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Il mondo che verrà Dara Horn
Traduzione di Vincenzo Mantovani
Il Saggiatore Euro 16
“Narrate donne ebraiche”
In tutta sincerità, la letteratura ebraica è molto maschile. Non necessariamente maschilista, ma orientata da sempre verso la metà del cielo che da sempre comanda. La questione è quasi paradossale, se pensiamo che l’identità d’Israele si trasmette per via materna – come tengono a precisare i maestri della tradizione, non tanto per il ruolo biologico della donna, piuttosto perché è lei a fornire l’imprinting culturale ai figli, fra le mura di casa. Inoltre le donne fanno la storia della Bibbia non meno degli uomini: la fanno in un modo diverso da loro, ma ci sono.
Comunque, per secoli e millenni sono rimaste pressoché escluse dal mondo delle lettere. Non fu necessariamente un trauma né un profondo e amaro senso di privazione, quello che nell’ebraismo tenne le donne lontane dai libri. O quanto meno, da penna e calamaio – le donne ebree sono sempre state lettrici forti. Fu, piuttosto, una rassegnazione all’ineluttabile. Ma è difficile raccontare veramente che cosa stia nascosto dietro questo silenzio femminile, imposto da una storia comune a lingue, culture, universi differenti e distanti fra loro.
Certo è che ancor oggi, dopo aver cavalcato due emancipazioni – quella femminile e quella che ha aperto le porte dei ghetti – la presenza delle donne nella letteratura ebraica (in Israele e in Diaspora) resta sporadica. Più un’eccezione che un filone. Non che manchino, ormai. Ma non hanno ancora trovato una strada. Anche e soprattutto in Israele, un Paese con una letteratura sproporzionata alle piccole (davvero minuscole, in rapporto) misure geografiche. Fra gli Amos Oz e i A.B. Yehoshua, passando per Yaakov Shabtai e Yoram Kaniuk e altri, manca ancora una figura femminile di riferimento. Ci sono Zeruya Shalev (di cui è appena uscito in Italia l’ultimo romanzo, “Dopo l’abbandono”, sempre per Frassinelli), Orly Castel Bloom e altre: ma tutto sommato sono ancora spaesate in un panorama che non appartiene a loro.
Che la scrittura femminile ebraica sia eccezionale lo dimostra anche la storia di Esther Singer Kreitman, vissuta in Polonia fra il 1891 e il 1954. In “Alla corte di mio padre”, Isaac B. Singer (a proposito, la B. sta per Bashevis, che è la versione Yiddish di Betsabea, il nome di sua madre: gentile tributo!), dice di sua sorella maggiore Esther: “Aveva molto talento e ha scritto alcuni romanzi niente male”.
Quel talento si ritrova nel romanzo dal titolo Yiddish Ser Sheydim tans, “la danza degli spettri”: uscì in lingua originale a Varsavia nel 1936 e in inglese dieci anni dopo. L’attuale traduzione italiana curata da Lorenza Lanza e Patrizia Vicentini con un’introduzione di Claudia Rosenzweig, è condotta sul testo inglese (La Tartaruga, Euro 17,50). Peccato per un editing un po’ assente. Ma è una storia che avvince e che tradisce l’autobiografia con estrema discrezione.
Un’ideale linea di continuità in quella eccezione che rappresenta la scrittura femminile ebraica – questa volta in Diaspora – prosegue verso Cynthia Ozick, una grandissima narratrice americana la cui ultima uscita in italiano è “Eredi di un mondo lucente” (Feltrinelli, per la traduzione di Vincenzo Mantovani).
Sempre Mantovani, con la sua mano perfettamente congeniale alla materia linguistica, offre oggi al lettore italiano una nuova – strabiliante – presenza femminile nella letteratura ebraica americana, Dara Horn: con “Il mondo che verrà” straccia gran parte della sua generazione di scrittori americani (è nata nel 1977), più o meno ebrei. Il confronto con Nicole Krauss, ad esempio, risulta piuttosto impietoso per quest’ultima – con i suoi cali d’ispirazione e i tempi a volte un po’ morti.
Il romanzo di questa giovanissima scrittrice è una specie di giallo intorno a un dipinto di Chagall che sparisce dal Museo di Arte Ebraica di New York.
E’ anche la storia d’amore fraterno fra due gemelli. E’ anche un romanzo storico nella Russia ebraica, nel Vietnam della guerra. E’ una storia d’amore che comincia e altre che durano da sempre. Ma sarebbe un peccato raccontarne la trama e soprattutto svelare i nessi, sempre logici e tuttavia smisuratamente fantasiosi, che legano scene remote, personaggi cui il tempo non ha concesso di incontrarsi e che tuttavia costruiscono insieme la trama.
Horn scrive con rara ricchezza d’argomenti. Conosce a menadito la tradizione ma non ne abusa: la scrittura non scade mai nel folklore pleonastico, nell’oleografia sterile. L’identità ebraica, la storia del passato più recente sono un patrimonio narrativo efficace. La trama tiene, la successione di avvenimenti è coerente, a volte ci si commuove persino. Insomma, a questo romanzo non manca nulla.
Dopo tale bilancio, non ci si può esimere dalla domanda: è un libro al femminile? Difficile rispondere. Certo, a dispetto di questo materiale così connotato, di un filone letterario già percorso così tante volte, “Il mondo che verrà” ha qualcosa di nuovo. Ma non è un romanzo inevitabilmente femminile, questo no: potrebbe anche averlo scritto un uomo. Tuttavia conforta molto sapere che l’abbia scritto una donna.
Elena Loewenthal
Tuttolibri – La Stampa
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