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Il Giornale Rassegna Stampa
22.06.2007 Vale la pena di credere ad Al Fatah ?
reportage di Fiamma Nirenstein da Ramallah

Testata: Il Giornale
Data: 22 giugno 2007
Pagina: 1
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «La rivincita di Fatah»
Dal GIORNALE del 22 giugno 2007, un articolo di Fiamma Nirenstein:

La promessa di Abu Mazen di essere la risposta che il mondo cerca al disastro politico e umanitario di Hamas giustifica l’enorme mobilitazione mondiale per aiutarlo a rafforzarsi? Vale il suo prossimo, incontro, domenica a Sharm el Sheich, certo promosso su ispirazione americana e europea, con Mubarak, con re Hussein, con Ehud Olmert? Vale la riapertura di credito totale cui si assiste in questi giorni, la pioggia di denaro che si prepara, un Fatah screditato e battuto alle elezioni dal suo stesso popolo che lo ha accusato e lo accusa di corruzione e violenza? Cerchiamo qualche risposta in giro per Ramallah, la capitale dell’West Bank, la sede del governo di Abu Mazen. Cartelloni con le immagini benedicenti di Abu Mazen sovrapposto a quelle di Arafat, musica assordante dagli altoparlanti, un corteo di un paio di centinania di persone in testa al quale marciano giovani tanzim e attivisti con i capelli carichi di gommina, la kefia al collo, produttori instancabili di slogan in rima... in piazza Manar a Ramallah sembra quasi festa. I leoni di pietra devono essere stupiti, un clima così allegro in piena sciagura. Ma la gente va veloce per i suoi affari, e si assembla il rally pro Abu Mazen : “Credevo che fosse un corteo matrimoniale; un piccolo corteo” ridacchia un vecchio in galabja bianca e barba bianca, uno fra i pochi non rasati in tempo di guerra con Hamas. “Salutiamo Abu Mazen, oh Hanje go home”;”Quello vostro non è Islam, è strage organizzata”;”Oh Hanje o Mashal (i capi di hamas ndr), stanotte vi risponderemo”;”Oh Abbas (Abu Mazen ndr) avanti, Gaza aspetta la liberazione”. Marciano nelle strade intorno tornando a Manar gli attivisti dei due sessi, guidati da Ziad Abu Ein, alto e grosso, in giacca cravatta e baffi neri. Un mio amico giornalista palestinese, Khaled Abu Toameh, mi racconta sul posto che il leader, oggi maggiorente di Fatah, nell’87 fu condannato per un attentato a Tiberiade e riconosciuto colpevole dell’assassinio di due israeliani. Poi è tornato libero con uno scambio, poi di nuovo dentro per altri crimini politici, poi di nuovo fuori in un altro scambio, adesso è un leader importante, circondato, e si vede mentre marcia con la cravatta e l’abito scuro in testa, da rispetto e riverenza. E’ un combattente, come molti altri leader della sua età, e per questo è diventato parte del gruppo dirigente. E’ uno rampante, mi dice l’amico, quelli cui oggi il mondo guarda sperando che riportino i palestinesi agli onori del mondo riaffermando la forza di Fatah dopo la perdita di Gaza. Lui conferma:“Siamo qui per rispondere alla chiamata del Presidente Abu Mazen contro i delinquenti di Hamas, per riprendere la battaglia per lo Stato Palestinese, per annunciare che anche a Gaza torneremo...”parla marciando sotto le bandiere della Autonomia “no, quelli di Hamas non sono la maggioranza anche nell’West bank, è la legge elettorale sbagliata che li ha fatti vincere le elezioni benchè avessero il 43 per cento soltanto. Noi siamo la legalità. Oggi, se andassimo a votare vinceremmo noi che stiamo dalla parte della democrazia e del governo laico”.Fatah cerca di disegnare un’immagine rassicurante e forte per il popolo, e attraente per gli USA,l’Europa, Israele che hanno già dichiarato il loro grande speranzoso appoggio a Abu Mazen.. Abu Mazen da parte sua è attivo come non mai e anche arrabbiato, denucia gli assassini che volevano ucciderlo, riunisce il nuovo governo, promette rifome, si impegna a smantellare tutte le milizie illegali. Ieri ha annuncoiato che i tanzim di Jenin e Nablus, persino nquelli più duri come Zacaria Zbedi dovranno consegnare le armi. La gente sorride: “Fra il dire e il fare...a meno che non garantiscano a tutti un buon posto nella polizia di Stato, come è del resto possibile”. Da Gaza la sfida che giunge è quella dell’ordine, di cui i palestinesi sono affamati dopo decenni di corruzione della classe dirgente e di prepotenze delle milizie: la tv di hamas manda in onda, e si vede in tutta la Cisgiordania, immagini pastorali, Gaza sul teleschermo sembra avere un paesaggio addirittura verde, strade in cui il traffico circola senza intoppi, la gente intervistata dice di sentirsi rassicurata e tranquilla senza i bulli miscredenti di Fatah. L’ordine regna a Gaza, le reti internazionali, noi abbiamo sentito Sky news, cominciano a suggerire che magari alla fine Gaza sarà più pulita, che deglutirà le sue lacrime di grande coccodrillo ancora sporco di sangue dopo aver sgozzato, fucilato sul posto, linciato, buttato dai piani alti un centinaio di persone per instaurare Hamastan, il regno dell’islamismo contro quello della corruzione. Crudeli che siano stati, e lo sono stati, tuttavia gli uomini del Fatah non sono giunti a tanto. I leader ci tengono a rimarcare la differenza: Naim Tubassi, il presidente dell’associazione stampa, vivace e pallido, con giacca e cravatta, trasmette la sua ansia con un eloquio preoccupato e veloce nel caldo della piazza: “Spero, spero che l’Europa e il mondo capiscano che solo Fatah può garantire la ragionevolezza, la ripresa del processo di pace; che Abu Mazen ora è più forte, è più determinato di prima perchè ha capito cose che nessuno poteva immaginare, perchè ha ottenuto il sostegno di tutti quelli che non vogliono l’Iran in casa.. no, non mi fraintenda, noi useremo solo mezzi legali.. Si, lo so, Fatah è accusata di corruzione, di prepotenza delle milizie. Ma ecco, stiamo smobilitando tutto ciò che non è legale.. siamo contro il terrorismo..Riforme importanti bloccheranno la corruzione, cambieremo la classe dirigente”.Ci spera, ci crede, si vede che è sincero. Ma due squadre di persone interpellate ci appaiono significative. Fra gli attivisti un giovane alto dice chiaro e tondo: “Vogliamo Dahlan”. Dahlan?Proprio lui che è fuggito e non ha difeso Gaza? che vive in un hotel a cinque stelle?.. “Si, lui: un ricambio, ma interno. Niente cambiamenti alla cieca. Dahlan è’ fuggito proprio perchè la sua importanza lo faceva odiare troppo, lo condannava a morte...”. Dahlan, con la sua giacca da Fatah boss, la sua cravatta da Fatah regimental, i soldi, le armi, quarantenne che ha a che fare con il terrorismo ma che sa parlare con gli occidentali. Come Barghouti. Ha perso un round, può vincere lo scontro, dice il sostenitore. E semmai, che venga a stare a Ramallah; Gaza per un pò può cuocersi nel suo brodo. Certo i leader non parlano così: spiegano la laicità e la affidabilità democratica di Fatah. Ma la gente è chiara: dobbiamo rimettere in equiilibrio Fatah, per il bene dei palestinesi, pensano alcuni;Fatah è quello che è, pensano, ma se gli aiuti del mondo saranno sufficienti, adesso per un pò vivremo meglio che con Hamas alla giugulare. Ma non sarà un guaio che si considerari Fatah collaborazionista di Israele e degli USA? La risposta è sorprendente: “No, che ci importa chi è lo sponsor ormai, dobbiamo salvarci e battere Hamas”. L’altro ambito di persone che abbiamo chiamato “squadra” è del tutto diverso.A voce bassa, ci dice quella che a noi pare una inquietante verità: “E’ un errore” suggerisce in buon inglese un uomo sui quaranta, appena tornato dagli USA a Ramallah “ fare questa manifestazione, sollevare questo polverone, la gente non è con loro, dove vanno, cosa vogliono? Chi credono di incantare? Fatah non cambierà, se andrà alle elezioni Fatah può perdere anche nell’West Bank come ha già perduto. Abu Mazen cerca di ottenere tutto il consenso palestinese nazionalista e l’aiuto internazionale, in cambio della solita vecchia politica stantia che al popolo non piace. Cosa voterei oggi? Hamas”. Ma Abu Mazen compie l’operazione contraria: vivacità, democrazia, laicismo, ordine e riforme, queste sono le sue parole d’ordine. “Il suo messaggio” dice l’americano “è che Fatah è la salvezza contro l’integralismo islamico, e suggerisce “aiutateci, mandateci soldi e armi altrimenti è peggio anche per voi”.. almeno, però, santo cielo,che per una volta gli chiedano i conti”.

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