lui statista della sinistra laburista, gli aiuti economici provenienti dalla riparazioni belliche che Adenauer versò a Israele. Che accettò, essendo quegli aiuti indispensabili alla formazione del nuovo Stato. Fu la destra, in nome dell'ideologia antinazista, a scatenare una battaglia perché il denaro "tedesco" non venisse accettato. Per fortuna fu il pragmatico Ben Gurion a vincere. Se avesse seguito il ragionamento di Colombo, il quale sostiene che oggi con la destra non si deve avere alcun contatto perché "loro" sono i diretti discendenti di chi firmò le leggi razziali, forse le sorti dello Stato ebraico sarebbero state diverse. Non è indispensabile aver letto De Felice per sapere quale sia stata la storia dell'Italia fascista, come buona parte della classe dirigente post liberazione fosse in realtà una diretta prosecuzione di responsabilità delle stesse persone. Che sotto il fascismo alzavano il braccio con la mano tesa per sostituirlo, a liberazione avvenuta, con il pugno chiuso. Colombo cade poi nel patetico quando si lamenta che durante i festival dell'Unità la gente gli dice «Ti voglio bene per quello che hai fatto per l'Unità, ma non sono d'accordo neanche con una parola di quello che hai detto», riferendosi agli interventi su Israele. E Colombo ha il coraggio di stupirsi. Non ci ha mai riflettuto? Se si fosse stupito, e amareggiato, prima, forse avrebbe insegnato ai suoi lettori come è andata veramente la storia, invece di raccontarlo ora in un libro che avrà poca utilità per il fine che si prefigge. La sinistra che odia Israele non lo leggerà, chi ama Israele e ne difende le ragioni non per una «caparbia rivalsa», come scrive Colombo, ma perché non ha aspettato il giro di valzer del nostro per capire da che parte stare, non sa che farsene dei suoi lamenti. Angelo Pezzana
da Libero del 26 giugno 2007
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