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La Repubblica Rassegna Stampa
18.06.2007 Teheran rilancia la persecuzione di Salman Rushdie
i "duri" del regime rivendicano così l'eredità di Khomeini

Testata: La Repubblica
Data: 18 giugno 2007
Pagina: 1
Autore: Renzo Guolo
Titolo: «L´Iran attacca la Regina Elisabetta per il premio al "blasfemo" Rushdie»

Dalla REPUBBLICA del 18/06/2007:

L´onorificenza concessa dalla Regina Elisabetta a Salman Rushdie solleva le ire di Teheran. A quasi un ventennio dalla fatwa dell´ayatollah Khomeini, che mise all´indice lo scrittore anglo-indiano come apostata per il suo libro «I Versetti satanici», il gesto di Buckingham Palace è interpretato come un esempio delle manovre «pianificate e organizzate» dai Paesi occidentali contro l´Islam.
Una reazione dura, che rimanda non solo alle questioni sollevate allora dal caso Rushdie, ma anche alle attuali tensioni che contrappongono Teheran e Londra: a partire dal nucleare degli ayatollah e l´intervento britannico in Iraq. Tensioni sfociate nella recente «crisi dei marinai». La decisione britannica di insignire lo scrittore del titolo di Sir ha riacceso lo scontro. Il caso nasce nel febbraio 1989, quando Khomeini condanna a morte per ridda, apostasia, Rushdie e quanti hanno contribuito a pubblicare il suo romanzo, ritenuto blasfemo nei confronti del Profeta Maometto.
Inizialmente nessuno interpreta il pronunciamento della Guida come una fatwa. Nella giurisprudenza islamica la fatwa equivale a un responso emanato, su richiesta, da un mojtahed, un esperto in materie teologiche e giuridiche; vincolante soltanto per quanti seguono la scuola giuridica del mojtahed che l´ha emessa e, comunque, non per la generazione successiva alla sua scomparsa. Vi è poi il problema della "competenza territoriale": non esistono precedenti di una condanna nei confronti di chi non vive stabilmente nel mondo islamico. L´assenza di questi requisiti sembra mettere in dubbio che quella di Khomeini sia una fatwa. Tanto che a caldo, negli ambienti politici del regime, si preferisce parlare di payam, messaggio; giuristi e dotti religiosi usano invece il termine hokm, editto. Solo in seguito Khomeini, uso sovranamente e creare diritto nello stato d´eccezione, userà il termine fatwa. Nel frattempo la fondazione 15 Khordad, mette sul capo di Rushdie una taglia di un milione di dollari; salita poi a due milioni e mezzo.
L´affaire Rushdie aumenta l´isolamento politico dell´Iran; ma Khomeini lo cavalca. Il suo sguardo è rivolto alla competizione per la leadership politica e religiosa del mondo islamico. La mobilitazione contro lo scrittore, infatti, non nasce in Iran ma in India, ed è amplificata dalle comunità sunnite anglo-pakistane in Gran Bretagna. In particolare dai circoli legati alla Jama´at-i-islami fondata in India nel 1941 da Mawdudi, uno degli ideologi dei movimenti islamisti contemporanei. Un gruppo, legatosi in seguito ideologicamente e finanziariamente ai circoli wahhabiti sauditi radicali, che nella vicenda vede l´occasione per allargare la propria sfera d´influenza. Successivamente la campagna britannica è condotta dalle locali associazioni Deobandi e Barelvi di Bradford, la città in cui avverrà il tristemente famoso autodafé dei «Versetti».
Ma ormai Khomeini ha sottratto il palcoscenico a quanti hanno sin lì gestito la protesta. Consapevole che l´epilogo della mancata vittoria nella guerra con l´Iraq ha offuscato il prestigio iraniano, e deciso a sottrarre l´iniziativa alle reti islamiste sunnite collegate ai sauditi, acerrimi nemici degli sciiti e della Rivoluzione iraniana, Khomeini si appropria clamorosamente della campagna contro Rushdie. Non limitandosi a chiedere il boicottaggio o il divieto di pubblicare i «Versetti», come invocano gli islamisti sunniti, ma addirittura la condanna capitale dell´autore. Khomeini sembra così anticipare l´idea georeligiosa di un islam radicale, capace di giocare un ruolo globale, di cui dovrebbero far parte anche le comunità islamiche in Europa, in larga maggioranza sunnite. Anche se, una volta pronunciata la condanna contro Rushdie, l´Iran diventa il cuore della vicenda e l´attivismo islamista sunnita in Gran Bretagna viene oscurato.
Dopo la scomparsa di Khomeini, il regime iraniano, guidato dalla diarchia Khamenei-Rafsanjani che emargina la componente radicale e nei fatti attenua l´ostilità contro l´Occidente, non sembrerà davvero interessato all´esecuzione della sentenza. Anche se, nel tentativo di mettere in difficoltà il governo guidato allora dal pragmatico Rafsanjani, ambienti radicali legati alla Fondazione 15 Khordad ribadiranno la validità della fatwa. Lo scrittore sarà comunque costretto a una lunga vita clandestina, scandita da severe misure di sicurezza.
Riesumando polemicamente la vicenda, i radicali al governo a Teheran si ripropongono oggi come eredi e custodi della tradizione khomeinista anche in questa occasione, e rilanciano l´ennesima mobilitazione per stornare l´attenzione sulle gravi difficoltà in cui versa il governo di Ahmadinejad. Costringendo formalmente i conservatori religiosi e pragmatici, guidati da Khamenei e Rafsanjani, nuovamente alleati tattici, a schierarsi a loro fianco. Una prova generale di quel riallineamento che i radicali esigono nella ben più complessa partita del nucleare. Toccando temi sensibili come la libertà di opinione e di pensiero, i radicali si propongono di divaricare ulteriormente le distanze tra Occidente e mondo islamico. Rinforzando così anche un clima interno ostile a ipotesi di compromesso sul nucleare con la comunità internazionale, sostenute da settori influenti di alcune fazioni di regime.

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