Sul FOGLIO di oggi, 23/06/2007, a pag.1-2, l'analisi di Carlo Panella sul governo palestinese.
Roma. Non esiste una ragione per non accettare la concessione da parte del nemico del 97 per cento delle proprie richieste. Pure, nel luglio del 2000 a Camp David, Yasser Arafat rifiutò proprio la restituzione da parte di Israele del 97 per cento dei territori occupati nel 1967. Fu una scelta ispirata dal rifiuto delle più elementari regole della politica. Fu una scelta jihadista, confermata dal pentimento dello stesso Arafat per quel rifiuto. Un rimorso che però fu ammesso soltanto nel 2003, quando rais dovette prendere atto che il jihad e l’intifada delle stragi che aveva lanciato nel 2001 erano falliti. Non esiste neanche una ragione che giustifichi il rifiuto del governo di Hamas riconoscere lo stato di Israele. Anche se Hamas è assolutamente certa che Israele non ha diritto di esistere avrebbe potuto e potrebbe riconoscere Israele, ricevere i miliardi – non i milioni – di dollari che la comunità internazionale era ed è pronta a consegnare al suo governo e usarli per sviluppare la propria forza politica, economica e militare. E poi – straordinariamente rafforzata – scatenare pure la sua strategia distruzione. Nulla sul piano politico giustifica il rifiuto reiterato a compiere questo passo. Ancora. Nessun movimento liberazione nazionale al mondo, a fronte del ritiro unilaterale del nemico dal suo territorio (nel 2000 dal Libano del sud, nel 2005 da Gaza), ha distrutto tutte le infrastrutture moderne abbandonate dall’occupante, le fattorie, le serre, persino le sinagoghe e si è isolato dalla comunità internazionale soltanto per “ragioni di principio”, perché la legge di Allah non permette altro. Nulla, se non un rifiuto radicale, fanatico, apocalittico della politica e della razionalità spiega il persistente rifiuto di firmare “un pezzo di carta straccia” che riconoscericonosce Israele, magari soltanto al fine di accumulare forze per poi poter tentare di distruggerla (persino Adolf Hitler siglò l’accordo Molotov Ribbentrop quando intendeva distruggere l’Urss). Non esiste infine alcuna ragione, se non rifiuto della politica e l’ideologia jihadista basata sul culto della morte, che spiega perché Hamas ha sparato su al Fatah a Gaza. La vittoria elettorale del 2006 permetteva a Ismail Haniye di dirigere le trattative con Israele da una posizione di forza, emarginando Abu Mazen. Con le casse dell’Anp piene di dollari e di euro – in cambio di poche parole da spergiuro – Hamas aveva la strada spalancata per ottenere il massimo Olmert, che era stato eletto dagli israeliani proprio per replicare in Cisgiordania schema di Sharon a Gaza. Haniye poteva concludere le trattative e avere il suo stato, sceglierle di farle fallire addossando la responsabilità a Israele. Hamas poteva svuotare al Fatah semplicemente portando casa risultati che al Fatah non era più in grado di conseguire. Invece ha scelto il jihad, i razzi su Ashkelon e Sderot, il rapimento di Shalit, il rifiuto di Israele, il tentativo di omicidio di Abu Mazen e il massacro dei suoi uomini a Gaza. I tanti amici dei palestinesi che imperano sui media europei, a fronte di questo quadro, si rifugiano nella incredibile diagnosi di una strana “follia”. Come se i palestinesi – eterni malati – avessero diritto a comportarsi da eterni minorenni scapestrati, incapaci di usare della ragione e della politica. Come se Israele dovesse quindi farsi carico di questo loro deficit di maturità, dovesse accettare di subire le ondate di violenza jihadista con cui soltanto sanno esprimersi e sacrificare la propria sicurezza, la propria possibilità di esistere al loro desiderio di apocalisse. Pochi giorni prima del golpe di Hamas a Gaza, il 10 giugno, Ikrama Sabri, il Mufti dell’Anp, ha emesso una fatwa che spiega perfettamente questa perversa logica palestinese. A fronte di 45 mila richieste di visti di emigrazione per gli Stati Uniti, il Canada e l’Unione europea (10 mila dal gennaio 2007), Sabri ha infatti decretato: “Non è permesso emigrare dalla Palestina”. Questa fatwa spiega perfettamente quale sia il vero nodo della supposta “follia”, quale disumana concezione dell’islam domini la leadership palestinese. Il gran Muftì ha ben chiaro che la volontà di fuga è motivata da ragioni drammatiche, che hanno già portato dal 2001 in poi 80 mila palestinesi a emigrare “a causa della difficile situazione economica e della sicurezza”. Ma il vincolo che impedisce ai palestinesi di espatriare (e si tratta del 5 per cento della popolazione) non è néECONOMIST razionale né politico, è indiscutibilmente religioso: “Dichiariamo che la sharia non permette di emigrare dalle sacre terre. Le persone che vivono in queste aree devono restare nelle loro case e non lasciarle ai conquistatori. Tutti coloro che rispetteranno questa ordinanza compiranno un gesto onorevole e sosterranno la moschea di Al Aqsa”. Ennesima conferma che tutte le sciocchezze che si sono lette in questi giorni in Europa circa la responsabilità israeliana anche nel macello di Gaza, prescindono totalmente da quello che pubblicamente dice e scrive l’islam palestinese, di cui Hamas è proiezione politica. Dopo gli accordi di Riad, soltanto i governi di Gerusalemme e Washington hanno mantenuto un profilo critico. Tutti i governi europei, a cominciare da quello italiano, hanno salutato la “svolta”. Non si contano dichiarazioni – in primis quelle di Massimo D’Alema – che preconizzavano una normalizzazione di Hamas, un suo cammino parallelo a quello dell’Ira e dell’Eta, come scrisse Timothy Garton Ash su Repubblica (anche per l’Eta s’è visto come è finita, peraltro). Pure, Hamas sin dai primi minuti ha chiarito e ribadito che intende rifiutare il “diktat” della comunità internazionale. Pure, mai una sola voce possibilista nei confronti della pacificazione con Israele è venuta da un esponente di Hamas, che al massimo si impegna a posticipare la distruzione dello “stato degli ebrei” di una ventina d’anni. Ma, per le anime belle, i fatti non contano. E’ evidente che al Fatah è stata cacciata nel sangue da Gaza per impedire, per la quinta volta in settanta anni, che Abu Mazen potesse trattare con Ehud Olmert per costituire uno stato palestinese che conviva con lo stato ebraico. Ma si finge che non sia così. Pure, Hamas dichiara achiare lettere che ha sterminato gli uomini di al Fatah perché “agenti sionisti e capitolazionisti”, ribadisce di volere uno stato solo, uno stato islamico, in cui gli ebrei possono vivere, ma soltanto secondo le regole della sharia. Una verità lampante. Detta, scritta, ribadita. Il fatto è che al centro del dramma ci sono gli ebrei e il loro stato, e quindi, al solito, “è sempre colpa loro”, degli israeliani, dei sionisti. Triste conferma dell’attualità del monito del presidente Giorgio Napolitano: “Occorre combattere innanzitutto ogni rigurgito di antisemitismo, anche quando esso si travesta da antisionismo, perché antisionismo significa negazione della fonte ispiratrice dello stato ebraico, delle ragioni della sua nascita ieri, e della sua sicurezza oggi, al di là dei governi che si alternano nella guida di Israele”.
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